Somalia, Corno d’Africa, potenze, Kenia
Il Kenya sviluppa un piano per la regione satellite di Jubaland sul confine somalo
Un piano per la sicurezza della North Eastern Province – Nairobi nel pantano somalo
– L’operazione militare del Kenya (chiamata “Linda Nchi”, proteggi la nazione) in Somalia, preparata dal 2010, è iniziata su spinta di alleati occidentali (Usa e Francia) il 16 ottobre scorso, con 2000 soldati contro i ribelli di al-Shabaab, che controllano gran parte del Sud.
L’intervento keniano in Somalia ha raccolto le adesioni delle milizie di Ahlu Sunna Wal Jamma e Ras Kamboni, alleati sempre più indipendenti rispetto alle posizioni del Gft.
Sul piano internazionale, l’approccio statunitense al conflitto somalo non sembra essere in disaccordo con la creazione di un’amministrazione autonoma stabile nel sud del paese. (posizione non condivisa da Limes, cfr.) Carson, il 20 ottobre 2010, a Washington, presso il Center for Strategic and International Studies, aveva però precisato che non è intenzione americana legittimare lo smembramento del paese, riconoscendo un singolo stato somalo.
– L’ultimo ciclo di carestia e il conflitto che colpisce soprattutto il Sud della Somalia ha spinto in territorio keniano centinaia di migliaia di rifugiati somali, ammassati, in quasi mezzo milione, nei campi profughi che circondano la città di Dadaab. Una presenza scomoda per il governo di Nairobi, divenuta preoccupante a partire dall’estate 2011, con oltre 1300 somali che mediamente ogni giorno varcavano la frontiera keniana.
o La creazione di Jubaland potrebbe attenuare gli arrivi di profughi, salvaguardando la stabilità della North Eastern Province keniana, storicamente abitata, peraltro, da popolazioni di etnia somala e oromo.
o Secondo il quotidiano Daily Nation, l’invasione della Somalia costerà ad ogni contribuente keniano tra i 7.000 e i 10.000 scellini al giorno, pari a circa 49 e 70 euro, per ogni soldato mantenuto sul campo. Il Ministero del tesoro keniano ha inoltre deciso di dirottare verso il Dipartimento della Difesa 6,7 miliardi di scellini (pari ad oltre 47,5 milioni di euro), 13 miliardi (oltre 92 milioni di euro) sono, invece, stati stanziati, tre mesi prima del conflitto, per i servizi di intelligence.
Il paese non sembra essere in grado di sostenere una presenza prolungata sul territorio somalo, vista anche la pressione sul budget di bilancio, già sotto dura prova con un deficit di 236 miliardi di scellini (167 milioni di euro).
La stagione delle piogge, la guerriglia islamista e l’assenza di infrastrutture in Somalia, non lasciano intravvedere, tuttavia, una guerra lampo.
o Occasione del lancio dell’operazione una serie di uccisioni e sequestri di cittadini europei, di cui sarebbe responsabile il movimento islamista Al Shabaab, che ha sempre negato il proprio coinvolgimento.
o Al Shabaab ha promesso di rispondere attaccando in Kenya la comunità somala.
– Se l’invasione riesce il porto keniano di Lamu potrebbe essere trasformato in terminal per il petrolio dal Sud Sudan e dal Nord del Kenya, e collegare con una rete di strade e ferrovie l’Etiopia e il Sudan all’Oceano Indiano.
o Altra ipotesi è il dispiegamento delle forze della missione Amison, a cui potrebbero unirsi i soldati keniani. L’avanzata delle truppe keniane è stata rallentata nelle prime due settimane dalle forti piogge.
– Questo progetto, ancora allo studio, sarebbe sostenuto da quasi $10MD di investimenti cinesi, ma è incompatibile con l’area di insicurezza creata da al-Shabaab.
– Finora il Kenya aveva appoggiato il governo di transizione somalo, appoggiato da truppe di Uganda e Burundi della missione Amison e da Usa, senza essere direttamente coinvolto.
o Secondo le regole dell’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo, formata da Djibuti, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan e Uganda, nessun altro paese ha il diritto di intervenire militarmente in Somalia.
– Il governo keniano si è impegnato a fermare il flusso di armi verso i miliziani islamisti di Al Shabaab;
o L’operazione sembra aver sorpreso anche alleati del Kenya, come l’Etiopia, che pure ha piani di intervento in Somalia ed è contraria ad uno stato amministrato da somali del clan degli Ogadeni, per timore che possa alimentare l’instabilità della regione meridionale etiopica dell’Ogaden, dal 1984 attraversata dalla rivolta dell’Onlf (Ogaden National Liberation Front), movimento indipendentista somalo.
