L’accordo Europa-Grecia, sottoscritto da Tsipras e votato dai parlamenti ellenico e tedesco, può essere visto da due diverse angolature: quella nazionale e quella di classe.
Sotto l’angolatura nazionale si tratta di un duro diktat degli Stati europei creditori allo Stato ellenico debitore, e al governo Tsipras reo di aver voluto asserire la propria indipendenza in politica economica quando era stato messo in amministrazione controllata: “se vuoi continuare a far parte del nostro club dell’euro, devi stare alle regole che decidiamo noi”: aumento dell’IVA, tagli alla spesa sociale, riforma delle pensioni, impegno a pareggiare il bilancio, liberalizzazione del commercio e traghetti, della proprietà di farmacie, panifici e centrali latte, tagli alla pubblica amministrazione, privatizzazione della rete di trasmissione elettrica, trasferimento di imprese di Stato per 50 miliardi di euro in un Fondo da amministrare sotto la supervisione europea, da monetizzare anche con la vendita, e utilizzare per la ricapitalizzazione delle banche, per ripagare il debito e per investimenti; riduzione dei costi della pubblica amministrazione, concertazione con l’Europa dei disegni di legge.
Con queste pesanti condizioni i partner europei hanno messo in chiaro che nessuno Stato europeo può sperare di ottenere sconti adducendo la “volontà popolare”; anzi hanno voluto punire e umiliare chi aveva aizzato l’opinione pubblica contro le pretese della Troika. Podemos Lega e Cinque Stelle & C. sono avvertiti… E chi pensava che Unione Europea e Club dell’Euro fossero società di mutuo soccorso ora sa che sono comitati d’affari di voraci borghesie. E chi pensava che la democrazia borghese potesse almeno ammansire il capitalismo ora ha la prova di come chi ha il potere del capitale se ne fa un baffo del voto popolare.
Tsipras in quanto capo del governo ellenico aveva due possibilità: ingoiare il diktat, perdendo la faccia non solo rispetto alle promesse elettorali, ma anche rispetto alla vittoria del NO al referendum; oppure girare i tacchi, dichiarare default e tornare alla dracma, contrattando poi di quanto svalutare i propri debiti: i creditori avrebbero dovuto contabilizzare in perdita gran parte degli oltre 200 miliardi di crediti, come con l’Argentina e come del resto succede a chi ha fatto prestiti incauti. La scelta di Tsipras, in linea con la maggior parte della borghesia greca, è stata quella di rimanere nell’euro, impegnandosi a ripagare puntualmente tutti i debiti.
Ma questa visuale resta alla superficie delle cose. La Grecia come l’Italia e come la Germania è una società capitalistica in cui non esiste un “interesse nazionale” al di sopra di quelli delle classi che la compongono. Come ben illustrato dall’articolo “Quante balle sulla Grecia” pubblicato dal Cuneo Rosso prima della vittoria elettorale di Syriza, il debito pubblico greco è un debito di classe, contratto perché la borghesia greca a partire dai suoi vertici, gli armatori, non paga le tasse, né le paga la Chiesa Ortodossa, che è il più grande proprietario immobiliare della Grecia; perché la spesa pubblica come e più che in Italia va in opere inutili (vedi Olimpiadi), spese militari e nella corruzione; e una parte è andata anche alle clientele elettorali di Pasok e Nea Demokratia, ma la classe operaia greca, che ha gli orari di lavoro tra i più lunghi e salari tra i più bassi d’Europa e non ne ha ricevuto neanche le briciole. Ma è il proletariato greco che è chiamato a pagare il conto, con gli interessi.
Tra le misure imposte a Tsipras c’è l’aumento dell’IVA sui generi di consumo, che significherà ulteriore perdita di potere d’acquisto dei salari, già tagliati di oltre un quarto dall’inizio della crisi, e c’è la “modernizzazione della contrattazione collettiva” e delle leggi sugli scioperi e sui licenziamenti collettivi: in Italia abbiamo già visto in che senso vanno queste “riforme”: legare le mani ai lavoratori e ai sindacati combattivi, dare mano libera ai padroni per licenziare.
Riepilogando: l’accordo Grecia-Europa serve a far pagare al proletariato greco i debiti contratti dalla borghesia greca e dai suoi rappresentanti politici.
Questa la dinamica:
1) i governi greci hanno truccato i conti per nascondere ai partner europei parte delle spese, del deficit e del debito, e continuare a non far pagare le tasse a borghesi e preti.
2) Le banche tedesche, francesi, italiane ecc. hanno prestato denaro al governo greco, acquistato titoli di Stato greci per circa 180 miliardi.
