Il comandante Nato a Kabul «Troppi errori nella missione»

Andrea
Nicastro

Richards: non dovevamo impegnarci
così presto nel peacekeeping


Il comandante della missione ISAF
(DAVID RICHARDS, GB): Siamo passati troppo presto a un approccio di pace, così
i Taliban si sono ripresi.

Dai militari britannici critiche crescenti agli USA per
l’eccessivo peso alla guerra irachena rispetto a quella afgana. Solo uno
“scaricabarile” o un cambio di strategia?

Certamente le strategie militari
dei britannici, che guidano la missione, sembrano spostare il peso dalle
iniziative militari (che spesso non hanno dato i frutti sperati) alla
ricostruzione (per intaccare il consenso di cui godono i Taliban).


KABUL — Compreresti un’ auto usata dal Pentagono? I
generali britannici no. In una settimana i vertici militari di Londra hanno
lanciato tre bordate in direzione di Washington
. Primo (anche in virtù del
grado) è stato il capo di Stato Maggiore di Sua Maestà, Richard Dannat, per
il quale i soldati stranieri sono parte del problema iracheno e «più restiamo
laggiù e peggio è»
. Martedì è toccato a Ed Butler, comandante di un
battle group di paracadutisti
appena rientrato in patria dopo mesi a
sparare ai talebani. «Siamo stati impiegati nel Sud dell’Afghanistan in
ritardo perché assorbiti dalla guerra in Iraq. Fossimo arrivati in forze subito
dopo la cacciata dei talebani, questi non avrebbero avuto il tempo di
riguadagnare consensi»
. Ieri è toccato al superiore di Butler entrare a
gamba tesa sulle tattiche di guerra globale al terrorismo del presidente Bush. Il
generale David Richards, comandante in capo delle forze Nato in Afghanistan, è
stato solo più delicato del suo parà. «Col senno di poi, risulta evidente che a
Kabul abbiamo adottato troppo presto un approccio da tempo di pace. I talebani
erano sconfitti, tutto sembrava volgere in positivo e non abbiamo colto
l’occasione»
. Quando il generale dice «noi» intende «gli americani», dato
che erano loro a dirigere le operazioni fino al primo luglio, quando il comando
è arrivato a lui. E, seconda esegesi: «troppo presto» non può che significare
fine del 2002 (un anno dopo la conquista di Kabul) quando l’attenzione Usa si è
spostata sull’attacco a Saddam Hussein. Da allora sviluppo economico e
sicurezza non sono andati alla velocità che gli afghani si aspettavano e,
continua il generale Richards, «i talebani hanno approfittato della
frustrazione per riguadagnare consensi»
. Esattamente il pensiero del parà.
Davanti c’è l’inverno. «I prossimi sei mesi saranno decisivi per meritarsi
la fiducia della popolazione»
.
Le critiche britanniche potrebbero essere uno scarica- barile di fronte al
rischio fallimento in Iraq e Afghanistan. Oppure i prodromi della svolta,
almeno a Kabul dove il comando è diventato britannico e, in teoria, gli Usa si
limitano a fornire la copertura aerea alla Nato. Il ritiro di questi giorni da
Musa Qala, uno degli avanposti in territorio talebano, difeso con più vite
umane, potrebbe essere il primo passo in una nuova direzione: basta confronto
puramente militare, meglio puntare sull’economia
. Musa Qala è nella
martoriata provincia di Helmand, dove il fotografo Gabriele Torsello è stato
appena rapito. Il portavoce britannico ha dovuto negare le voci che il ritiro
sia frutto di un accordo con i talebani. Ma non ha convinto tutti, mentre resta
il fatto che un cambio di tattica è necessario. Sulla carta, le ricette dei
comandi britannici finiscono per assomigliare a quelle di critici storici
dell’intervento militare come Marco Garatti, chirurgo e responsabile dei tre
ospedali di Emergency nel Paese
.
«In Afghanistan — sostiene il medico — ci sono problemi fin dentro Kabul. In
cinque anni la capitale è cresciuta da uno a 4,5 milioni di abitanti, ma resta
senza fogne, acqua, lavoro. La malavita è fuori controllo, la polizia corrotta
e inefficiente, gli attentati suicidi in crescita. C’è chi si è molto arricchito
con il traffico di oppio e rubando sugli aiuti internazionali. Altri che non
hanno nulla. Ed è chiaro che la disparità alimenta la violenza. Fuori dai
centri maggiori che più o meno assomigliano a Kabul, ci sono altri problemi. Il
disarmo delle milizie avviato dal governo ha indebolito i poteri precedenti,
eppure l’autorità statale non ha preso il posto dei capi tribù o dei signori
della guerra. L’hanno fatto i trafficanti e i criminali prima ancora dei
talebani».
Ormai da cinque anni fisso in Afghanistan, il chirurgo vede anche un altro
fenomeno: i voltagabbana
. «I fiumi di soldi del narcotraffico permettono di
comprare le alleanze. Persino in una zona anti talebana come la valle del
Panshir si bruciano le scuole femminili. Pare sia l’influenza del vecchio signore
della guerra Gulbuddin Hekmatyar che, a suon di dollari, ha trovato nuovi
amici. Le offensive militari internazionali non hanno portato a nulla: se
ammazzano 500 talebani ne arrivano altri 5 mila pronti a combattere.
L’alternativa è tra lo sterminio totale o il cambiamento di approccio. Pensare
alle disparità economiche più che alle armi. Sedersi a un tavolo e parlare con
tutti, talebani compresi»
.

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