Il messaggio del governo Meloni – nei suoi primi 100 giorni
“Spread, borsa, economia, l’Italia è più solida e in salute di quanto si voglia far credere”: così la Meloni ha voluto salutare i primi cento giorni del suo governo. Se per Italia si intende il mondo del capitale, gli interessi dei capitalisti, chi può darle torto? C’è però un’altra faccia di questo galleggiamento della borghesia italiana: è lo sprofondamento dell’altra Italia, del mondo del lavoro salariato dove in questi mesi si sono toccati record di morti sul lavoro, c’è stato un pesante taglio dei salari per l’inflazione più alta da 40 anni in qua, sono ulteriormente cresciute precarietà e povertà. E sui luoghi di lavoro il dispotismo padronale si è fatto ancora più aggressivo, incoraggiato ad andar giù duro dal nuovo esecutivo che si è impegnato a “non disturbare chi produce”, cioè chi sfrutta i produttori reali.
Questo effetto si vede anche nella logistica, l’unico ambito della produzione in cui negli ultimi anni le forti lotte dei facchini immigrati organizzati nel SI Cobas hanno fatto arretrare il fronte padronale. Perfino gli scandali e le inchieste sui giri di evasione fiscale e contributiva che hanno coinvolto importanti filiere (Dhl e Brt su tutte), vengono usati strumentalmente dai padroni a proprio uso e consumo. Invece di porre fine una volta e per tutte al sistema degli appalti e dei subappalti, la strategia padronale è quella di andare verso il loro superamento formale, ma con l’obiettivo di imporre un balzo all’indietro della condizione operaia, con il ritorno a livelli salariali, di orario, normativi indecorosi, e l’azzeramento delle libertà sindacali – cancellando così un intero ciclo di lotte. Questa manovra troverà pane per i suoi denti, com’è accaduto alla FedEx. Ma intanto anche quella parte del padronato della logistica che aveva accettato di firmare accordi migliorativi di secondo livello affila le armi, contando sull’aiuto solerte di Cgil-Cisl-Uil, della magistratura e delle forze della repressione.
Il governo Meloni, quindi, governo del grande capitale, e non solo rappresentante di quel pulviscolo di mezze classi, piccoli accumulatori e campioni del sommerso, ai quali Meloni&Co. hanno comunque regalato nuove sanatorie e la depenalizzazione dei reati fiscali – senza dimenticare il chiodo fisso della flat tax, verso cui questo esecutivo intende marciare a piccoli passi con l’ulteriore riduzione delle aliquote. Governo del grande capitale e governo della guerra, perché allineato in pieno alla politica atlantista e bellicista del governo Draghi e della presidenza della repubblica – giusto il contrario dello scatto “sovranista” che si aspettavano certi “rosso”-bruni.
Per tale lo abbiamo salutato appena si è costituito. La sua legge finanziaria, la sua politica estera hanno confermato il nostro giudizio. Ma è il caso di entrare nel merito della sua azione per provare a comprendere come mai il governo “più a destra degli ultimi 70 anni” abbia goduto finora di una pace sociale quasi totale.
Una condizione fondamentale perché ci sia pace sociale è la divisione della classe lavoratrice, che non è certo cosa recente né di superficie. Per approfondire le divisioni già esistenti nella classe, e accentuarne l’attuale paralisi, la manovra del governo Meloni si è svolta in due direzioni: attacco ai nuovi immigranti, attacco ai percettori del reddito di cittadinanza.
Sul primo fronte, le misure contro le Ong, oltre che ad aumentare costi, rischi e lutti delle traversate in mare, sono servite a intimidire l’intero campo delle popolazioni lavoratrici immigrate, e a rinfocolare sospetti e inimicizia verso di loro, il “nemico esterno”. Razzismo di stato classico.
Sul secondo fronte, la decisione di segare il reddito di cittadinanza e la rivoltante campagna mediatica, politica, ideologica contro i “divanisti” orchestrata da parassiti incollati da decenni a poltrone di lusso da 15.000 euro il mese, hanno approfondito il solco tra chi un lavoro ce l’ha, ma è costretto a sopportare orari di lavoro interminabili con paghe sempre più erose dall’inflazione, e chi è invece relegato ai margini del mercato del lavoro dalle più varie circostanze avverse della propria esistenza.