3) Quando è apparso chiaro che lo Stato greco non sarebbe stato in grado di ripagare i prestiti/rimborsare i titoli alla scadenza, i rispettivi governi hanno salvato le loro banche accollandosi i crediti/titoli, e/o caricandoli sulla BCE e FMI;
4) La “socializzazione delle perdite” si ferma alle grandi banche nazionali dei paesi forti, non si estende allo Stato e alle banche greche. Viene esplicitamente affermata la regola che per stare nel Club dell’Euro occorre pagare i debiti fino all’ultimo euro: al governo greco il Club dell’Euro ha dettato come far pagare questo debito al proletariato greco. Nel frattempo tuttavia il Club dell’Euro si impegna a contrattare nuovi prestiti alla Grecia per 82-86 miliardi nei prossimi mesi, per permetterle di stare a galla: è il “terzo salvataggio” della Grecia per un totale di 240 miliardi … come per i due precedenti “salvataggi” questi soldi serviranno quasi tutti … a ripagare i debiti a europei e FMI… !
5) La storia non finisce qui. Il Fondo Monetario, il Segretario al Tesoro americano Lew affermano che la Grecia non è in grado di ripagare un debito che sta superando il doppio del PIL, e che sarà inevitabile la sua ristrutturazione (taglio del debito, ossia abbuono di una parte da parte dei creditori, oppure allungamento del periodo di grazia e delle scadenze per le rate di pagamento), tesi che significa che il proletariato greco, anche se spremuto al massimo, non sarà in grado di produrre abbastanza plusvalore per riempire questo enorme buco. Tra l’altro le misure imposte hanno un ulteriore effetto depressivo sull’economia greca. Una lettura maligna della posizione degli Stati Uniti è che fanno i generosi con i soldi degli europei. Vi è comunque la possibilità che, nonostante tutti i sacrifici imposti al proletariato greco, fra qualche anno la Grecia non sarà in grado di ripagare capitale e interessi del debito e venga espulsa dall’euro. Sarebbe il fallimento della linea Tsipras e una beffa per i lavoratori greci.
Il problema tuttavia non è euro sì/euro no. Se per stare nell’euro si chiede l’ulteriore immiserimento del proletariato greco, il ritorno alla dracma non libererebbe di per sé i lavoratori greci da questa morsa. Esso comporterebbe una forte svalutazione, che non solo farebbe balzare il debito estero a 3-4 volte il PIL e fallire con ogni probabilità le banche greche, ma farebbe aumentare il prezzo delle importazioni e dei beni di consumo, riducendo il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni.
Nel capitalismo non esiste una politica economica che risolva i problemi dei lavoratori salariati, perché il capitalismo è nella sua essenza il sistema per il loro sfruttamento. Solo la lotta dei lavoratori salariati può difendere le loro condizioni immediate, ponendo dei limiti allo sfruttamento. Solo con la conquista rivoluzionaria del potere politico il proletariato può abolire il lavoro salariato, la propria schiavitù salariata, e realizzare una società solidale.
Syriza ha trasferito sul terreno elettorale la spinta delle lotte dei lavoratori greci, con un programma ambiguo tra nazionalismo e difesa della classe lavoratrice. I molti lavoratori che si erano illusi di avere conquistato il potere con il voto, e che hanno votato entusiasticamente per il NO al referendum, hanno provato una grande delusione con la resa di Tsipras all’Europa. L’estromissione dal governo dei ministri del NO pone fine all’ambiguità di Syriza, che pone la scelta nazionale ed europea davanti alla difesa degli interessi dei lavoratori.
Il suo voltafaccia e il tradimento dei mandati elettorale e referendario sono l’ennesima smentita di ogni possibilità di cambiare il capitalismo dall’interno, di varare un’economia di mercato “buona” in contrasto con quella “cattiva” dei banchieri. Per i molti che anche in Italia hanno visto in Tsipras e Syriza il modello vincente da importare in tutta Europa, quella che viene dalla Grecia è una lezione molto concreta che il successo elettorale non conta nulla, se non fa da supporto alla lotta di classe nei luoghi di lavoro e nelle piazze per togliere il potere economico e politico alla borghesia. Ciò che i residui della sinistra parlamentare e sindacale e i fuoriusciti dal PD metteranno in piedi prossimamente, limitato al piano elettorale, si prospetta come poco più di un’ombra dell’esperienza di Syriza. Per non parlare dei fulminati dell’ultima ora sulla via di Atene, come Grillo e Salvini, intenti a diffondere l’illusione che il problema per i lavoratori italiani vengano dall’euro e non da un sistema di sfruttamento e di corruzione.
Tsipras non poteva vincere la partita contro i briganti europei. Anziché utilizzare il potere politico per spingere in avanti le lotte operaie e strappare il potere reale alla borghesia, ha illuso i lavoratori che fosse possibile una soluzione “nazionale”, senza una dura lotta per far pagare alla borghesia greca i debiti che essa ha contratto per i propri interessi. L’accordo Grecia-Europa è un accordo tra le borghesie di Grecia ed Europa per far pagare il debito ai lavoratori greci.
La lezione che si deve trarre da questo nuovo round Grecia-Europa è innanzitutto la necessità del partito rivoluzionario, e che la via elettorale, anche quando ha successo, è u”una trappola e un inganno” se serve a sopire anziché a rafforzare le lotte. D’altra parte la prospettiva di classe avrebbe avuto maggiore forza in Grecia se dall’Europa si fosse alzata la voce dei lavoratori contro i propri governi in solidarietà con il proletariato greco. La campana suona anche per noi.