Riccardo Staglianò
La Francia vorrebbe guidarla. Egitto e Turchia alle prese
con una probabile resistenza interna
Israele non smetterà di
sparare sino a quando non sarà dispiegata la forza multinazionale. «Dovranno essere sul terreno due ore dopo il nostro
stop» ha scandito il premier Olmert. Ma Hezbollah non accetterà tregue sino
a quando gli israeliani non si saranno ritirati dal Libano. E non è per niente
detto che il governo di Beirut accetti un´interposizione militare a guida
europea. «L´opposizione dei due ministri (del Partito di Dio, ndr) sarà
durissima» ha detto ieri al Washington Post il ministro della Cultura Tarek
Mitri. La Francia, in polemica con l´attendismo Usa, boicotta le riunioni
Onu. In Italia si critica l´unilateralismo delle richieste di Olmert
(«condizioni inaccettabili» dice Russo Spena). E se la comunità internazionale
è d´accordo sul "se", sul "come" le divergenze rimangono.
Ogni potenziale partecipante ha ottime ragioni per non indossare l´elmetto. La
Francia, principale candidata alla guida della coalizione, ha già forze
dispiegate sul terreno come osservatori Onu. È l´ex potenza coloniale e gode
della fiducia dei due Stati. Ma Chirac («Ci siamo sempre assunti le
nostre responsabilità in Libano» ha detto a Le Monde) non vuole entrare in
campo con i colori Nato («il braccio armato dell´occidente»). Per la
Germania sarebbe un´occasione unica per caldeggiare la propria candidatura al
seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. E poi c´è la storia, che però
è argomento a doppio taglio. Da una parte il ministro degli Esteri
Steinmeier spiega che l´intervento sarebbe «appropriato per i difficile passato
con Israele» mentre altri fanno notare che sarebbe impensabile che un soldato
tedesco spari su un israeliano. Poi ci siamo noi. Tendenzialmente allineati con
Parigi, per Prodi sarebbe un modo di affermare il peso internazionale del
paese. Nonostante la risicata maggioranza, la partecipazione non sembra in
discussione. Bush ha fatto sapere che gli Usa non parteciperanno («la
maggior parte degli altri stati non sarebbero favorevoli»). Olmert, nel
quantificare gli effettivi in 15 mila uomini – sebbene la Forza dovrebbe essere
dispiegata in territorio libanese e proteggere equamente le due parti – ha
detto di aver discusso con Tony Blair della partecipazione britannica.
Per Egitto e Turchia la scelta è ancora più critica. Al presidente Hosni
Mubarak non sarà facile spiegare al suo popolo perché spedire soldati a
difendere Israele. Ankara, dal canto suo, fa parte della Nato e ha buoni
rapporti con i militari israeliani. Ma deve avere un buon tornaconto per
decidere di passare, agli occhi dei suoi 70 milioni di musulmani – fa
notare Foreign Policy – come il «lacchè dell´Occidente». Una bella spinta per
entrare nell´Unione europea, ad esempio. Nessuno ha una gran voglia di
andare in un posto dove 4 caschi blu sono morti sotto i missili di Tsahal.
Tutti faranno i propri conti, poi decideranno.