Liberismo compassionevole in salsa islamica
La lunga campagna elettorale egiziana
Le prime elezioni legislative dopo la caduta di Mubarak si sono trascinate in tre tornate, da novembre 2011 a gennaio 2012, sotto la stretta tutela dello SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate). L’affluenza alle urne è stata del 54% degli aventi diritto, che erano circa 50 milioni. L’affluenza alle presidenziali, tenutesi nella prima metà di giugno 2012, è stata anche minore (46% al primo turno e 51,3% al secondo).
Di fatto un astensionismo di massa che ben rappresenta la distanza che corre fra lo scontro al vertice e i problemi di chi ogni giorno combatte per mettere insieme il pranzo con la cena: il 40% della popolazione, che vive con meno di 2 $ al giorno, i 12 milioni di disoccupati e così via.
La metà del paese che ha votato ha premiato chi ha partecipato poco o nulla alle manifestazioni e alle proteste della primavera scorsa. Il parlamento uscito dalle elezioni legislative vede un 71% assegnato ai partiti islamici (47% ai Fratelli Mussulmani, 24% ai salafiti di Al Nour). I partiti laici dispersi in 11 liste hanno presto il restante 29%.
Il lungo braccio di ferro fra militari e Fratelli Musulmani
Quando il primo turno delle elezioni presidenziali ha fatto ipotizzare una nuova possibile vittoria dei Fratelli Mussulmani (che si presentavano come Partito della Libertà e della Giustizia), i vertici militari si sono mossi preventivamente per garantirsi il controllo legale del paese e indebolire il futuro presidente.
Lo Scaf ha trovato sponda nella Corte Costituzionale che il 14 giugno ha sciolto il Parlamento per vizio di forma; di conseguenza, il 17 giugno, durante il secondo turno di elezioni, lo Scaf ha assunto il potere legislativo e il controllo del bilancio dello stato; si è inoltre attribuito potere di veto sulla futura Costituzione. Infine si è arrogato la facoltà di arrestare in base a un semplice sospetto i civili.
In campagna elettorale il candidato ufficiale dei militari Ahmed Safiq, un generale in pensione, si è presentato con un programma di legge e ordine, ma soprattutto come il campione del laicismo contro il rischio che il paese cadesse in mano all’estremismo religioso in caso di vittoria del candidato dei FM, Mohamed Morsi.1
Al secondo turno, dopo una settimana di incertezze, il 24 giugno, Morsi è stato dichiarato presidente, con 13,230,131 voti contro i 12,347,380 di Shafiq, cioè con una vittoria risicata del 51,73%. Una classica “anatra zoppa”, si è detto, una “ruota di scorta” , non popolare nemmeno fra i FM, o come è stato definito su un blog “un borghese senza poteri in uno Stato senza Costituzione né Parlamento».
La resa dei conti
L’8 luglio, inaspettatamente, Morsi convoca il Parlamento, ufficialmente sciolto, ne rivendica l’autorità ai fini di formare l’ Assemblea Costituzionale, annulla il diritto di veto da parte dello Scaf: un vero e proprio schiaffo per i vertici militari. In seguito all’incidente del Sinai,2 Morsi accusa i vertici militari e i servizi segreti di incapacità, pretendendo e ottenendo, l’8 agosto, l’allontanamento sia del capo dell’intelligence, il maggiore generale Murad Muwafi, sia del capo delle Guardie repubblicane e della polizia militare, oltre alle dimissioni del governatore del Nord Sinai, Abdel Wahab Mabrouk, un rimpasto senza precedenti. Il 12 agosto Morsi congeda i due più potenti uomini dello SCAF il Feldmaresciallo Tantawi e il Capo di Stato Maggiore Sami Anan, sostituiti dai più giovani e relativamente sconosciuti Abdel-Fatah el-Sissi (ex capo dei servizi segreti) e da Sidqi Sobhi Sayed.
Infine come vicepresidente viene nominato il giudice Mahmoud Mekki, una pedina importante a livello istituzionale in vista dello scontro con la Corte costituzionale, troppo appiattita sull’ancien régime.
Due elementi meritano un approfondimento: perché i militari non si sono opposti ufficialmente e cosa si cela dietro l’apparente vittoria del “potere civile”.
È il contesto economico che dà il senso della politica egiziana. Le condizioni di vita della gran parte della popolazione sono, se possibile, peggiorate. L’esigenza condivisa è salvare il paese dalla bancarotta. A luglio l’Egitto aveva riserve per finanziare le importazioni per sole sei settimane (cioè 7,8MD$); urgono sostanziosi aiuti da paesi esteri e dal FMI mentre si aggrava il deficit commerciale (3MD$ al mese). Occorre ridare fiato al turismo, incoraggiare gli investimenti. Su questo obiettivo Morsi potrebbe aver trovato appoggi in una parte dei vertici militari.
