Mentre la situazione militare in Siria sembra volgere a favore del regime Assad – appoggiato dai bombardamenti russi e sul terreno dalle formazioni militari curde – Germania e Turchia, affiancati dal governo pseudo socialista di Tsipras,[1] hanno chiesto e ottenuto, con il pieno sostegno americano e della Commissione UE, il dispiegamento nell’Egeo delle forze Nato, per combattere “il traffico di esseri umani”.
Se ne occuperà il “Gruppo navale 2” della Nato sotto comando tedesco con la nave di rifornimento “Bonn” che – assieme alla fregata turca Barbaros e a quella canadese Fredericton e appoggiato dalle guardie costiere greche e turche e dalle forze dell’Agenzia europea Frontex – può passare velocemente all’azione. Esso è infatti già presente nella regione, dove ha condotto esercitazioni aeree e marittime congiunte con la Turchia. La rapidità delle operazioni, raccomandata dai tre richiedenti, è favorita dal fatto che per la Germania questa missione, definita di “sorveglianza”, non necessita del consenso del Bundestag, il parlamento tedesco.
Tradotto: l’imperialismo tedesco decide di partecipare in modo più diretto al conflitto militare in Medio Oriente, pur sotto ombrello Nato, senza sottoporlo alla “democratica” discussione parlamentare. Non intende permettere che Mosca ottenga un’influenza decisiva sulla questione siriana, e per riuscire nel suo intento ha bisogno di alleati, nello specifico del regime turco a cui già si è rivolta lo scorso autunno perché faccia da carceriere ai profughi diretti verso l’Europa e la Germania, tema sul quale sollecita ora “risultati veloci”, in cambio della promessa di ulteriori finanziamenti.
Contro l’eccessiva influenza russa c’è sintonia tra Ankara e Berlino. I bombardamenti russi interferiscono con i piani di Erdogan per la regione: abbattere il regime di Assad e impedire che il movimento autonomista curdo in Siria e sul proprio territorio si rafforzi e si unifichi.
Camuffando l’intervento militare con un pretesto umanitario, mentre con toni indignati condanna – all’unisono con il ministro degli Esteri del repressivo regime turco, Davutoglu – i bombardamenti dei caccia russi su civili, la Cancelliera Merkel conta di invertire la tendenza al ribasso del suo consenso elettorale, di contrastare il dissenso sulla gestione dei profughi che va montando negli ranghi del suo stesso partito oltre che in quelli dell’alleata CSU bavarese, e che si è riflesso nei titoli di vari autorevoli quotidiani (Bild am Sonntag, Süddeutsche Zeitung, Berliner Tagesspiegel, Der Spiegel).
Per risalire la china dei consensi, alcune settimane fa’, la Cancelliera aveva presentato ad una conferenza del suo partito (CDU) un programma sui rifugiati che venne applaudito dall’assemblea. Esso prevede tra l’altro la deportazione più veloce, un limite alla riunificazione delle famiglie, l’eliminazione dei cosiddetti “incentivi perversi” all’immigrazione, e la lotta alle “cause delle emigrazioni” con l’intensificazione delle operazioni militari.
Navi da guerra per ri-compattare la “pacifica” Europa
La crisi dei profughi va aggravandosi anche all’interno della UE e sta portando alla disgregazione dei trattati di Schengen. Per acquietare i movimenti xenofobi in ascesa, anche ricchi paesi nordici come Svezia[2] e Danimarca, oltre a quelli dell’Est come Polonia, Ungheria e Cekia, hanno deciso di chiudere le frontiere.
Dopo lunghe discussioni, lo scorso dicembre la Commissione UE ha accettato la richiesta di non computare nei bilanci nazionali i finanziamenti erogati al turco Erdogan per la gestione dei profughi nell’Egeo.[3] La quota spettante all’Italia e non computata nel bilancio è di €281 milioni. Ma Renzi non si accontenta. Durante il suo viaggio in Nigeria, Ghana e Senegal, per concludere affari lucrosi per i gruppi italiani, ha alzato i toni contro Bruxelles parlando di “perversione burocratica” e di regole da “ragionieri” e ha rivendicato un ulteriore sconto per le presunte spese sostenute dall’Italia per “il salvataggio di vite umane” nel Mediterraneo, per un ammontare previsto in €3,3 miliardi, pari 0,2% del PIL italiano, contro €1,1 MD effettivamente spesi dal Viminale per l’accoglienza.
Con la recente iniziativa di far intervenire la Nato, oltre agli obiettivi politici ad uso interno sopra accennati, la Cancelliera tedesca se ne pone uno più ambizioso. Quello di contrastare le crescenti forze centrifughe all’opera nella UE (di cui i fatti sopra citati sono solo alcuni esempi), e al contempo accentrare il potere politico su Berlino. A questo scopo il governo tedesco sta cercando di trasformare la crisi dei profughi in un’occasione per affermare la leadership politica e militare dell’imperialismo tedesco nel contesto internazionale. Si tratta del primo intervento della Nato sotto la foglia di fico della lotta contro gli scafisti, una dimostrazione muscolare verso una Russia che sta rafforzando la propria posizione in Medio Oriente.
Alcuni paesi europei (Danimarca + altri non meglio definiti) hanno risposto positivamente alla richiesta di Germania, Turchia e Grecia di mettere a disposizione loro navi per la supposta operazione “antiscafisti”.
Grecia e Turchia, spesso in conflitto territoriale nell’Egeo, hanno concordato che le forze navali rimarranno nelle rispettive acque territoriali.
La decisione di dispiegare le forze Nato ha avuto un primo risultato di temporanea deterrenza verso l’imperialismo russo. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha proposto una tregua al conflitto tra le forze governative e quelle dei ribelli e l’invio di aiuti umanitari, accettata dal “Gruppo di supporto alla Siria”[4], riunito nella Conferenza di Monaco, ma già respinta dai gruppi dell’Opposizione siriana.
