Il boia Netanyahu accolto con tutti gli onori a Budapest dal filo-russo Orban (Italiano – English)

Nei giorni scorsi ha fatto la sua comparsa in Europa il boia Netanyahu. Ad accoglierlo con tutti gli onori è stato il più filo-putiniano dei governanti europei, il fascisteggiante Orban, grande amico di Salvini e simili. Ci sono state piccole manifestazioni di protesta – una delle quali documentiamo in questo video che ci è stato inviato da Budapest. I dimostranti gridano, giustamente: Netanyahu killer.

Per Orban, invece, lo stato sionista e il suo macellaio in capo stanno semplicemente esercitando il loro diritto all’autodifesa dal “terrorismo” di Hamas… e, per onorare fino in fondo il suo gradito ospite e le sue gesta genocide, Orban ha annunciato che la sua Ungheria uscirà dalla Corte penale internazionale dell’Aja, accusandola di essere un “tribunale politico” screditato, sulla scia di Trump e dello stesso premier sionista. Non solo, quindi, nessun arresto del fraterno amico Netanyahu, ma uscita dalla CPI. Sono stati invece arrestati a Budapest quattro militanti, due francesi, due spagnoli, che avevano osato strappare delle bandiere israeliane esposte in onore dell’arrivo del boia.

Permetteteci di ricordare che quando sostenemmo in un nostro testo che la Russia e i sodali con la Russia sono falsi amici dei palestinesi, e documentammo che la Russia continuava regolarmente a fornire ad Israele anche i raffinati del petrolio utili ai caccia bombardieri che massacrano la popolazione di Gaza, diventammo bersaglio di sdegnate critiche da parte di esponenti del mondo kampista – chiamiamo così le formazioni politiche e i professionisti della politica o dell’informazione che, poco importa se siano o no a libro paga, spacciano Russia, Cina e Iran come forze di progresso anti-imperialiste solo perché sono in contrasto con gli Stati Uniti e l’Occidente (nel caso specifico si trattava di redattori di “La città futura”).

Ma i fatti sono fatti, e confermano in pieno la nostra analisi, mentre coprono di vergogna tutti quelli che esaltano Orban solo perché rompe l’unanimità di quell’accolita di fanatici guerrafondai della Commissione von der Leyen. Appena rotta l’uninimità, costui abbraccia con affetto lo sterminista Netanyahu. I kampisti vedono la prima cosa, ma fanno finta di non vedere la seconda. Che squallore!

Abbiamo ritenuto utile pubblicare anche un’intervista comparsa su “LeftEast” un paio di mesi fa in cui si fa il quadro della situazione in Ungheria per quello che riguarda le manifestazioni per la Palestina, e l’atteggiamento di totale ostilità della polizia e del potere di stato verso queste manifestazioni. Sia la redazione di “LeftEast” sia i due intervistati hanno posizioni decisamente diverse dalle nostre sulla questione palestinese; però ci è sembrato egualmente interessante proporre ai nostri lettori l’ intervista perché documenta con precisione lo stato delle cose. Il contrasto e la repressione delle manifestazioni pro-Palestina è – nel paese di Orban e di un’opposizione liberale a Orban altrettanto filo-sionista – sistematica. E in Russia? Avete mai sentito di manifestazioni per la Palestina? (Red.)

LeftEast , 16 gennaio 2025

Abbiamo chiesto: come viene attuata la repressione della solidarietà ai palestinesi in Ungheria? (un’intervista a Soma Ábrahám Kiss e Bernáth Lackó)

La maggior parte dei partiti politici e degli altri attori del panorama politico, di rilievo o di minoranza, sostengono apertamente la narrazione israeliana e non c’è praticamente nessuna figura pubblica che condanni la repressione delle proteste e delle posizioni contro la guerra in dichiarazioni pubbliche, a meno che non venga loro chiesto direttamente di farlo. Nel panorama politico ungherese, sono soprattutto le organizzazioni piccole e marginali di sinistra a sostenere la pace o il popolo palestinese.

Soma Ábrahám Kiss e Bernáth Lackó

  • 16 gennaio 2024
  • La polizia ferma due persone che si erano presentate alla manifestazione vietata del 13 ottobre, oltre a 3 passanti. Foto: Dániel István Alföldi.