Già la settimana di ritardo con cui Morsi è stato riconosciuto vincitore è stata un primo momento di un lungo e faticoso negoziato fra i militari e i Fratelli Mussulmani, i cui termini ovviamente non sono noti. Poi Morsi si è sentito abbastanza forte per forzare in senso a lui favorevole la situazione. Una mossa che sembra avere il placet Usa: rassicurati che gli accordi di Camp David saranno rispettati e che l’Egitto continuerà ad essere un buon acquirente delle armi americane, gli Usa hanno anche espresso gradimento per i nuovi nominati al posto di Tantawi e Annan, per bocca del segretario della Difesa, Panetta. Panetta e la Clinton sono stati in visita in luglio, a ridosso del terremoto ai vertici dello Scaf. I leader militari silurati, fra giugno 2011 e giugno 2012 avevano ristatalizzato banche e imprese precedentemente privatizzate, rimesso in discussione l’abbassamento delle tariffe doganali deciso nel 1995, cercato di garantire il monopolio dell’esercito in alcuni settori strategici anche al di fuori della produzione di armi. Una linea che in passato ha garantito il potere e i privilegi dell’esercito ma che isolerebbe l’Egitto e certamente non è gradita ai paesi investitori.
L’esercito e la frazione borghese statalista
Come rivela una analisi accurata apparsa nell’aprile 2012 su Middle East Research and Information Project nessuno è in grado di calcolare quanta parte dell’economia egiziana è controllata dall’esercito. Quello che è chiamato “Military, Inc.” gode del segreto di stato ed è così vasto e disperso da sfidare qualsiasi valutazione. “Military, Inc.” estende i suoi interessi ben oltre la produzione bellica, al petrolio, gas, energie rinnovabili, vagoni ferroviari, computer, gestione trasporti marittimi ecc. Accanto alle attività controllate al 100%, l’esercito si è garantito quote azionarie in joint venture con società private, nazionali ed estere, ha investito all’estero attraverso filiali. La vecchia guardia si è opposta alle privatizzazioni di Gamal Mubarak, mobilitando i propri dipendenti minacciati di licenziamento, sostenendo sindacati “gialli” con cui comunque hanno firmato contratti, mentre nel privato i lavoratori sono per lo più in nero; ha partecipato alle aste di privatizzazione (documenti del Dipartimento di Stato Usa pubblicati da WikiLeaks). Ma altri membri dello Scaf, consapevoli della redditività delle numerose collaborazioni con conglomerate asiatiche, europee e statunitensi, preferiscono liberarsi dei “rami secchi”, aprire il mercato. Alle società estere in cui ha partecipazioni, l’esercito fornisce guardie armate gratuite (=soldati) per garantire impianti e circolazione di materie prime e manufatti; queste aziende hanno garantiti contratti statali, accesso privilegiato a infrastrutture e servizi, informazioni ufficiose su appalti. Il dosaggio di questi privilegi può essere modificato senza cancellare del tutto il peso dell’esercito.
I Fratelli musulmani come frazione liberista della borghesia egiziana
Nei 30 anni passati dall’ultima grande repressione non solo la struttura organizzativa dei Fratelli Mussulmani si è enormemente irrobustita, ma i loro legami col mondo degli affari sono oggi estremamente ramificati. I loro leader sono certo uomini religiosi, ma per lo più ingegneri con dottorati acquisiti nelle migliori università straniere, avvocati, medici o uomini d’affari che utilizzano il proprio impero economico per acquisire simpatie attraverso iniziative caritative, ma anche dispensando benefici sotto forma di posti di lavoro, prestiti (un esempio è proprio El-Shaker.3 Anche i membri della classe media attraverso lo zakat, l’elemosina obbligatoria del buon mussulmano, garantiscono ai membri più poveri cibo, abiti e assistenza medica. Milioni di egiziani hanno beneficiato di questa rete di assistenza sociale che è anche la base materiale della loro formidabile macchina propagandistica ed elettorale. Suzy Hansen su BusinessWeek (19 aprile 2012) descrive l’imprenditore medio che aderisce ai Fratelli Mussulmani come Weber ha descritto l’etica del capitalismo nei calvinisti e come oggi descriverebbe la Compagnia delle Opere e Comunione e Liberazione nella sua fase ascendente: una generazione di conservatori pii, in rapida crescita nella società mussulmana, la cui fede in Dio rinvigorisce la loro determinazione al successo negli affari e nella politica. Tutti centrati sull’etica del lavoro si contrappongono con successo alla gestione cronicamente corrotta dei funzionari di stato laici o militari. Non hanno particolare simpatia per gli operai che presentano rivendicazioni o “non stanno al loro posto”, anche se garantiscono la loro caritatevole solidarietà ai poveri e bisognosi. L’opinione di BW è che i FM capiscono i problemi economici; sono capitalisti fino al midollo, liberisti, vogliono incanalare nel welfare pubblico le decime religiose e combattere la povertà con un affarismo “onesto”, ad esempio sostenendo la piccola e media impresa privata, fornendo addestramento professionale alla manodopera. Il modello è Singapore.
