«Il mio Cile sempre amico degli Stati Uniti»

La nuova presidente socialista lancia un appello per l’unità del continente latino-americano: «Credo al processo di integrazione»
Michelle Bachelet ai vicini: serve una politica economica di apertura


SANTIAGO – La mappa del continente che ospita il Cile assomiglia sempre di più ad un campo minato, marcato da puntini rossi, ma Michelle Bachelet la osserva con serenità. Il piccolo e lungo Paese schiacciato tra le Ande e il Pacifico manterrà le sue caratteristiche peculiari di apertura in economia e moderazione in politica, promette la nuova «presidenta» del Cile. I venti che soffiano dalla Cordigliera metteranno in difficoltà il governo di Santiago? Esiste un rischio di isolamento? La Bachelet ritiene di no, ma allo stesso tempo risponde indirettamente a chi teme la nascita di un «asse del male» latino, dopo le ripetute vittorie di governi della sinistra radicale. «Sono rispettosa della sovranità di tutti i Paesi, che possono scegliere chi meglio credono. Io avrò rapporti con tutti i presidenti eletti democraticamente, senza discriminazioni». Il giorno dopo la netta vittoria Michelle Bachelet finisce sotto i riflettori del mondo. C’è un appuntamento a fine settimana, l’insediamento di Evo Morales in Bolivia, al quale deve decidere se andare o meno, da sola o accompagnando il presidente uscente Ricardo Lagos. La festa del leader indio potrebbe travalicare i limiti del protocollo, trasformarsi in un festival di proclami antiamericani. Ci sarà il venezuelano Hugo Chavez, potrebbe arrivare anche Fidel Castro. Il Cile ha un rapporto storico delicato con la Bolivia. Il Paese confinante reclama da decenni un’uscita al mare, sulla punta estrema nord del Cile, le terre perse nella guerra del Pacifico di fine Ottocento e alle quali non ha mai rinunciato. La Bachelet dice di non aver ancora deciso se andrà da Morales, «non ho avuto tempo, fino a ieri ero ancora in campagna elettorale». Si defila anche quando le viene chiesto come risponderà il suo Cile alle pretese territoriali che certamente il neopresidente boliviano riproporrà con forza. «Dialogo costruttivo senza restrizioni», è la sua risposta, fin troppo diplomatica.
Poco più a nord, in Perù, sta emergendo un altro leader che poco ha a che fare con la moderazione cilena. Il candidato nazionalista Ollanta Humala è in testa ai sondaggi per le elezioni di aprile. Anche il Perù ha un contenzioso antico con il Cile, sulle acque territoriali. E anche a Lima potrebbe presto installarsi un fiero avversario di Washington. «Il Cile dei prossimi quattro anni non può cambiare le sue caratteristiche e le sue scelte. Continueremo nella politica economica di apertura», dice la Bachelet in riferimento al trattato di libero commercio esistente con gli Stati Uniti. Ad una domanda del Corriere sul fallimento dell’ Alca , l’accordo delle Americhe rimasto bloccato dopo la riunione di Mar del Plata di dicembre, la leader cilena ribadisce che la linea favorevole del suo Paese non cambia.
Nonostante le obiezioni di Brasile, Argentina e Venezuela – che hanno fermato il calendario proposto da Bush – Santiago ritiene che l’integrazione debba continuare. «Capiamo le riserve dei nostri vicini, ma la realtà del Cile è diversa. Per sbloccare l’ impasse sull’Alca la soluzione è arrivare ad un accordo minimo, accettabile da tutti, tentando poi in seguito di avanzare laddove si riesce».
Il Cile grande esportatore di rame, frutta, pesce e vino, insomma, non vuole rinunciare allo sterminato mercato che si è aperto negli ultimi decenni e che ha permesso il boom. Tanto meno intende accodarsi all’ondata antiliberista che sta attraversando il continente, perché i successi ripetuti della sua economia – destra e sinistra si trovano d’accordo – sono dovuti proprio all’impennata degli scambi commerciali. Però la Bachelet segnala che qualche modifica rispetto ai tre governi di centrosinistra che l’hanno preceduta potrebbe esserci. «L’America Latina sarà la mia priorità strategica. Credo al processo di integrazione del continente». Difficilmente però, da Santiago si alzeranno voci a favore del nuovo secolo «bolivariano». Con buona pace di Hugo Chàvez.

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