Sin dal lancio dell’operazione Floods of Aqsa di Hamas e dal bombardamento israeliano di Gaza assediata, i palestinesi e gli attivisti pro-Palestina in Europa hanno dovuto far fronte a una censura senza precedenti, controlli di polizia, molestie, arresti, ordini di censura e minacce. Raccogliendo diversi report di attivisti di sinistra in varie località in Europa, intendiamo allertare le comunità di attivisti in tutta la nostra regione sulla repressione che i palestinesi e gli attivisti pro-palestinesi stanno affrontando. Vogliamo anche dimostrare che questo modello di repressione si basa sull’intensificazione di pratiche razziste già esistenti come la profilazione razziale e le politiche anti-immigrazione, nonché sull’attivazione di pratiche istituzionali razziste come le intimidazioni, l’arresto e le molestie da parte della polizia. Sebbene queste pratiche non siano nuove, la scala con cui si stanno moltiplicando è allarmante. Questo pezzo sul caso dell’Ungheria è stato sollecitato dalla piattaforma di sinistra ungherese Mérce nell’ambito della cooperazione ELMO – Eastern European Left Media Outlet.

— Il comitato editoriale di LeftEast

Cosa sta succedendo nel tuo paese per quanto riguarda la repressione delle espressioni o delle proteste pro-palestinesi? Quali sono le posizioni del governo e della polizia?

In Ungheria è impossibile separare queste due questioni. La polizia ha esplicitamente vietato ogni espressione di solidarietà con il popolo palestinese o la Palestina, persino le dimostrazioni per la pace: ad oggi, tutte le otto manifestazioni vietate (13 ottobre, 14 ottobre20 ottobre25 ottobre29 ottobre1 novembre22 novembre e 13 gennaio) sono state promosse come dimostrazioni per la pace. Ma non è vietato né indossare una kefiah, né esporre bandiere palestinesi (ad esempio alle finestre), né alcun discorso o frase specifica. Occorre sapere che il primo divieto della polizia è giunto dopo che il primo ministro Viktor Orbán ha dichiarato alla radio di stato

“qui non si può organizzare una manifestazione per esprimere simpatia per le organizzazioni terroristiche, questo costituisce di per sé una minaccia terroristica nei confronti dei cittadini ungheresi. Quindi scordiamoceneNon è il momento  il luogo adatto, non concederemo alcun permesso per questo, e noi – il Governo – faremo uso dei nostri diritti legali”.

Ma non è solo il governo a confondere le manifestazioni per la pace con il sostegno al terrorismo. Pochi giorni dopo la dichiarazione di Orbán, il politico dell’opposizione Gergely Karácsony, sindaco di Budapest, ha dichiarato che in città non c’è posto per manifestazioni a sostegno di gruppi terroristici, suggerendo implicitamente con ciò che le manifestazioni per la pace in programma sosterrebbero Hamas e le azioni terroristiche. Né lui né altri funzionari eletti sono intervenuti contro i divieti.

La polizia usa lo stesso linguaggio per confondere le dimostrazioni per la pace con il sostegno al terrorismo. Ogni volta che vietano le dimostrazioni, le autorità di polizia danno la stessa identica interpretazione della loro decisione: “No al sostegno dei terroristi! La polizia di Budapest ha proibito un altro raduno collegato all’appello di Hamas”.

È importante sottolineare che né il governo dello stato né le amministrazioni municipali hanno il diritto di interferire con le decisioni della polizia e, in base ai diritti di libertà di parola e di riunione dei cittadini, in circostanze normali la polizia potrebbe solo registrare le manifestazioni e assicurarsi che non vengano commesse atrocità. Sono previste solo pochissime eccezioni, tra cui il pericolo imminente che una protesta diventi violenta, e nel caso attuale le autorità di polizia stanno usando questo regolamento come scusa per il divieto. Tutto ciò è avvenuto nonostante il fatto che tutte le otto proteste fino ad oggi programmate fossero esplicitamente a favore della pace e contro il terrorismo, sia di Stato che paramilitare.

In che modo le manifestazioni filo-palestinesi vengono definite filo-terroriste e ci sono altre forme di protesta (ad esempio antifasciste) che vengono prese di mira?

Non sono solo il governo e Karácsony a sostenere l’agenda israeliana, ma anche quasi tutta l’opposizione. Il 25 ottobre il Parlamento ha approvato una risoluzione che condanna gli atti terroristici di Hamas, ma non i crimini di guerra di Israele, sostenendo apertamente le azioni militari nella striscia di Gaza come diritto di Israele all’autodifesa contro gruppi terroristici e paramilitari.