Questo doppio attacco sta allargando l’esercito proletario di riserva storicamente amplissimo in Italia, il paese della sconfinata economia sommersa. La concorrenza tra lavoratori e lavoratrici per posti di lavoro invariabilmente precari e saltuari sta spingendo molti all’emigrazione, altra valvola di sfogo delle possibili tensioni sociali. E l’opera di divisione andrebbe ulteriormente in profondità se il governo riuscisse a varare la formalizzazione delle gabbie salariali e il rafforzamento delle autonomie delle singole regioni. Aiuto di stato all’intensificazione dello sfruttamento e alla svalorizzazione del lavoro – un tipo di aiuto su cui l’Unione europea non ha mai alcuna obiezione da fare. Anzi!
C’è anche un terzo versante dell’azione governativa che riguarda le lavoratrici e le donne senza privilegi: il riconfermato taglio dei servizi, l’abolizione dell’opzione donna in materia pensionistica, e la politica di incentivazione delle nascite penalizzano la loro condizione gravandole di carichi di lavoro di cura insostenibili, spingendole verso la povertà, specie se sono capifamiglia, e verso quella ghettizzazione nella prigione domestica che le destre di tutto il mondo considerano il territorio naturale per la felicità e l’auto-realizzazione delle donne. Un aiuto di stato a ristabilire la tradizionale gerarchia uomo-donna che tanto ha depotenziato in passato la lotta di liberazione delle donne e di tutti gli oppressi.
Insomma, con l’esecutivo in carica siamo nel pieno solco delle politiche “neo-liberiste” degli ultimi decenni, radicalmente a favore del capitale. Dunque: quale underdog, quale diseredata?, come la Meloni si è definita. Un nuovo cane da guardia del padronato e del sistema capitalistico. Niente di sorprendente, essendo a capo di un governo borghese. Non stiamo qui a discutere se l’attuale governo sia la soluzione ideale per la borghesia italiana in questo momento oppure no, o a divinare se durerà o meno i 5 anni pronosticati dalla Meloni. In tempi di furiosi scontri inter-capitalistici come questi, è difficilissimo che ci siano governi stabili anche in paesi più solidi dell’Italia. Ci interessa, piuttosto, mettere a fuoco lo specifico messaggio potenzialmente insidioso che il nuovo esecutivo stalanciando – a parte l’essere guidato da una “donna”, una carta che comunque i mass media hanno avvalorato come interessante e innovativa.
Chiamare direttamente in causa il fascismo porta fuori strada. Sebbene non manchino nel governo e nella sua maggioranza i nostalgici, tipo La Russa, che ha reso solenne omaggio al Msi, malapianta nata a Salò e costituzionalizzata dai democratici De Gasperi e Togliatti, o Durigon con i suoi balilla, quell’esperienza di dittatura borghese è consegnata, per il momento, al passato. Non solo dalle destre, dall’intera classe dominante. Non c’è un pericolo proletario immediato da stroncare travestendosi da “rivoluzionari” alla Mussolini, pronti a rivoluzionare il quadro istituzionale borghese pur di salvare il capitalismo. Più che l’esaltazione dello stato, il mussoliniano “tutto nello stato e per lo stato, niente al di fuori dello stato e contro lo stato”, il credo meloniano è costruito intorno alla patria e ai valori tradizionali: fede, famiglia, nazione come comunità di radici ereditate e di destino degli autoctoni, stato nazionale come difensore di questa “identità”. Il suo è un programma di “restaurazione della compattezza nazionale” per assecondare un rinnovato slancio esterno da potenza neo-coloniale, imperialista, in difficoltà.
Si spiegano in questo quadro una serie di decisioni, di affondi propagandistici, di proposte locali provenienti dall’area di FdI: dalla formazione di un Comitato nazionale di bio-etica dominato dai cattolici più conservatori ostili alla legge 194 alla “battaglia per la natalità” densa di conseguenze per la condizione femminile; dall’idea di istituire una “Giornata regionale dei giovani al servizio della patria” per ricordare “i ragazzi del ‘99” (avanzata da FdI in Veneto) alla pretesa di riscrivere gli “anni di piombo” trasformando gli apparati dello stato e le destre da carnefici in vittime; dalla “riabilitazione del merito” a quella della gerarchia in ogni ambito della vita sociale; dalla rivendicazione di Dante come padre nobile della destra a quella del clericalismo dei valori non negoziabili di Wojtyla.
