ITALIA, IRAQ, USA
REPUBBLICA Sab. 10/6/2006 CLAUDIO TITO VINCENZO
NIGRO
Fitta serie di colloqui per l´ambasciatore Ronald Spogli
e Barbara Stephenson, emissario della Rice
Per Washington la permanenza
umanitaria italiana è "questione di lealtà"
Gli Usa considerano "non barattabile" con l´Afghanistan la missione
civile in Iraq
ROMA – «È una questione di lealtà». Che il ritiro
dall´Iraq sarebbe stato il nodo più intricato nella politica estera del governo
Prodi, lo si sapeva da tempo. Ma in pochi prevedevano che il pressing di
Washington contro il «rientro totale» potesse essere così tambureggiante. Tanto
insistente sulla «necessità» che l´Italia mantenga a Nassiryia una «missione
civile». «È una questione di lealtà», è il messaggio lanciato dalla Casa
Bianca. Un avviso di cui sono a conoscenza tutti i vertici del nuovo esecutivo:
dal Professore a Massimo D´Alema, da Arturo Parisi a Enrico Letta. La
diplomazia statunitense si è messa in moto velocemente.
L´ambasciatore
americano in Italia, Ronald Spogli, ha incontrato uno ad uno tutti i
responsabili italiani riferendo in termini piuttosto schietti il pensiero
dell´Amministrazione Usa. E a pochi giorni dalla missione di D´Alema a Washington
per incontrare Condoleeza Rice, la stessa Segretaria di Stato ha voluto far
precedere il colloquio (non a caso rinviato di una settimana) dal
viaggio di un suo emissario, Barbara Stephenson, vice coordinatore del dossier
Iraq per il Dipartimento di Stato. La Stephenson è in questi giorni a Roma
e ha parlato a lungo con il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Stefano
Sannino, e con l´ambasciatore Sessa, direttore generale per il Medio Oriente
della Farnesina. Come aveva già fatto Spogli con il premier e con i ministri
Amato e Parisi (nei prossimi giorni vedrà pure il titolare degli Esteri), anche
l´emissaria della Rice ha confermato punto per punto la posizione intransigente
di Bush. «Non è in discussione il ritiro – è la linea Usa – ma non è accettabile
che venga disatteso quel che è ci è stato detto durante la campagna elettorale:
ossia che l´Italia avrebbe lasciato una missione civile». Nella sostanza: una
sessantina di italiani da scortare con circa 300 militari. Che dovrebbero
rimanere di stanza a Nassiryia. Secondo gli americani, è «una questione
dirimente». Una segnale politico più che militare, il vero snodo per
impostare i rapporti con i nuovi referenti a Roma dopo l´uscita di scena di
Silvio Berlusconi.
Per il governo italiano, una grana non da poco. D´Alema si sta muovendo da
giorni con questa consapevolezza e a Palazzo Chigi non sono rimasti sorpresi
per le difficoltà incontrate nell´organizzare un bilaterale con il presidente
Bush. Non è un caso che il ministro degli Esteri stia preparando una serie di
dossier da portare a Washington in occasione del faccia a faccia con la Rice.
Alternative con cui si tiene conto anche delle asperità presenti su questo tema
nel centrosinistra. La posizione di Rifondazione comunista, ad esempio, è netta
anche per quanto riguarda l´Afghanistan. Ma D´Alema – così come Prodi e
Parisi – ha già fatto sapere che l´impegno italiano a Kabul non verrà ridotto.
Del resto, la missione in Afghanistan per larga parte ormai è sotto l´egida
dell´Onu. Nelle operazioni gestite dall´Isaaf, infatti, sono presenti quasi
1400 soldati italiani e in quelle di "Enduring freedom", capitanate
dagli States, solo 248. I 2533 militari in Iraq, invece, potrebbero
essere ridislocati in altre aree a rischio: come il Darfur (fino a marzo in
quell´area africana c´erano 150 carabinieri), in Congo e soprattutto nei
Balcani in cui operano già 3355 nostri uomini. Sarebbe un modo, insomma,
per sollevare gli Stati Uniti da alcuni impegni e nello stesso tempo trovare la
piena intesa con tutti i partiti dell´Unione più aperti verso le missioni
multilaterali. Tutti argomenti toccati nei colloqui avuti a Roma ieri dal
segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, e dal vicesegretario
dell´Onu, Christopher Burnham.
Eppure, le "alternative" studiate a Roma non sembrano gradite a
Washington. Perché le indicazioni di Bush, riferite dai suoi emissari, sono
esplicite: «La missione civile in Iraq non è barattabile con una presenza
accresciuta in Afghanistan o in altri teatri di crisi; né con un impegno
economico accresciuto». E sebbene alla Casa Bianca tutti abbiano un buon
ricordo di D´Alema per la collaborazione ai tempi dell´intervento militare nei
Balcani, gli americani pensano al futuro. Il passato non conta e la «missione
civile» è per loro un architrave su cui «impostare il rapporto per il presente
e per il futuro».
Ma la richiesta Usa, per ora, non ha aperto varchi a Palazzo Chigi. L´altro
ieri, ad esempio, il ministro della difesa Parisi ha confermato al suo omologo
Ramsfeld che il ritiro italiano da Nassiryia sarà totale. Sarà complicato per
Prodi rinunciare a questa posizione. Per questo l´incontro della prossima
settimana tra il ministro degli Esteri e la Rice sarà davvero «cruciale».