Questa stessa risoluzione confonde anche il terrorismo e i terroristi con i rifugiati e gli immigrati, che negli ultimi otto anni sono stati in Ungheria i principali obiettivi della propaganda governativa di estrema destra. La risoluzione afferma: “il gran numero di persone, tra cui terroristi, fiancheggiatori di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche, a cui è consentito entrare in Europa senza alcun controllo, rappresenta un rischio diretto e serio per la sicurezza dei cittadini europei e del continente. Si tratta di una conseguenza diretta di una politica sull’immigrazione irresponsabile e sbagliata”. La risoluzione continua affermando che l’Ungheria ha sempre combattuto il terrorismo, “e ha trattato i membri di queste organizzazioni come terroristi anche quando non ha permesso loro di entrare nel suo territorio“.

Tutti i parlamentari ungheresi hanno votato sì o si sono astenuti in merito alla risoluzione, tranne due: Előd Novák, parlamentare del partito di estrema destra Our Homeland Party, e Ákos Hadházy, un liberale indipendente. Il primo ha probabilmente votato no per motivi antisemiti, mentre il secondo lo ha fatto per evitare la propaganda di stato anti-immigrati, pur esprimendo il proprio sostegno al “diritto di Israele all’autodifesa”. La maggior parte dei parlamentari liberali o di centro-sinistra ha votato sì, incluso András Jámbor, membro del movimento Szikra (Scintilla), che si autodefinisce “critico del sistema”.

Abbiamo anche contattato i vari partiti dell’opposizione parlamentare. Il partito verde-centro-sinistra Párbeszéd (Dialogo) ci ha detto che condanna l’aggressione delle Forze di difesa israeliane (IDF) contro i civili e chiede che Hamas rilasci gli ostaggi. Jámbor (di Szikra) ci ha detto che è d’accordo con l’amministrazione Biden e chiede all’IDF di astenersi dal commettere atrocità. I ​​partiti il Verde LMP (Politics Can be Different) e il liberale Momentum hanno condannato sia le atrocità militari israeliane sia le azioni di Hamas. Tutti i partiti citati hanno condannato il divieto categorico di organizzare manifestazioni per la pace, tranne Momentum. I partiti liberali MSZP (Partito Socialista Ungherese) e DK (Coalizione Democratica) non hanno risposto alla nostra inchiesta.

La maggior parte dei partiti politici e degli altri attori del panorama politico, di rilievo o di minoranza, sostengono apertamente la narrazione israeliana e non c’è praticamente nessuna figura pubblica che condanni la repressione delle proteste e delle posizioni contro la guerra in dichiarazioni pubbliche, a meno che non venga loro chiesto direttamente di farlo. Nel panorama politico ungherese, sono soprattutto le organizzazioni piccole e marginali di sinistra a sostenere la pace o il popolo palestinese.

Come vedi il dibattito pubblico, il livello e la qualità dell’informazione dei media? Quali sono i punti chiave e/o critici?

I media ungheresi sono fortemente polarizzati. I canali dei media statali sono sotto stretto controllo governativo, quindi fanno apertamente eco alla propaganda israeliana sulla guerra, confondendo questioni di terrorismo e di immigrazione e diffondendo tra il pubblico messaggi e propaganda razzisti. I media affiliati al governo fanno sostanzialmente lo stesso su Internet, televisione, radio e stampa.

I media non governativi hanno invece una dimensione più pluralistica. La maggior parte dei media liberali sono più o meno in linea con i media liberali occidentali, per lo più anglosassoni, ma ci sono delle eccezioni. Alcuni portali liberali di notizie online pubblicano articoli sui crimini di guerra israeliani insieme ai punti di vista filo-Israele, quindi c’è spazio per approcci un po’ più equilibrati. Ma alla radio, sulla stampa e in televisione c’è poco spazio per pezzi che non sono a favore di Israele. 

È bene sapere che il maggiore conglomerato mediatico teoricamente indipendente in Ungheria, che gestisce, tra le altre piattaforme, la popolare televisione ATV e radio Spirit FM, è di proprietà di una chiesa carismatica neo-protestante con stretti legami con il governo. In molti casi offrono spazio a opinioni contrarie al governo e criticano le sue iniziative. Tuttavia, su questo tema, e più in generale per quanto riguarda i temi legati al Medio Oriente, sono in linea con i media statali, se non addirittura più favorevoli a Israele.

