I moti per il pane dilagano nell’arco della povertà che attraversa l’Asia, Africa, l’America Latina.
Settantamila persone manifestano a Mexico City nella “rivolta delle tortillas” contro l’aumento dell’alimento base nazionale; 5 morti e 60 feriti ad Haiti, dove l’opposizione, cavalcando le proteste ha occupato per giorni numerose città; barricate e sommosse in Costa d’Avorio, con arresti di massa; 40 morti e 1600 arrestati in Camerun; manifestazioni in Mauritania, Marocco, Tunisia, Mozambico e Senegal. Ma la protesta è dilagata anche in Uzbekistan, Yemen, Bolivia, Filippine, Zimbabwe, Guinea, Bangladesh e Indonesia. In diversi paesi la protesta ha assunto la forma degli scioperi operai. E’ avvenuto in Argentina, Egitto e Burkina Faso. Un caso particolare sono le agitazioni dei lavoratori stranieri in Arabia e negli emirati che hanno scioperato, perché le loro rimesse alle famiglie, calcolate in dollari, sono drasticamente state ridimensionate dalla svalutazione del dollaro.
Secondo la Banca mondiale sono almeno 37 i paesi a rischio di insurrezioni e moti sociali per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
In questo mondo globalizzato e proletarizzato non è più la biblica fame da carestia per il fallimento dei raccolti (siccità, inondazioni, locuste ed altre maledizioni naturali, e neppure per le guerre).
Oggi la siccità in Australia, secondo esportatore di grano del mondo, incide marginalmente. È una fame prettamente capitalistica. Grano e riso non mancano, ma il loro prezzo è raddoppiato in pochi mesi.
Non manca certo la possibilità di produrne a sufficienza, ma:
1) La UE paga gli agricoltori perché non producano, tenendo i terreni a riposo, e allo stesso tempo ha sovvenzionato l’export sottocosto di prodotti agricoli, un vero e proprio dumping che ha rovinato i contadini dei paesi in via di sviluppo;
2) Gli USA, la UE, il Brasile di Lula sovvenzionano l’uso dei cereali per produrre etanolo da mettere nella benzina, e olii vegetali per il biodiesel. Le forti lobby agricole, che hanno ispirato (e foraggiato) movimenti ecologisti per il “carburante pulito”, hanno trovato nella trasformazione dei prodotti agricoli in carburanti un mercato sicuro e sovvenzionato dallo Stato, in nome anche della “autosufficienza energetica”. Mais, zucchero, olio di palma, manioca e diverse oleaginose vengono sottratti all’uso alimentare per essere bruciati come carburanti. Si calcola che il 18-25% della produzione cerealicola Usa vada nella produzione di etanolo; in tutto il mondo nel 2008 100 milioni di t di cereali saranno trasformati in carburanti; l’equivalente che nutrirebbe 450 milioni di persone per un anno. Per fare il pieno di 50 litri di biocarburante in un’automobile sono necessari circa 200 chili di mais, una quantità che permette di sfamare una persona per un anno intero. Presentate come “soluzione ecologica”, le bioenergie stanno accelerando la deforestazione del Brasile.
3) dal lato della domanda, in Cina e altri paesi in sviluppo, strati di popolazione cominciano a potersi permettere di inserire la carne nella loro dieta, ma il consumo di 1000 calorie in carne richiede una produzione di cereali (consumati nell’allevamento) con valore calorico pari a 6-7 mila calorie; aumenta quindi la domanda di cereali per foraggio;
4) l’aumento dei prezzi energetici incide sui costi di produzione agricoli, da un lato carburante per i trattori, spese di trasporto dall’altro prezzi di sementi, pesticidi, concimi
5) dopo decenni di prezzi depressi delle materie prime, di fronte alla riduzione delle scorte e ai primi aumenti dei prezzi si sono innescate manovre speculative su vasta scala: chi ha in mano il grano o il riso lo trattiene in attesa di nuovi aumenti dei prezzi, per realizzare sovraprofitti. In questa speculazione entrano anche operatori che nulla hanno a che fare con i mercati agricoli, che acquistano titoli di proprietà su derrate alimentari di cui non avranno mai il possesso fisico, per la sola prospettiva di poterli rivendere a un prezzo più elevato in seguito. Questa domanda speculativa amplifica a dismisura gli aumenti dei prezzi, creando una “bolla speculativa” come avviene per i titoli azionari, e anche per altre materie prime.
Alla fame dei poveri delle periferie del mondo corrisponde l’arricchimento di agricoltori, finanzieri e trader (tre grandi corporation, le statunitense Cargill, Archer Daniels e Bunge, muovono il 90% dei cereali nel mondo). E’ la scelta dei governi, degli agricoltori e grossisti di Cambogia, Vietnam, India e Pakistan, ma anche di Cina, Argentina e Ucraina, che col pretesto di proteggere il legittimo interesse delle proprie popolazioni, aumentano le scorte in attesa di spuntare a breve prezzi più alti.. In alcuni paesi, a fronte del deprezzamento del dollaro, si investe in grano e non più nell’oro, come bene rifugio.
L’aumento dei prezzi internazionali dei generi alimentari tra il marzo 2007 e il marzo 2008 è stato del 10% per la carne, del 26% per lo zucchero, del 48% per i latticini, dell’88% per i cereali e del 107% per oli e grassi (indice FAO dei prezzi alimentari – FAO food price index).
Questi prezzi significano letteralmente fame per il proletariato e sottoproletariato di molti paesi poveri, dove il 70% del reddito va all’alimentazione (costituita in gran parte di cereali e oli), contro il 15% nei paesi ricchi. Il solo aumento del riso minaccia almeno 2 miliardi di persone in Asia, dove fornisce il principale apporto calorico per i poveri. Gia nel 2007, secondo la Fao 854 milioni di persone soffrivano di malnutrizione, e 36 milioni sono morti per carenze alimentari. Nel 2008 le cose sono peggiorate. Secondo un copione già visto i funzionari Onu si appellano alla “generosità internazionale”, pur sapendo che nel migliore dei casi le contribuzioni dei paesi ricchi coprono un decimo delle necessità. I governi rispondono alla fame soprattutto con i manganelli della polizia, arrestando e sparando. In Thailandia e Vietnam l’esercito presidia i raccolti nei campi e i magazzini.
Tutto questo ci riconduce al fatto che il mondo è diviso in classi, che gli Stati che reprimono nel sangue i moti del pane e del riso sono gli strumenti delle borghesie locali, spesso in combutta con il capitale internazionale. Lo Stato italiano, l’Europa, gli USA per favorire gli interessi di un pugno di aziende agricole capitalistiche e di grandi trader non si preoccupano di affamare centinaia di milioni di uomini nel mondo.
Queste profonde contraddizioni del capitalismo, che provocano sofferenze per centinaia di milioni e la morte di decine di milioni di persone ci confermano nella convinzione che questo sistema, che trasforma l’abbondanza in ricchezza per pochi e fame per molti, e che genera crisi e guerre in continuazione, va rovesciato e soppiantato con un modo di produzione comunista che ponga al centro i bisogni dell’uomo (niente a che vedere con i regimi a capitalismo di stato del falso socialismo). Anche i moti del pane mostrano che le forze di classe per questa lotta stanno crescendo in tutto il mondo.