– Il presidente somalo Sheik Sharif Ahmed ha espresso il proprio disappunto in merito alla missione militare keniana nel sud della Somalia; Ahmed è stato smentito due giorni dopo da un comunicato "chiarificatore" del governo federale di transizione (Gft);
– Il primo ministro somalo Abdiweli Mohammed Ali, volato domenica a Nairobi, si è subito impegnato a chiudere la crisi diplomatica chiedendo, attraverso un comunicato congiunto, insieme al suo omologo keniano, il premier Raila Odinga, il supporto via mare della comunità internazionale, in modo da facilitare l’avanzata delle forze armate del Kenya.
– Mohamed ad aprile aveva formato il gruppo di Azania, costituito da 3000 soldati somali del clan Ogaden, e addestrato dal Kenya ed armato con armi cinesi. Il gruppo non si è però rivelato all’altezza dei compiti assegnati.
– Il governo di Kismayio sarà perciò affidato ad altri clan influenti, come i Marehan e ai gruppi armati più potenti della regione, in particolare la milizia Ras Komboni, ex guerriglieri islamisti, che hanno cambiato fronte e combattono al-Shabaab.
– Il Kenya ha sempre sostenuto l’iniziativa di comunità locali della regione di Jubaland (1,3mn. di abitanti) di un’amministrazione laica dei territori controllati dalle milizie radicali di Al Shabaab,
o stato cuscinetto sul confine tra Kenya e Somalia.
Un piano per la sicurezza della North Eastern Province – Nairobi nel pantano somalo
– I residenti di Baidoa, Baadheere, Baydhabo, Dinsur, Afgooye, Bwale, Barawe, Jilib, Kismayu e Afmadow, nel sud della Somalia, potrebbero trovarsi sotto attacco aereo da un momento all’altro, dopo che il governo keniano si è impegnato a fermare il flusso di armi verso i miliziani islamisti di Al Shabaab. Il primo ministro somalo, domenica a Nairobi, risolve, intanto, la crisi diplomatica tra i due paesi.
– Perplessi. Così si sono definiti alcuni diplomatici statunitensi ed europei dopo che, lunedì 24 ottobre, il presidente somalo Sheik Sharif Ahmed ha espresso il proprio disappunto in merito alla missione militare keniana nel sud della Somalia. Ahmed, smentito due giorni dopo da un comunicato "chiarificatore" del governo federale di transizione (Gft), è apparso disorientato a più di due settimane dall’inizio delle operazioni militari. «Molto si è perso nella traduzione» si è limitato a spiegare, il 27 ottobre, Alfred Mutua, portavoce del governo keniano, precisando, che l’invasione è stata programmata e concordata da tempo.
– Il primo ministro somalo Abdiweli Mohammed Ali, volato domenica a Nairobi, si è subito impegnato a chiudere la crisi diplomatica chiedendo, attraverso un comunicato congiunto, insieme al suo omologo keniano, il premier Raila Odinga, il supporto via mare della comunità internazionale, in modo da facilitare l’avanzata delle forze armate del Kenya.
L’operazione militare è iniziata il 16 ottobre scorso dopo l’uccisione nella località di Lamu, l’11 settembre, di un turista britannico, David Tebbutt, il rapimento della moglie, Judith, e il sequestro, il 1 ottobre, di Marie Dedieu, cittadina francese, invalida, deceduta per la mancanza di medicinali, il 19 ottobre. Un casus belli che ha dato il via ad un piano militare già preparato da mesi. Responsabile dei rapimenti, secondo le autorità di Nairobi, sarebbe il movimento islamista Al Shabaab, che ha tuttavia sempre negato ogni coinvolgimento.
Non è la prima volta che gruppi armati somali compiono incursioni oltre confine. Tre cooperanti stranieri sono stati, infatti, rapiti già nell’estate del 2009, mentre, periodicamente, il posto di frontiera di Liboi, in Kenya, e Mandera, sul confine tra Etiopia, Kenya e Somalia, è stato oggetto di ripetuti attacchi da parte di bande di miliziani. La tensione crescente sulla frontiera ha spinto il Dipartimento di Stato statunitense, ancora il 28 dicembre 2010, a diramare un allerta per chi si fosse recato proprio nei pressi della città portuale di Lamu, situata a pochi chilometri dal confine con la Somalia.
– Era il 3 aprile 2011, quando a Nairobi, l’ex ministro della difesa del governo di transizione somalo, Mohamed Abdi Mohamed, detto Gandhi, è stato eletto presidente della sedicente regione autonoma di Jubaland o Azaniya. Un progetto promosso da alcune comunità locali che chiedono, su modello di Puntland e Somaliland, un’amministrazione laica dei territori controllati dalle milizie radicali di Al Shabaab, riunendo, così, le regioni di Gedo, Basso e Medio Juba e una popolazione di 1,3 milioni di persone.