Sia nei media che nell’opinione pubblica c’è una schiacciante maggioranza di sostenitori delle soluzioni militari e delle politiche oppressive di Israele contro la Palestina e i palestinesi. I sostenitori di queste posizioni si esprimono come se fossero in una di posizione di superiorità morale, spesso definendo in modo categorico come antisemiti o simpatizzanti del terrorismo i sostenitori di altre posizioni.

Come riescono i vari gruppi a presentare un’analisi raffinata della situazione che sostenga l’autodeterminazione palestinese evitando al contempo l’antisemitismo?

Gli organizzatori della protesta sono per lo più volti sconosciuti e appartengono per la maggior parte a gruppi informali composti da individui di origine palestinese. Un organizzatore appartiene alla Hungarian Muslim Defence League. L’Ambasciata dello Stato di Palestina a Budapest si è dimostrata solidale con gli organizzatori e ha espresso apertamente il suo sostegno alle dimostrazioni di pace previste. Nonostante gli organizzatori della protesta siano comparsi in modo molto limitato su altri media, hanno però dichiarato esplicitamente nelle udienze ufficiali della polizia e nei media – in particolare nei nostri articoli, ad esempio qui, di non sostenere Hamas, il terrorismo o l’antisemitismo.

Nella sinistra liberale ungherese permane un vecchio riflesso, quello di combattere ogni forma di antisemitismo, e su questo hanno ragione. Questa comunità politica ha sempre avuto stretti legami con Mazsihisz, un tempo la principale organizzazione rappresentativa della comunità ebraica ungherese, che sostiene Israele. Mazsihisz riconosce la differenza tra antisemitismo e antisionismo, ma condanna anche quest’ultimo e non sostiene l’indipendenza palestinese, assumendo quindi una posizione filo-israeliana. Il governo Fidesz sostiene fortemente, e ha stretti legami con, un’altra organizzazione, l’ultra-conservatrice ed estremamente filo-israeliana United Hungarian Israelite Congregation (EMIH), e da oltre un decennio è anche un alleato molto forte di Netanyahu e della destra israeliana.

Così, mentre il Fidesz di governo non è mai timido nell’usare simboli e retorica antisemiti (come si vede, ad esempio, nella campagna anti-Soros ), esso vive in simbiosi con EMIH, il che conferisce legittimità alle sue azioni politiche. In apparenza, Fidesz sta sempre “dalla parte degli ebrei” e legittima le politiche governative con questa posizione. Secondo la propaganda governativa, ad esempio, l’Ungheria è sicura per gli ebrei perché (presumibilmente) non lascia entrare nel paese i rifugiati (cioè gli immigranti). E come già detto, nella sua interpretazione della guerra a Gaza, la propaganda governativa confonde Hamas, terrorismo e antisemitismo con gli “immigranti”, definendoli tutti estremamente pericolosi.

In linea con le narrazioni israeliane, il governo definisce ogni critica a Israele come antisemita e antisemita ogni persona che lo critica, confondendo l’antisionismo con l’antisemitismo. Questa è una trappola per altre organizzazioni e individui perché quando l’organizzazione ebraica ufficialmente riconosciuta e potente, l’EMIH, li denuncia come antisemiti è molto difficile, se non addirittura impossibile, liberarsene. Quindi, anche perché il Medio Oriente, Israele e la guerra di Gaza non sono argomenti cruciali per la politica interna ungherese, non ci si sforza di mettere in discussione la narrazione prevalente che cancella la distinzione tra antisemitismo e antisionismo. Questo sforzo è portato avanti da organizzazioni marginali con scarso impatto, come Mérce, ad esempio.

È importante notare che in Ungheria l’antisemitismo è stato strettamente collegato alle posizioni politiche anti-israeliane. I partiti antisemiti di estrema destra (come MIÉP, il Partito ungherese di vecchia scuola per la giustizia e la vita; Jobbik, Movimento per un’Ungheria migliore; e Mi Hazánk, La nostra patria) sono stati propensi ad usare il popolo palestinese come esempio di vittime di una “cospirazione ebraica globale per schiavizzare gli abitanti dei paesi liberi”. Tutto questo è, ovviamente, solo una semplice strumentalizzazione della causa palestinese per sostenere le loro odiose posizioni politiche, che sono fondamentalmente le stesse da quando l’antisemitismo politico è nato alla fine del XIX secolo, molto prima del conflitto in Palestina. Questa narrazione di estrema destra ha sempre dipinto gli ebrei come sovrarappresentati nei posti di lavoro influenti (ad esempio giornalismo, processi decisionali politici, ecc.) e nel XX secolo ha portato a una serie di leggi antisemite e disumanizzanti nell’Ungheria tra le due guerre (tra cui un numerus clausus che limitava il numero di ebrei nelle università già nel 1920), e all’Olocausto.

