Rocco Cotroneo
Dopo 8 anni di liti,
l’opposizione venezuelana sceglie Rosales per il voto di dicembre
MIAMI — L’impresa resta difficile, ma non più
impossibile: scalzare dopo otto anni Hugo Chávez dalla presidenza del
Venezuela. Con un candidato forte e credibile. Il prescelto per la sfida lo si
conoscerà nelle prossime ore, sempre che l’opposizione non ricada nell’impasse
autolesionista che ha aiutato l’ex parà dal basco rosso a diventare il
governante più longevo dell’America Latina. Con l’eccezione — ovviamente —
dell’amico e maestro Fidel Castro.
La campagna elettorale per le presidenziali del 3 dicembre prossimo è già
partita. Hugo Chávez ne parla poco. Preferisce viaggiare per il mondo a
tessere alleanze con i nemici degli Stati Uniti, magnificare i risultati della
Revolución boliviariana e, tornato a casa, mandare abbracci a Fidel, sul cui
recupero fisico non ha dubbi. L’opposizione invece vive ore cruciali. Gli
aspiranti al duello con Chávez sono d’accordo da tempo su una candidatura unica.
C’è anche una data fissata per le primarie, una consultazione popolare sulla
scelta del nome, il prossimo 13 agosto.
Ma è possibile che non si svolga, perché le trattative tra i due candidati con
maggiori chance di vittoria sono ad un buon punto. Tutto lascia pensare che
il prescelto sarà Manuel Rosales, 54 anni, attuale governatore di Zulia, lo
Stato venezuelano più ricco di petrolio. L’altro candidato forte, Julio Borges,
si è già detto disposto a farsi da parte e aiutare Rosales. Borges, 37
anni, è il leader di Primero Justicia, un movimento nato nell’era chavista,
lontano dai partiti tradizionali, ormai ridotti a ben poco. Ha l’handicap
di non essere troppo conosciuto fuori dalla classe media di Caracas, la cui
rabbia anti-Chávez negli anni scorsi ha fatto parecchio rumore e non ha
ottenuto nulla. Per tentare di mandare a casa Hugo, meglio un politico più
attrezzato come Rosales.
I sondaggi lo confermano: se si svolgessero le primarie il 57 per cento
voterebbe per Rosales e solo il 27 per Borges. Si è chiamato fuori il terzo
candidato, il giornalista Teodoro Petkoff, ex guerrigliero, poi ministro negli
anni Novanta, lucido critico di Chávez da posizioni di centrosinistra.
Petkoff era contrario alle primarie e, coerentemente, ha rinunciato per
facilitare la scelta di una candidatura unica. Sostiene che dividersi prima di
affrontare Chávez sarebbe sì democratico, ma controproducente. L’opposizione
è già reduce da due battaglie andate a vuoto: il referendum contro Chávez
dell’agosto 2004, perduto, e la decisione di non presentare candidati alle
legislative dello scorso dicembre. Oggi il Venezuela ha un Parlamento chavista
al 100 per cento, per non parlare delle altre istituzioni già «occupate»
dai bolivariani. L’Aventino di Caracas avrà magari aiutato a diffondere nel
mondo l’idea che il Venezuela sia una dittatura in fieri, ma sul piano interno
è stato un disastro. Oggi tutti i candidati ne prendono le distanze.
Alfredo Keller, politilogo e sondaggista, vede Chávez ancora largamente
favorito, con il 57 per cento di appoggio, ma non imbattibile. «Piace alla
gente per quel che dice — spiega — Ma quando si chiede cosa ha fatto realmente
per il Venezuela, i dubbi aumentano». Gli indecisi sarebbero ancora il 30 per
cento. Altri istituti più vicini al governo vedevano fino a poche settimane fa
una maggioranza più schiacciante, 66 a 34 nel caso di una sfida a due. Ora si è
aperta l’incognita di una candidatura a sorpresa, quella dell’attore e umorista
Benjamin Rausseo, conosciuto in Venezuela come «el Conde del Guacharo» dal suo
personaggio più popolare. Rausseo dice di stare al centro, a metà strada tra
Chávez e i suoi acerrimi nemici. Secondo alcuni commentatori è una candidatura
di disturbo, che porterebbe acqua solo al mulino del presidente. «In comune con
lui — ha risposto l’attore — ho solo la faccia abbronzata e la parlantina».
La popolarità di Chávez continua a sostenersi sulle ingenti spese sociali e
i programmi a favore dei poveri, finanziati dal petrolio. Nel 2006, anno
elettorale, la spesa pubblica ha toccato livelli record.
Consapevole dell’ostacolo, l’opposizione chiede un cambiamento senza
demonizzare i benefici ottenuti dalla popolazione. Vuole convincere il
Venezuela che la retorica chavista e il populismo in economia sono una bolla
che prima o poi scoppierà, lasciando lo Stato a pezzi.