– Il governo del Kenya, che ha sempre visto con favore l’iniziativa, ha, tuttavia, dovuto inizialmente fare i conti con le resistenze di Adis Abeba, contraria alla creazione di uno stato amministrato da somali del clan degli ogadeni, per timore che potesse alimentare l’instabilità della regione meridionale etiopica dell’Ogaden, dal 1984 attraversata dalla rivolta dell’Onlf (Ogaden National Liberation Front), movimento indipendentista somalo.
– Riguardo la Juba Initiative e la creazione di uno stato cuscinetto sul confine tra Kenya e Somalia, il primo ministro etiopico, Meles Zenawi, si era già espresso nel 2010, in un incontro privato con Maria Otero, sottosegretario del Dipartimento di Stato americano.
– Secondo un cablogramma inviato il 31 gennaio 2010 dall’ambasciata statunitense di Adis Abeba, divulgato da Wikileaks, Zenawi avrebbe dichiarato: «[…] che il Governo dell’Etiopia non è entusiasta riguardo la Jubaland initiative del Kenya, ma sta condividendo risorse di intelligence con il Kenya, sperando per un successo. Nell’eventualità che il piano non giunga a buon fine, il Governo ha piani per limitare gli impatti destabilizzanti sull’Etiopia».
– Quali siano questi piani, tuttavia, non è ancora dato sapere. Per il momento è stata segnalata, da alcuni testimoni locali, citati dal quotidiano somalo Mareeg Online, la presenza di 8 veicoli militari etiopici per il trasporto truppe nei villaggi di Qeydar e Marodile, nella regione di confine di Galgudud, nel centro della Somalia. Secondo gli stessi testimoni, i soldati etiopici si troverebbero sul posto per tenere sotto controllo quanto accade nell’area.
– L’intervento keniano in Somalia ha raccolto le adesioni delle milizie di Ahlu Sunna Wal Jamma e Ras Kamboni, alleati sempre più indipendenti rispetto alle posizioni del Gft.
– Sul piano internazionale, l’approccio statunitense al conflitto somalo non sembra essere in disaccordo con la creazione di un’amministrazione autonoma stabile nel sud del paese. Nel 2010, Johnnie Carson, segretario aggiunto al Dipartimento di stato americano, con delega all’Africa, ha chiarito quella da lui stesso definita come la politica del ‘doppio binario’, che gli Stati Uniti avrebbero adottato di lì a poco nei confronti della Somalia.
«Sotto questa strategia, costruiremo più partnership con i governi regionali del Somaliland, del Puntland e con le amministrazioni locali che si oppongono ad Al Shabaab nel centro e nel sud della Somalia, ma che allo stesso tempo non sono alleate del Gft», ha detto Carson, il 20 ottobre 2010, a Washington, presso il Center for Strategic and International Studies, precisando, però, che non è intenzione americana legittimare lo smembramento del paese, riconoscendo un singolo stato somalo.
L’ultimo ciclo di carestia e il conflitto che colpisce soprattutto il Sud della Somalia ha spinto in territorio keniano centinaia di migliaia di rifugiati somali, ammassati, in quasi mezzo milione, nei campi profughi che circondano la città di Dadaab. Una presenza scomoda per il governo di Nairobi, divenuta preoccupante a partire dall’estate 2011, con oltre 1300 somali che mediamente ogni giorno varcavano la frontiera keniana.
Dopo l’attentato, messo a segno da elementi vicini ad Al Shabaab, l’11 luglio 2010, a Kampala, in Uganda, il rischio derivato da possibili infiltrazioni di estremisti ha risvegliato nel Kenya il ricordo delle esplosioni all’ambasciata americana di Nairobi, nel 1998, in cui morirono 213 persone.
– La creazione di Jubaland potrebbe così attenuare gli arrivi di profughi, salvaguardando la stabilità della North Eastern Province keniana, storicamente abitata, peraltro, da popolazioni di etnia somala e oromo.
A pochi giorni dall’inizio delle operazioni, la stampa keniana ha subito pensato di fare i conti in tasca al governo di Nairobi. Secondo il quotidiano Daily Nation, l’invasione della Somalia costerà ad ogni contribuente keniano tra i 7.000 e i 10.000 scellini al giorno, pari a circa 49 e 70 euro, per ogni soldato mantenuto sul campo. Il Ministero del tesoro keniano ha inoltre deciso di dirottare verso il Dipartimento della Difesa 6,7 miliardi di scellini (pari ad oltre 47,5 milioni di euro), 13 miliardi (oltre 92 milioni di euro) sono, invece, stati stanziati, tre mesi prima del conflitto, per i servizi di intelligence.
