Sulle ultime elezioni regionali, il Ministero dell’Interno non ha diffuso i dati completi dello spoglio delle schede ma solo le percentuali, demandando alle regioni la pubblicazione dei dati assoluti. Anche in assenza di dati centralizzati, balza all’occhio l’ulteriore aumento dell’astensione, ma quanto su questa incida una maggiore disaffezione per le urne e quanto gli andamenti ciclici va valutato.
L’interpretazione politica del voto
La battaglia fra le forze parlamentari non si gioca solo al momento del voto, ma anche nella sua interpretazione: commenti, sondaggi e analisi del voto fanno parte della partita. In assenza di dati assoluti è stato dato grande risalto a uno studio dell’Istituto Cattaneo che ha messo in primo piano la diminuzione dei voti assoluti del PD facendo un confronto fra il risultato del partito di Bersani alle politiche del 2013 e quello di Renzi alle Europee del 2014 e alle regionali di oggi. Paragonare elezioni di natura molto diversa fra loro è un criterio discutibile, e potrebbe fare parte di uno scontro interno al PD per mettere in difficoltà il premier a vantaggio delle minoranze vicine alla vecchia guardia: l’istituto è nato come costola della rivista il Mulino ed è spesso stato diretto da esponenti del PD o da suoi fiancheggiatori, e oggi è diviso fra sostenitori e avversari interni del segretario.
Ma a prescindere da eventuali secondi fini degli analisti, è importante verificare l’effettivo andamento del voto e del non voto.
Elettorato stabile, astensionismo in crescita
Un primo dato riguarda gli elettori delle sette regioni in questione: Liguria e Veneto al Nord, Toscana, Umbria, Marche al Centro, Campania e Puglia al Sud. Fra il 2010 e il 2015 le variazioni demografiche non sono state molto grandi (in tutto una crescita di 138 mila su circa 19 milioni di elettori, meno dell’1%), quindi il confronto non ne risulta falsato.
Balza agli occhi l’aumento dell’astensione: nel 2015 ha votato il 52,2% degli aventi diritto contro il 64,1% delle Regionali 2010. Più che il confronto percentuale, è significativo quello dei dati assoluti (nel 2010 si votava non in 7 ma in 13 regioni): nel 2010 gli astenuti erano stati 7.770.455, contro 8.848.101 nel 2015, con un aumento di circa 1,1 milioni.
Questo calo di quasi il 12% dei votanti è del tutto coerente con quello che è avvenuto alle regionali del novembre 2014: in Emilia Romagna votò il 37,7% contro il 68% del 2010, in Calabria a votare furono il 43,8% degli aventi diritto contro il 59% del 2010. Ma è un fenomeno che viene da lontano. Già nel 2010 l’Istituto Cattaneo osservava che la disaffezione elettorale era stata fino a quel momento un fenomeno che riguardava le Europee, elezioni che molti elettori percepivano come non importanti. Invece nel 2010 il crollo dei votanti aveva riguardato le regionali e in particolare le regioni tradizionalmente “rosse”. Il 2015 conferma il trend, che si estende anche a Campania e Veneto.
Aumento dell’astensionismo dal 2005 al 2015
PD ridimensionato
Nella sua analisi, ampiamente ripresa dai mass-media, l’Istituto Cattaneo insiste molto sul drastico calo dei voti PD rispetto alle elezioni politiche del 2013 o a quelle europee del 2014, ma è un paragone poco significativo: alle elezioni politiche nazionali la partecipazione al voto è sempre maggiore, mentre alle europee la forte astensione colpisce più a destra che a sinistra. Non è da escludere che con questo confronto artificioso l’istituto voglia condurre un attacco al premier Renzi per dimostrare che il suo PD ha subito un crollo e fare da sponda agli avversari interni al partito.
Ma paragonando fra loro le diverse elezioni regionali, il calo di consensi per il PD ne esce confermato, anche se meno accentuato e perdurante nel lungo periodo: 563 mila voti in meno rispetto al 2010, 1 milione e 615 mila rispetto al 2005.
E’ una flessione di voti in cui probabilmente ha pesato lo scontro col sindacato e la riforma della scuola, oltre che la crisi che ancora non è finita e l’aumento di precarietà provocato dal Jobs Act.
Lega in recupero
Tutti i commentatori sottolineano la crescita percentuale della Lega Nord rispetto al 2013 e 2014, ma confrontando i risultati con le regionali precedenti è evidente che la “crescita” dei voti in realtà non è che un parziale recupero di posizioni perse in precedenza. E’ stata data grande evidenza alla vittoria di Zaia in Veneto, dove però i voti leghisti vengono più che dimezzati rispetto a 5 anni prima (probabilmente a causa della divisione con Tosi) e solo parzialmente compensati da nuovi voti in altre regioni.
A questo recupero ha sicuramente contribuito l’ampio spazio televisivo dato al segretario Matteo Salvini, presenza fissa di talk-show e telegiornali, ma anche le sue prese di posizione a vantaggio di precisi interessi borghesi: contro le sanzioni alla Russia – sanzioni che danneggiano una buona parte dell’imprenditoria del Nordest – o per un intervento militare contro gli scafisti del Mediterraneo – intervento che potrebbe permettere all’ENI di rientrare nel mercato libico. Si aggiunge lo sciacallaggio politico contro immigrati e nomadi, che in tempi di crisi può dare consenso ma soprattutto permette di indirizzare le tensioni sociali verso una guerra tra poveri.
Gli effetti politici
La perdita di voti PD – male comune a un po’ tutte le forze politiche – non sembra aver messo in difficoltà né il governo né la leadership renziana sul partito, nonostante i risultati siano diventati un’arma nel confronto fra il segretario e una minoranza sempre più marginale. Il Sole 24 Ore ha commentato la sconfitta PD in Liguria sottolineando come la vittoria in Campania significhi molti più voti, con buona pace della questione morale, dello scontro sugli “impresentabili”, della legge Severino e dello scandalo che rischia di travolgere la giunta romana.
Se l’aumento dell’astensionismo non è importante per la borghesia, lo è per i rivoluzionari. L’astensione denota una riduzione di fiducia nel sistema democratico borghese, ma non ne mette a rischio la tenuta. A tutt’oggi lo svuotamento delle urne non è accompagnato da una ripresa della conflittualità sociale. Occorre far maturare il rifiuto istintivo per il sistema parlamentare in rifiuto per il sistema economico su cui questo si regge. Occorre trasformare l’astensionismo in coscienza politica comunista.