L’antisemitismo era presente in Ungheria anche prima del crollo dell’URSS stalinista, ma è stato in gran parte bandito dal discorso pubblico per oltre quattro decenni. Dopo i rivolgimenti politici del 1989, questa ideologia odiosa è riemersa, prima come parte del discorso pubblico, poi – con una rapidità sconfortante – anche nel discorso politico. Per decenni, i partiti apertamente antisemiti sono stati piccoli e isolati. L’unica volta in cui un partito antisemita ha puntato a una maggioranza di governo – Jobbik nel 2018 – ha dovuto abbandonare, come prevedibile, le sue posizioni razziste/antisemite. Tutto per ottenere legittimità politica internazionale una volta al potere.

La traiettoria del Fidesz è stata simile. Dopo aver occupato la posizione di centro-destra quasi vuota a metà degli anni ’90, Fidesz ha rapidamente adottato anche le tradizionali narrazioni di destra, un pacchetto che conteneva una specie di antisemitismo soft. Non volendo abbandonare del tutto, in modo esplicito, questa comoda caratteristica, il partito ha scelto l’amicizia per Israele quando è stato costretto ad affrontare una vera sfida da parte del partito Jobbik, allora forte e ancora apertamente antisemita (e anti-rom). La mossa di Fidesz è stata furba, perché – come detto sopra – in Ungheria il pubblico in generale non si interessa molto della politica mediorientale, ma la comunità internazionale ha visto questa scelta come il distanziarsi di Fidesz da una politica di destra inaccettabile. Questa strategia ha “ripagato” anche in seguito. Quando un gran numero di rifugiati dal Medio Oriente o di origine musulmana arrivarono in Europa, Fidesz poté presentarsi come “difensore della comunità ebraica” in Ungheria contro le “orde di immigrati”, mentre l’antisemitismo tradizionalmente di destra poteva essere attribuito a quelle parti della sinistra che operavano in solidarietà con i rifugiati. Poiché l’odio verso gli immigrati dalla pelle scura rimane uno dei prodotti politici di maggior successo di Fidesz, abbracciare la posizione filo-israeliana può apparire accettabile anche ad una parte degli elettori di estrema destra, dato che la maggior parte degli ebrei che incontrano sono bianchi e in qualche modo parte dell’Europa storica.

Tuttavia, perfino in questo contesto ci sono ancora gruppi che sostengono la pace e il diritto dei palestinesi a uno stato. Ad esempio, la sezione ungherese del gruppo ambientalista Extinction Rebellion sostiene la pace e l’indipendenza palestinese, pur dichiarando esplicitamente di non sostenere il massacro di civili da entrambe le parti del conflitto. La sezione ungherese di International Marxist Tendency sostiene apertamente la Palestina e l’indipendenza palestinese, definendo la loro lotta come lotta di liberazione.

Il nostro media online Mérce ha pubblicato diverse analisi della situazione dal 7 ottobre. Benché condannino l’antisemitismo e il terrorismo, i nostri articoli sono stati spesso definiti antisemiti da organizzazioni di destra e organizzazioni militanti filo-israeliane, così come da altri. Anche la pagina nostra partner, Tett, ha pubblicato pezzi sulla situazione a Gaza. Ma nel complesso ha prevalso il silenzio sulla realtà che i palestinesi sono costretti ad affrontare. In Ungheria oggi è difficile esprimere opinioni a favore della pace a causa della repressione politica e della condanna pubblica ingiusta, ma potente, diffusa da organizzazioni di destra, liberali e singoli opinionisti. Quindi la maggior parte della informazione semplicemente non ne parla.

László Bernáth ha studiato storia ed è stato attivista nel movimento ungherese per i diritti abitativi. Ha iniziato a lavorare come giornalista presso Mérce alcuni mesi dopo il lancio del portale.

Soma Ábrahám Kiss ha studiato sociologia e antropologia culturale e ha partecipato al nel movimento studentesco e ad altri movimenti sociali. Lavora come redattore di Mérce dal 2018, negli ultimi due anni come caporedattore.