Il quotidiano keniano offre un dettagliato resoconto di quanto Nairobi dovrà spendere per la guerra in Somalia, considerando persino i costi dovuti ai risarcimenti per le famiglie delle vittime del conflitto. Il paese non sembra essere in grado di sostenere una presenza prolungata sul territorio somalo, vista anche la pressione sul budget di bilancio, già sotto dura prova con un deficit di 236 miliardi di scellini (167 milioni di euro).
La stagione delle piogge, la guerriglia islamista e l’assenza di infrastrutture in Somalia, non lasciano intravvedere, tuttavia, una guerra lampo. Intanto, sabato, nel corso di una conferenza stampa, il capo delle forze armate keniane, Julius Karangi, si è affrettato a puntualizzare: «Quando il governo e il popolo del Kenya si sentiranno sufficientemente al sicuro dalla minaccia di Al Shabaab, allora potremmo ritirarci».
The Guardian 111108
Kenya develops plan for satellite region of Jubaland on Somali border
– Invasion success could see Kenyan port converted to oil terminal to ship oil from Sudan and road links from Ethiopia to Indian Ocean
– It is the middle of the night in Eastleigh, a district of Nairobi mainly occupied by the Somali community. Jamal Sharif has not slept for 48 hours, steadily chewing miraa stems, which contain a mild amphetamine that dispels fatigue and makes people talkative.
Sharif is terrified the rest of Kenya might "attack and kill" Somali residents, and even those of Somali extraction. Operation Linda Nchi (Protect the Nation), which Kenya launched in mid-October, is already yielding poisonous fruit.
– The army sent about 2,000 men across the border into Somalia to combat Islamist al-Shabaab insurgents who control much of the south. Al-Shabaab has promised to respond with attacks inside Kenya, endangering the Somali community, particularly in poor areas where lynching is commonplace. There have been a number of attacks.
– There is more to operation Linda Nchi than just an incursion by a powerful neighbour. Until now Kenya has supported the Somali transitional federal government, which is backed by Ugandan and Burundian troops belonging to the African Mission in Somalia (Amison), and the US, without becoming directly involved.
– Under rules set by the Intergovernmental Authority on Development, formed by Djibouti, Ethiopia, Kenya, Somalia, Sudan and Uganda, no other country is empowered to launch a military intervention in Somalia.
– Several sources agree, however, that the Kenyan intervention plan was discussed and decided in 2010, then finalised with input from western partners, including the US and to a lesser extent France. Nairobi seems to have seized on kidnappings of foreign nationals by Somali groups on Kenyan territory as an excuse to launch an operation ready and waiting.
– The final decision, taken precipitously, apparently surprised allies of Kenya, such as Ethiopia, which also has plans to intervene in Somalia. It is thought that both countries want to carve out zones of influence.
– Nairobi plans to set up a semi-autonomous region, Jubaland. A puppet government would be used to control resources and facilities, starting with Kismayo, a port used by smuggling networks with Kenyan links, according to a UN report published in July.
– If the Kenyan army took control of Kismayo and established a satellite region in Jubaland, who would run it? The former Somali defence minister, a French-educated anthropologist, Mohamed Abdi Mohamed, seemed a good choice.
– In April he formed the Azania group, made up of Somali soldiers belonging to the Ogaden clan and trained by Nairobi at Isiolo in Kenya.
– But plans for Azania have been cut down. Equipped by Nairobi with arms supplied by China, as revealed by WikiLeaks cables, Azania’s 3,000-strong force did not live up to expectations in the field. Ethiopia also objected to an Ogadeni principality being established on its doorstep: Addis Ababa is already combating a rebellion led by the Ogaden National Liberation Front, which finds recruits among this clan. So the task of governing Kismayo will be allotted to other influential clans, primarily the Marehan, and the most powerful armed groups in the region, in particular the Ras Kamboni militia, former Islamist combatants who have been "turned round" to fight al-Shabaab.
– However, if Kenya does capture Kismayo, another solution is now being considered. Amisom forces from Mogadishu could be deployed there, at which juncture Kenyan troops could join the ranks of the African Union[e] force. This would also pave the way for a major infrastructure project in the region. Lamu, Kenya’s traditional port, mainly used for luxury tourism until now, would be converted into an oil terminal, providing an outlet for the as yet unexploited oilfields of southern Sudan and northern Kenya. Radiating out from Lamu, a rail and road network would connect Ethiopia and Sudan to the Indian Ocean.
– This scheme, which is still under study, would be supported by almost $10bn in Chinese investments. But it is obviously not compatible with a zone of insecurity maintained by al-Shabaab.
However, the advance by the Kenyan military is not going as well as hoped: it rained steadily for the first fortnight of the intervention and heavy vehicles were bogged down.
This article was originally published in Le Monde