Sarebbe miope prendere sottogamba questa offensiva culturale, ideologica. Perché si propone di fornire un “orizzonte di senso” nel mezzo di una crisi epocale della civiltà capitalistica, prospettando un’uscita in positivo, “comunitaria”, dall’individualismo, dall’assenza di certezze, dal nichilismo, dai fenomeni di decomposizione sociale – mali sociali reali che affliggono e spesso funestano l’esistenza dei salariati e della gente priva di privilegi (basti considerare la diffusione delle droghe, chimiche e spirituali, e il tasso di suicidi in ascesa). La presa sociale anche in larghi ambiti proletari dell’Internazionale nera dei Trump, Bolsonaro, Le Pen, dei gemelli Kaczinsky, di Orban, Vox e così via (inclusi i cardinali Viganò, Burke, Muller e le relative reti di potere), si spiega con la capacità di questi soggetti e dei loro movimenti/associazioni/partiti di prospettare demagogicamente una via di uscita globale dalle angoscianti incertezze del presente – una via di uscita nel segno della “vita”. Estremo paradosso, poiché si tratta di membri a tutti gli effetti dell’Internazionale capitalistica della morte. Ma è un paradosso che ha preso corpo in Occidente per l’assenza dalla scena – come forza realmente rivoluzionaria, come unico effettivo “partito della vita e della specie” – del movimento proletario internazionale e internazionalista. E sarebbe davvero ingenuo immaginarci che nelle nazioni in ascesa queste tematiche non abbiano alcun fascino – avete presenti i discorsi di Putin contro il satanismo e l’ideologia gender, la riscoperta dell’organicismo confuciano da parte di Xi Jin Ping e del PCC, le declinazioni del “vero maschio” proprie del premier indiano Modi, per tacere del pensiero della teocrazia islamista al potere in Iran?
L’ambizione di Meloni&Co. è di usare il suo “dio, patria, famiglia” per rilanciare il ruolo dell’Italia nel mondo. Essendo entrata sulla scena mondiale una molteplicità di attori capitalistici dalle grandi forze e potenzialità, non si potrà più trattare, come un secolo fa, del sogno di conquistare un posto al sole. Ma si punta almeno ad uscire parzialmente dall’ombra, bloccando ed invertendo il declino del capitale made in Italy dalle postazioni raggiunte negli anni ‘80 dello scorso secolo. Ed ecco, dopo lo stop ai rapporti energetici con la Russia imposto da Washington, il riorientamento dell’imperialismo italiano verso il Nord Africa, con i viaggi in Algeria e in Egitto “per arginare Russia e Cina”, viaggi compiuti ostentatamente sulle orme di Enrico Mattei (che gonzi quelli che si sono richiamati al suo nome credendo di essere contro l’élite del capitale!); la Conferenza sui Balcani a Trieste per “sancire un nuovo attivismo politico dell’Italia nella regione”; l’accordo con Regno Unito e Giappone per produrre caccia bombardieri Tempest; la conferma della decisione di accettare nuove atomiche NATO in Italia e di costruire a Pisa, con i fondi Pnrr, una nuova enorme base militare. In tutti questi casi l’attivismo del governo Meloni equivale ad una semina di guerre.
Davanti a questo progetto che riprende e capitalizza decenni di proiezione internazionale liberale, fascista, democratica che hanno reso l’Italia un paese imperialista dall’inizio del secolo scorso, fanno la parte degli scemi del villaggio quanti pretendono di insegnare a professionisti del rango di Mattarella, Draghi e Meloni come si potrebbe difendere meglio l’interesse nazionale “uscendo dalla NATO e dalla UE” – e come, di grazia, mettendo nell’urna una croce sui nomi di Rizzo, Toscano o Fusaro? Anche noi internazionalisti siamo per la cancellazione definitiva dalla faccia della terra di NATO e Unione Europea, ma affidiamo questa battaglia, che sarà inevitabilmente molto cruenta, all’unione di lotta tra i lavoratori di tutti i paesi della NATO e dell’Unione europea per edificare sulle loro ceneri non la “sovranità dell’Italia” o un ordine multipolare comunque ultra-capitalistico, ma un mondo nuovo senza schiavitù salariata, senza competizione tra aziende e individui, senza guerre, senza sovrani né sudditi, nel segno della cooperazione sociale universale.