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LeftEast 16 gennaio 2025

We Asked: How is Suppression of Palestinian Solidarity Unfolding in Hungary? (an Interview with Soma Ábrahám Kiss and Bernáth Lackó)

Most political parties and other actors of the political landscape, significant or niche, openly support the Israeli narrative and there are barely any public figures that condemn the oppression of anti-war protests and opinions in public statements, unless they are asked directly to do so.  On Hungary’s political palette, it is mainly the small and marginal leftist organisations that support peace or the Palestinian people.

Soma Ábrahám Kiss and Bernáth Lackó

Police confront the two people who showed up for the banned demo on October 13, as well as 3 bystanders. Photos: Dániel István Alföldi.

Since the launch of Hamas’ Operation Floods of Aqsa and Israel’s bombardment of besieged Gaza, Palestinians and pro-Palestine activists in Europe have been facing unprecedented censorship, policing, harassment, arrests, gag orders, and threats. In compiling several reports from leftist activists in various locations in Europe, we aim to alert activist communities across our region to the oppression that Palestinians and pro-Palestinian activism are facing. We also aim to show that this pattern of oppression relies on heavily exaggerating already-existing racist practices such as racial profiling and anti-migration policies, as well as activating racist institutional practices such as police intimidation, arrest, and harassment. While these practices are not new, the scale at which they are multiplying is alarming. This piece on the case of Hungary has been solicited via the Hungarian left platform Mércewithin the framework of the ELMO – Eastern European Left Media Outlet cooperation.

— The LeftEast Editorial Board

What is happening in your country regarding suppression of pro Palestinian expression or protest? What are the stances of the government and police?

In Hungary it’s impossible to separate these two questions. The police explicitly banned all expression of solidarity with Palestinian people or Palestine, even demonstrations for peace – as of today, all eight (Oct. 13., Oct. 14., Oct. 20.,Oct. 25., Oct. 29., Nov. 1., Nov. 22Jan. 13.) banned demonstrations were promoted as peace demos. However, neither wearing a keffiyeh, or putting up Palestinian flags (e.g. in windows) are banned, nor any specific speech or phrase. It’s worth knowing that the first police ban came after prime minister Viktor Orbán said this on state radio“here one can’t stage a demonstration expressing sympathy for terrorist organisations, because that in itself would pose a terrorist threat to Hungarian citizens. So let’s forget that. This isn’t the time or place for that, we won’t grant any permission for it, and we – the Government – will make use of our legal rights.”

But it is not only the government that mixes peace demos together with support for terrorism. Days after Orbán’s statement, opposition politician Gergely Karácsony, lord mayor of Budapest,  stated that there is no place for demonstrations supporting terrorist groups in the city – implicitly suggesting that the peace demonstrations being planned would support Hamas and acts of terrorism. Neither he nor any other elected officials have raised their voices against the bans.

The police uses the same language to confuse peace demonstrations with support of terrorism. Every time it bans demonstrations, the police authorities issue the exact same interpretation of their decision: “Not in support of terrorists! The Budapest Constabulary banned another assembly connected to the appeal of Hamas.”

It’s important to point out that neither state nor municipal governments have the right to interfere with police decisions, and according to the rights of free speech and the assembly of citizens, under normal circumstances the police could only register the demos and ensure that there are no atrocities. There are only a very few exceptions, including the imminent danger of a protest becoming violent – and the police authorities are using this regulation as an excuse for the ban in the current case. All this has happened despite the fact that all eight protests planned to date were explicitly pro-peace and against terrorism, whether state or paramilitary.

How is pro-Palestinian expression being defined as pro-terrorist and are there other forms of protest (eg. antifascist for one) that are being targeted as well?

It is not only the government and Karácsony that are supporting the Israeli agenda, but almost the entire opposition as well. On October 25th the Parliament passed a resolution condemning the terrorist acts of Hamas, but not the war crimes of Israel – they  openly supported the military actions on the Gaza strip as the right of Israel to self-defence against terrorist and paramilitary groups.

This same resolution also conflates terrorism and terrorists with refugees and migrants, who in Hungary have been the main targets of the extreme-right governmental state propaganda for the last eight years. The resolution reads: “the large numbers of people, including terrorists, proxies of Hamas and other terrorist organisations, who are allowed into Europe without any controls, represent a direct and serious risk to the security of European citizens and the continent. This is a direct consequence of an irresponsible and misguided migration policy.” As it continues, the resolution states that Hungary has always fought terrorism, “and has treated members of these organisations as terrorists even when it did not allow them to enter its territory.”