Promesse umanitarie di chi conduce conflitti disumani
I presunti intenti “umanitari” delle potenze vengono smentiti dai risultati della Conferenza di Londra dello scorso 4 febbraio sui rifugiati. I paesi “donatori” si sono impegnati a versare $10 miliardi “per i profughi siriani”, ma per tenerli fuori dalla loro porta. Si calcola che, se le promesse verranno mantenute, ci saranno $400-500 all’anno per ogni profugo. E questo a fronte di $14 milioni spesi ogni giorno dai soli USA per la guerra contro IS in Irak e Siria.
Circa la metà degli 11 milioni di siriani sono sfollati all’interno del paese; altri 5 milioni sono fuggiti nei paesi vicini, Turchia (2,5 milioni), Libano (1,8 milioni su una popolazione di 3,5 milioni) e Giordania (solo 680mila quelli registrati, fatto ma molti di più, su una popolazione di 6,4 milioni). In questi paesi sopravvivono in condizioni disperate, e se lavorano lo fanno con lavori occasionali, in nero e con salari da fame. Esteso il lavoro minorile, per integrare quello dei genitori o anche come unica opportunità. Ora tutti e tre i paesi stanno chiudendo le loro frontiere ai profughi siriani.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) informa che quest’anno sono morti 409 persone nel tentativo di attraversare l’Egeo verso l’Europa, e che nelle prime sei settimane del 2016 il numero dei rifugiati e emigranti che lo hanno attraversato è stato 10 volte superiore a quello dello stesso periodo del 2015.
Altrettanto disperata è la situazione in cui si trova la popolazione rimasta in Siria. Bastano le recenti immagini trasmesse dalla TV su Aleppo, una città prima fiorente e ora ridotta in grigie macerie, per comprendere l’inumanità in cui sono costretti a vivere. Ci sono aree dei dintorni dove chi non se ne è potuto andare si trova sotto il tiro incrociato di vari schieramenti militari, forze ribelli, IS, curdi, lealisti aerei russi, e americani. I rifornimenti di generi alimentari e farmaci sono bloccati. Si può immaginare che neppure acqua ed elettricità siano disponibili in misura adeguata.
Il numero delle vittime del conflitto, giunto al quinto anno, ha raggiunto quasi mezzo milione.
Ad ogni nuova tappa del barbaro e sanguinoso conflitto mediorientale viene confermata l’urgenza per i proletari della regione di un fronte politico unitario per difendersi dagli attacchi della classe dominante. Dalle borghesie delle medie potenze come Iran, Turchia, Arabia Saudita, Irak etc., che sgomitano per prevalere una sull’altra. Una contesa basata sui profitti tratti dallo sfruttamento della forza lavoro dei salariati ad esse sottoposti, spesso violentemente repressi quando si ribellano, contesa oggi portata nuovamente sul campo di battaglia, con la distruzione della vita stessa di quei lavoratori.
La stessa urgenza di un fronte unito si pone per i lavoratori delle potenze imperialiste, da quelli della vecchia Europa, agli USA, alla Russia, che di questa guerra sono i “supervisori”. Cercano di scrollarsi di dosso i costi umani che essa comporta, delegando gli scontri sul terreno alla carne da cannone a buon mercato dei paesi dell’area e respingendo i profughi che ne fuggono per salvarsi la vita.
[1] Il ministro greco per l’Immigrazione, Yannis Mouzalas, ha replicato alle accuse mosse dalla Ue contro la Grecia che non vorrebbe collaborare con l’agenzia Frontex, dichiarando di essere a favore di una polizia europea di confine, criticando anzi la UE di non fare abbastanza per metterla in atto. A fine gennaio il commissario UE alla emigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, ha dichiarato che Grecia e Italia devono costituire “hot spot” a breve. Gli Hot Spot sono sostanzialmente campi di concentramento dove sono detenuti i rifugiati per identificarli, prenderne le impronte come fossero criminali e poi rimpatriarli dopo procedimenti sommari.
[2] Lo scorso anno il governo svedese di coalizione socialdemocratico-verdi ha introdotto una legislazione più rigida su asilo e controlli di confine, a fine gennaio ha comunicato che nei prossimi mesi provvederà a rimpatriare 80mila richiedenti asilo, le cui domande sono state respinte. Il governo svedese intende rafforzare l’apparato di sicurezza prevedendo che in vista della deportazione molti profughi cercheranno la clandestinità. Sta anche negoziando accordi per il rimpatrio con Marocco e Afghanistan. Nonostante la ministro Esteri abbia paventato rischio di collasso finanziario del paese per la crisi dei profughi, il governo ha mantenuto anche quest’anno l’aumento del 10% della spesa per la Difesa deciso nel 2014.
Ha esultato per le misure anti-immigrati il partito dei Democratici Svedesi, vicino al francese Front National, che ha ottenuto il 18% dei consensi nelle ultime elezioni. Nel 2015 ci sono stati in Svezia almeno due dozzine di incendi a strutture di accoglienza per i rifugiati.
[3] Cfr. artt. su Combat-coc: http://www.combat-coc.org/profughi-guerre-e-profitti/; http://www.combat-coc.org/lodissea-dei-profughi-la-generosa-germania-e-i-retroscena-mediorientali/ e Pagine Marxiste n. 39, gennaio 2016 “Guerre profughi e mercato di vite umane”
[4] Diciassette i paesi partecipanti e tre organizzazioni: Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Gran Bretagna, Iran, Iraq, Italia, Libano, Oman, Qatar, Russia, Turchia, USA,+ UE, Lega Araba e ONU