Parte integrante del “messaggio” meloniano è l’uso del manganello democratico con maggiore violenza dei suoi predecessori. Ordine! L’ordine del capitale, s’intende. Il decreto +rave varato in fretta e furia nei primi giorni di operatività dell’esecutivo ha svelato l’intenzione di fondo del governo e dei vertici dello stato: colpire gli “assembramenti”, colpire ogni forma di manifestazione di massa che possa disturbare la “quiete pubblica” (non le orecchie dei vicini, ma quelle della classe dominante). Se ciò non bastasse, ecco la cinica persecuzione contro Alfredo Cospito. La sua coraggiosa, ostinata protesta contro l’art. 41 bis come strumento di tortura, è stata trasformata dal governo in un attentato terroristico che mette a rischio l’esistenza stessa dello stato – uno stato che sarebbe “preso in ostaggio” (!!?) da chi, in realtà, è il suo ostaggio murato vivo nella gabbia del 41 bis. La matrice politica di questo provvedimento fondato unicamente sull’odio di classe e sullo spirito di vendetta, e che utilizza in modo spregiudicato i dispositivi dell’intero impianto repressivo ereditato e mutuato dal codice Rocco, è stata brillantemente sintetizzata in una dichiarazione dell’avvocato F. Rossi Albertini, che non ha bisogno di commenti: “Neanche la strage di piazza Fontana è stata considerata come un’azione che mette in pericolo la sicurezza dello stato. Nella vicenda Cospito, più che la pericolosità dell’azione, è sotto accusa la soggettività dell’imputato e la matrice ideologica” (rivoluzionaria).
Può stupire il clamore intorno a questo “caso” e, certo, ha contato l’imprevista solidarietà intorno alla lotta di questo compagno anarchico. Ma con la linea della “fermezza”, con l’immondo abuso dell’accusa di terrorismo, il governo Meloni sta lanciando un monito preventivo alle lotte di massa di domani, che sa essere inevitabili. Così facendo pungola polizia, carabinieri, magistratura e, di scorta, l’amica mafia che può sempre tornare utile, ad un’azione repressiva maggiormente aggressiva contro i “facinorosi” di turno. Per questi assassini professionali, perfino gettare un po’ di vernice su un quadro diventa un delitto da esecrare e punire in modo esemplare con il carcere. Del resto è una tendenza generale in Occidente: in alcuni stati dell’Amerika rompere una vetrina è già inquadrabile come reato di terrorismo, nel Regno Unito si prepara una draconiana legislazione anti-sciopero, in Francia la brutalità della polizia s’avvicina giorno dopo giorno a quella d’oltre Atlantico, in Germania botte da orbi contro i giovani ecologisti, per non dire del solito imbattibile primato di Israele nello spargere il sangue dei suoi nemici e nel militarizzare la vita sociale. Poi ci vengono a raccontare balle sulla lotta mortale tra democrazia/libertà e autocrazia/repressione…
Vorremmo sbagliarci, ma dopo aver osservato i successi ‘popolari’ di formazioni simili a Fratelli d’Italia in altri paesi occidentali, e constatando il perdurare della stasi sociale, ci viene da dire: attenzione alle insidie dell’operazione-Meloni! Certo, le ragioni dell’attuale pace sociale affondano in almeno quattro decenni di offensiva capitalistica a tutto campo e di trasformazioni radicali nella divisione del lavoro, nel mercato del lavoro, nell’organizzazione del lavoro, nel contenuto del lavoro, nell’ideologia dei lavoratori – anche la catastrofe dei paesi del “socialismo reale” ha avuto il suo peso, fiaccando ulteriormente la volontà di lotta di settori della classe operaia che si erano illusi sulla capacità di quei regimi di essere un contrappeso alla potenza devastante dell’imperialismo. Ma proprio perché abbiamo alle nostre spalle questa fase storica di disorganizzazione e di smarrimento dei proletari, specie qui in Italia e in Europa; proprio perché le nuove generazioni non hanno né esperienza delle guerre né esperienza di accesi conflitti sociali e politici; il governo delle destre può tentare di raccogliere i frutti di questa lunga offensiva avviando, con il suo aggressivo nazionalismo e razzismo, un processo di mobilitazione popolare intorno al rilancio dell’Italia e mettendo alla gogna i nemici esterni e interni, i “terroristi”, i disfattisti.