All Hungarian MPs either voted yes or abstained with regard to the resolution, except for two: Előd Novák, the MP of far-right Our Homeland Party, and Ákos Hadházy, an independent liberal. The former probably voted no for antisemitic reasons, while the the latter did so to avoid anti-migrant state propaganda – while still expressing support for “Israel’s right to self-defence.” Most liberal or centre-left MPs voted yes, including András Jámbor, a member of the self-identified “system-critical” Szikra (Spark) movement.

We also contacted the various parties of the parliamentary opposition. The green-center-left Párbeszéd (Dialogue) party told us that it condemns the Israeli Defense Forces’ (IDF) aggression against civilians and demands Hamas release hostages. Jámbor (of Szikra) told us he agrees with the Biden administration and calls on the IDF to restrain itself from enacting atrocities. The green LMP (Politics Can be Different) and liberal Momentum parties condemned both the Israeli military atrocities and Hamas’ actions. All the above parties condemned the categorical ban on peace demos, except Momentum. The liberal MSZP (Hungarian Socialist Party) and DK (Democratic Coalition) parties did not respond to our inquiry.

Most political parties and other actors of the political landscape, significant or niche, openly support the Israeli narrative and there are barely any public figures that condemn the oppression of anti-war protests and opinions in public statements, unless they are asked directly to do so.  On Hungary’s political palette, it is mainly the small and marginal leftist organisations that support peace or the Palestinian people.

How do you see the public discussion, and the level and quality of media reporting? What are the key and-or critical points?

The Hungarian media is highly polarised. State media channels are under strict governmental control, so they openly echo Israeli propaganda about the war, mixing up issues of terrorism and migration and channelling racist messages and propaganda to the public. The government-affiliated media basically does the same on the internet, television, radio, and print formats.

Non-governmental media has a more pluralistic reach, however. Most liberal media outlets are more or less in line with the Western – mostly Anglo-Saxon – liberal media, but there are exceptions. Some liberal online news portals publish articles about Israeli war crimes alongside the pro-Israel viewpoints, so there’s space for bit more balanced approaches there. But in radio, print, and television there’s little space for pieces that are not in support of Israel.

It’s also worth knowing that the biggest theoretically independent media conglomerate in Hungary, which runs, among other platforms, the popular ATV television and Spirit FM radio are owned by a charismatic neo-Protestant church with close ties to the government. In many cases they offer space for counter-governmental opinions and offer critique of the government’s operations. Yet in this case, and with regard to topics related to the Middle-East more generally, they are in line with the state media – if not even more extremely supportive of Israel.

There is an overwhelming majority of supporters in both the media and public opinion for Israel’s military solutions and oppressive policies against Palestine and Palestinians. Supporters of these views speak as if occupying some kind of moral high ground, often axiomatically calling supporters of other views antisemites or terrorist sympathisers.

How are groups managing to express sophisticated analysis of the situation that both supports Palestinian self determination and avoids antisemitism?

The protest organisers are mostly invisible and are for the most part loose groups made up of individuals of Palestinian origin. One organiser is a member of the Hungarian Muslim Defence League. The Embassy of the State of Palestine in Budapest has been sympathetic with the organisers and has openly expressed its support for the planned peace demonstrations. Despite the very limited appearance of the protest organisers in other media, they have explicitly stated at official police hearings as well as in the media – namely in our articles, e.g. here – that they do not support Hamas, terrorism, or antisemitism.

There’s an old reflex on the Hungarian liberal-left political scene to fight every form of antisemitism  – in which they’re right. This political community traditionally has close ties to Mazsihisz, once the main representative organisation of the Hungarian Jewish community, which supports Israel. Mazsihisz recognises the difference between antisemitism and antizionism, yet it condemns the latter too and does not support Palestinian independence, therefore taking a pro-Israeli stance. The Fidesz government, strongly supports – and has close ties to – another organization, the ultra-conservative and extremely pro-Israel United Hungarian Israelite Congregation (EMIH), and has also been a very strong ally of Netanyahu and the Israeli right-wing for more than a decade.

So, while the ruling Fidesz is never timid about using antisemitic symbols and rhetoric (seen, for example the anti-Soros campaign), it exists in symbiosis with EMIH, which lends legitimacy to its actions and politics. On the surface Fidesz always stands on “the side of Jews,” and legitimises governmental policies with this stance. According to government propaganda, for example, Hungary is safe for Jews because it (supposedly) doesn’t let refugees (i.e. migrants) into the country. And as mentioned above, in its interpretation of the war on Gaza, government propaganda conflates Hamas, terrorism, and antisemitism with “migrants,” designating them all extremely dangerous.