I Fratelli Mussulmani, quindi, sono in grado di interpretare politicamente le esigenze di una moderna borghesia che si è fatta strada con le proprie forze (e non all’ombra delle clientele delle imprese di stato), che da decenni è esclusa dalla gestione della cosa pubblica. Hanno quadri con ampie e internazionali esperienze di management, non certo acquisite nella frequentazioni delle madrasse, le scuole religiose, che sono pensate se mai per imbonire il proletariato povero e analfabeta delle periferie); sono essi stessi, in prima persona una frazione importante della borghesia egiziana; una borghesia che forse ritiene sia il momento di sottrarsi all’abbraccio soffocante dell’esercito e camminare sulle proprie gambe. In questo senso il paragone con il partito di Erdogan è assolutamente calzante.
Detto questo c’è un altro piano di coincidenza fra le due frazioni borghesi: impedire nuove proteste di piazza e scioperi generalizzati. Su questo punto militari e FM hanno finora collaborato: se i militari hanno agito attraverso i controlli polizieschi (le leggi di emergenza consentono loro di trattare gli scioperi come crimini contro l’economia e quindi contro la nazione), i FM hanno utilizzato la loro influenza per smorzare i conflitti; in piena coerenza il nuovo “pio” presidente ha confermato la detenzione degli 11 mila prigionieri politici incarcerati, tuttora senza processo.
[da “Pagine Marxiste” n°31 Settembre 2012]
1. Morsi, 62 anni, nato nella provincia di Sharqiya, delta del Nilo, laureato in ingegneria al Cairo, PH all’Università della California del Sud nel 1982, nel lungo periodo di esilio per sfuggire alla repressione seguita alla morte di Sadat, al rientro in Egitto aderisce ai Fratelli Mussulmani,eletto in parlamento la prima volta nel 2000 e poi nel 2005, imprigionato per 7 mesi nel 2005, dal 2010 portavoce del gruppo parlamentare. I FM hanno tratto grande vantaggio dal fatto che la Commissione elettorale aveva escluso il candidato salafita più conosciuto Hazem Abu Ismail (escluso per la doppia cittadinanza egiziana e americana). Anche all’interno dei FM Morsi è stato la scelta dell’ultima ora, dopo l’ eliminazione di candidati più carismatici e economicamente più potenti, come El Shaker e Aboul Fotou.
2. Il 7 di agosto, un commando non meglio identificato ha attaccato posti di frontiera sia egiziani che israeliani nel Nord del Sinai, 16 militari egiziani sono stati uccisi, morti anche 25 o 30 terroristi secondo i militari egiziani che hanno contrattaccato. Hamas ha immediatamente negato ogni coinvolgimento e ha chiuso i tunnel che da gaza portano in Egitto. Anche il valico di Rafah è stato chiuso. I FM hanno accusato il Mossad, Israele ha accusato dell’attentato l’Iran, indubbio comunque lo scopo di mettere in forse il trattato di pace del 1979, firmato da sadat a camp David, che riguardava appunto il Sinai.
3. Il candidato naturale dei Fratelli Mussulmani era inizialmente Khairat El-Shater, ingegnere, uomo d’affari di successo, milionario, fervido sostenitore delle privatizzazioni e di una linea liberista, rimasto in prigione dal 2007 al 2011 per la sua opposizione a Mubarak. El Shaker, assieme a Mahmoud Ezzat e Mahmoud Ghozlan, costituisce la troika che domina l’ufficio di presidenza dei F.M. La commissione elettorale ha bloccato la candidatura di El Shaker perché uscito di prigione da meno di 6 anni dopo una condanna “politica”, ma in realtà la sua forte popolarità e l’acceso sostegno alle privatizzazioni avevano preoccupato i militari. Pochi mesi prima di presentarsi candidato El Shaker aveva fatto espellere dai Fratelli Mussulmani, proprio perché voleva candidarsi alle elezioni, un altro leader di peso come Abdel-Moneim Abul-Fotouh, che poi ha corso da solo al primo turno prendendo un 17%.