Un banco di prova importante, per l’esecutivo, è quello della guerra in suolo ucraino tra Nato e Russia. Per il governo non sarà agevole, perché sono più diffusi di un anno fa il sentimento di contrarietà all’invio di altre esiziali armi al governo Zelensky e l’orientamento a “star fuori” dalla guerra, o a fare qualcosa per impedirne gli sviluppi più disastrosi. Allo stesso modo, per quanta paura e apatìa possa esserci nella massa dei proletari e dei salariati, l’oltranzismo padronale e governativo costringerà masse di sfruttati/e a esprimere con la lotta il loro malcontento, la rabbia accumulata, e masse di giovani studenti a non limitarsi a proteste simboliche sui temi dell’ecologia e della formazione al lavoro salariato. Di sicuro è di incoraggiamento che in Francia e nel Regno Unito le piazze stiano tornando a riempirsi di scioperi e di massicce dimostrazioni, per quanto ancora zavorrate dalle illusioni welfariste del passato e dall’assurdo feticcio della legge borghese che non può essere violata.
Nessuno è in grado di conoscere il tempo del ritorno in campo di un’accesa lotta di classe dal basso, quella dall’alto non essendo mai cessata. Una sola cosa è sicura: non solo dal PD, ormai divenuto un partito liberal-democratico, anche dalla cosiddetta sinistra, si tratti di Sinistra italiana, dei 5 Stelle, della mucillagine “rosso”-bruna; o della “sinistra sindacale”, CGIL e opposizione in CGIL (esiste?); o di gran parte del sindacalismo “di base” sempre più privo di classismo e compatibilista, non verrà alcun contribuito alla rottura della pace sociale. Al contrario, vedremo ripetersi lo spettacolo indecoroso della campagna contro il reddito di cittadinanza: restare in silenzio, non prendere posizione, oppure prendere posizione ma senza chiamare alla mobilitazione, in modo da non farsi nemici né in alto, né in basso, soprattutto in alto. In alcuni casi, ad esempio in fatto di bellicismo e di atlantismo, questa cosiddetta sinistra, o parte di essa, batte in oltranzismo il governo. E forse i peggiori sono quelli che a parole si dicono contro la guerra, restando però abbarbicati ai militaristi assatanati del Pd. Del resto i “valori non negoziabili” di queste cosiddette sinistre non sono meno borghesi e putrescenti di quelli delle destre.
Benché con effettivi quanto mai limitati, il coordinamento delle forze che hanno dato vita al convegno contro la guerra in Ucraina il 16 ottobre a Roma, le energie militanti disponibili alla costruzione di un polo di classe coerentemente internazionalista, la parte più combattiva del sindacalismo di base, il SI Cobas per primo, sono chiamati a promuovere insieme nelle prossime settimane un’iniziativa di propaganda e di agitazione contro le guerre del capitale, contro il governo Meloni e la Confindustria, contro la repressione e il razzismo. La giornata di lotta del 3 dicembre a Roma ha indicato la via da percorrere. Ancora una volta il nocciolo duro dei proletari immigrati della logistica organizzati con il SI Cobas ha lanciato il suo messaggio di resistenza, di unità, di lotta, e non mancherà il suo apporto nei mesi a venire. Ma dobbiamo puntare più in alto e in largo, rivolgendoci ostinatamente alla massa dei lavoratori delle lavoratrici, dei giovani messi in moto dai cambiamenti climatici, degli strati popolari impoveriti dal corso catastrofico degli eventi.
Le destre “sociali” italiane e mondiali amano sventolare i propri ideali, parlando anche ai cuori degli oppressi più schiacciati e disperati, di una rigenerazione completa, radicale, “rivoluzionaria” delle società borghesi che sanno da tempo essere in decadenza. Le esperienze del nazismo, del fascismo, del franchismo, etc., hanno fatto luce a sufficienza su cosa possa essere una simile, mortuaria “rigenerazione”. Ma che serva una svolta radicale nella storia del mondo è evidente e urgente. Ad un capitalismo italiano e mondiale aggrovigliato nelle sue esplosive contraddizioni, determinato a farci pagare il suo fallimento storico con sacrifici e guerre apocalittiche, dobbiamo contrapporre la prospettiva del rivoluzionamento totale dei rapporti sociali e dei rapporti uomo-natura. È ora di sbarazzarci di ogni timidezza da spirito minoritario, e rivendicare a noi rivoluzionari proletari, a noi comunisti internazionalisti, di avere lottato in passato e di lottare ora per mandare in pezzi, con la rivoluzione sociale anti-capitalista, il sistema che ci sta togliendo il respiro e promette di toglierci il futuro.
2 febbraio