Further in line with Israeli narratives, the government designates all criticism of Israel as antisemitic, and every critic as an antisemite, conflating antizionism with antisemitism. This is a trap for other organisations and individuals because when the officially recognised and powerful Jewish organisation, the EMIH, denounces them as antisemitic it’s very difficult to wash off, if even possible at all. So – in part because the Middle East, Israel, and the Gaza war aren’t crucial topics when it comes to Hungarian domestic politics – there’s little effort put into questioning the hegemonic narrative that washes away the distinction between antisemitism and antizionism. This effort is carried out by marginal organisations with little impact – like Mérce, for example.

It is important to see that in Hungary, antisemitism has been very closely related to anti-Israel stances on the political level. Old school far-right antisemitic parties (e.g. MIÉP, the Hungarian Justice and Life Party; Jobbik, Movement for a Better Hungary; and Mi Hazánk, Our Homeland) have been keen to use the Palestinian people as an example of the victims of a “global Jewish conspiracy to enslave inhabitants of free countries.” All this is – of course – just plain objectification of the Palestinian cause to support their hideous political views, which have basically been the same since political antisemitism was born at the end of the 19th century – long before the conflict in Palestine. This far-right narrative has always depicted Jews as being over-represented in influential jobs (e.g. journalism, political decision-making, etc.) and in the 20th century led to a number of antisemitic and dehumanising laws of interwar Hungary (including a numerus clausus limiting the number of Jews in the universities already in 1920), and the Holocaust.

Antisemitism was present in Hungary even before the collapse of the Stalinist bloc, but it was mostly banished from public discourse here for more than four decades. After the political changes of 1989, this hateful ideology resurfaced, first as part of public speech, then – with dismal rapidity – in political speech too. For decades, openly antisemitic parties were small and isolated. The only time an antisemitic party aimed for a governing majority – Jobbik in 2018 – it had to ritualistically abandon its racist/antisemitic stances. All for the sake of gaining international political legitimacy once in power.

Fidesz’s trajectory has been similar. Having set up camp in the mostly empty centre-right position in the mid-90’s, Fidesz quickly adopted the traditional right-wing narratives too, which – as a package – contained a kind of soft antisemitism. Never wanting to fully drop this handy feature explicitly, the party embraced a friendship with Israel when it faced a real challenge from the then strong and still openly antisemitic (and anti-Roma) Jobbik party. Fidesz’s move was clever, because – as mentioned above – the general public in Hungary doesn’t really care much about Middle Eastern politics, yet the international community saw this as Fidesz distancing itself from an unacceptable kind of the right-wing politics. The strategy “paid off” later too. When large numbers of refugees from the Middle East or of of Muslim origin arrived in Europe, Fidesz could act as the “defender of the Jewish community” in Hungary against the “migrant hordes,” while antisemitism of a traditionally right-wing nature could be blamed on those parts of the left working in solidarity with refugees. Since hatred towards brown-skinned migrants remains one of Fidesz’s most successful political products, embracing the pro-Israel stance can be acceptable even for a number of far right-leaning voters too, given the fact that most of the Jewish people they encounter are white, and at least somewhat part of historical Europe.

Nevertheless, even in this environment there are still groups that support peace and the right of Palestinians to a state. The Hungarian branch of the environmental group Extinction Rebellion supports peace and Palestinian independence, for example, while explicitly stating that it does not support the massacre of civilians on either side of the conflict. The Hungarian section of International Marxist Tendency openly supports Palestine and Palestinian independence, referring to their struggle as a liberation fight.

Our online media outlet Mérce has published several analyses of the situation since October 7th. While we condemned antisemitism and terrorism, our articles have often designated as antisemitic by right-wing organisations and militant pro-Israeli organisations, as well as others. Our partner page Tett has also published pieces on the situation in Gaza. But overall there has been a culture of silence about the reality Palestinians face. In Hungary today it is difficult to articulate pro-peace opinions because of the political oppression and unjust public, yet powerful, condemnation performed by right-wing, liberal organisations, and individual opinion-leaders. So most coverage simply doesn’t do.

László Bernáth studied history, and has been active in the Hungarian housing rights movement. He began started working as a journalist at Mérce some months after the portal started.

Soma Ábrahám Kiss studied sociology and cultural anthropology, and has some experience in the student movement and other social movements. He’s been working as an editor of Mérce since 2018, and as copy chief for the past two years.