Dopo la presidenza italiana del semestre europeo e in attesa dell’expo 2015, a Renzi è toccata un’altra occasione in termini di immagine, il summit ASEM tenutosi a Milano il 16-17 ottobre. Si tratta del decimo Asia-Europe Meeting, che si tiene ogni due anni alternativamente in Asia ed Europa (il primo fu nel 1996). A Milano ci sono state due new entry, Croazia e Kazakhstan. I paesi membri in tutto ora sono 51: i 28 paesi UE + Norvegia e Svizzera, 10 membri dell’Asean e altri 11 paesi asiatici (nota 1).
Un’organizzazione “carbonara” ha evitato anche le possibili contestazioni, salvo quella contro Putin delle due rappresentanti di Femen in topless per la gioia dei fotoreporters. Tiepide invece le contestazioni verbali contro Prayut Chan-O-Cha, che ha di recente preso il potere in Thailandia con un colpo di stato.
Snobbato dalla stampa inglese e francese, ignorato da quella statunitense, il vertice è invece commentato con grande rilievo e dovizia di particolari da quella russa, cinese ed est-europea. E’ un primo indice che buona parte dei paesi asiatici ha fortemente investito nell’evento; la prova più significativa è data d’altronde dalle presenze di alte e altissime cariche dello stato: Putin per la Russia, il premier Li Keqiang per la Cina, il premier Shinzo Abe per il Giappone. Le maggiori cure di Renzi sono andate ai primi due (pranzo e colazione del secondo giorno con Putin, che nella notte precedente si è incontrato anche con Berlusconi; accoglienza speciale per il leader cinese).
Assenti previsti gli Usa (Obama ha però imperversato al telefono), assente di peso l’India, che nel luglio scorso ha posto il veto al Trade Facilitation Agreement al WTO, condizionandone la firma alla garanzia di poter accumulare grano e riso in deroga per mantenere il sistema di distribuzione di cibo calmierato. Scelta obbligata per il partito di governo, il Bharatiya Janata Party, perché uno dei temi chiave della campagna elettorale è stato il prezzo del riso, che deve restare basso, senza colpire gli interessi dei produttori agricoli. Con l’Italia poi i rapporti si sono guastati per la vicenda dei due marò detenuti. Il premier Narendra Modi non è venuto a Milano. La scelta indiana al WTO ha reso difficili i rapporti anche all’interno dei BRICS e il vertice di Milano poteva essere un momento di recupero dei rapporti, ma Modi ha passato la palla al suo ministro degli Esteri Vijay Kumar Singh.
Ufficialmente il summit si è snodato in tre forum a) partenariato parlamentare b) partenariato popolare c) partenariato degli affari. I temi proposti erano: cooperazione finanziaria ed economica, sul commercio multilaterale e sulla promozione della crescita e dell’occupazione, un sistema di scambi trasparente e basato sulle regole di WTO e FMI, l’aumento delle connessioni tra Europa ed Asia attraverso una rete di trasporti per lo scambio di beni, capitali, servizi e risorse umane ( la “nuova via della seta”), i cambiamenti climatici, la riduzione della povertà, i diritti umani e la sicurezza energetica, la sicurezza internazionale (lotta alla pirateria marittima, al traffico di esseri umani, al traffico illegale di armi, contro il cyber-crime).
Inevitabilmente i forum sono state passerelle sui massimi sistemi; gli incontri importanti, soprattutto politici, si sono svolti dietro le quinte.
Attesissimo l’incontro Putin Poroshenko sulla crisi ucraina. Renzi da subito aveva parlato di passi in avanti, e inaspettatamente il premier inglese Cameron gli aveva fatto eco, mentre la Merkel dopo un colloquio a due con Putin si era dimostrata scettica e a fine summit ha confermato che l’attesa “svolta” non c’è stata. Prima dei colloqui con Putin, Poroshenko aveva ostentatamente citato la telefonata di Obama, intesa a garantire la “solidarietà transatlantica”. Putin aveva giocato d’anticipo, ritirando nei giorni scorsi il suo esercito dal confine ucraino, ma attaccando pesantemente, prima del summit, mentre si trovava a Belgrado, l’ingerenza statunitense in Ucraina. Un successivo incontro con gli alti papaveri europei (Barroso e van Rompuy che sono a fine mandato) è stato definito un “dialogo costruttivo”, soprattutto perché Putin avrebbe riconosciuto la sovranità ucraina sul Donbass (il che è credibile perché l’interesse della Russia è per una struttura federativa dello stato Ucraino e non per un assorbimento del Donbass). E’ trapelato che Putin ha insistentemente chiesto la ripresa dei lavori di South Stream, un obiettivo che sta certamente a cuore anche all’Italia, in particolare a Eni e Saipem, rispettivamente finanziatrice di un quinto del progetto e vincitrice di appalto di costruzione. Certamente si è parlato di sanzioni.
Alla fine di un nuovo incontro a quattro (Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande, il cosiddetto quartetto di “Normandia”) è uscita non la soluzione della crisi, ma una mediazione sulle forniture di gas, fornitura a cui anche l’Europa è interessata perché da lì proviene un 15% di tutto il suo fabbisogno energetico. La Russia è disponibile per una fornitura di gas all’Ucraina nel solo periodo invernale, ma non fornirà più nulla a credito. Gli aspetti finanziari verranno precisati in un successivo incontro il 21 ottobre e saranno determinanti. A Milano erano non a caso presenti e si sono confrontati con Poroscenko anche il ministro russo per l’energia Aleksandr Novak e il capo di Gazprom Aleksey Miller. L’Ucraina deve alla Gazprom 5,5 miliardi di $ per le pregresse forniture; Putin pretende quindi che da questo momento le forniture siano prepagate. L’Ucraina non vuol pagare il prezzo standard (che pagano ad esempio gli europei), cioè 400 $ per mille m3 di gas, e chiedono di pagare 285 $, il prezzo di favore che la Russia concedeva in cambio di garanzie sulle basi militari in Crimea, ma che ora non ha motivo di concedere uno sconto (si parla di 100$ per mille m3), a meno che l’Ucraina non saldi i suoi debiti e/o probabilmente solo nel caso di un ammorbidimento selle sanzioni. Quindi dovranno essere i leaders europei a fornire garanzie finanziarie, una opportunità ma anche un onere in tempo di crisi.
Di rilievo, anche se interlocutorio, un abboccamento fra Putin e il premier giapponese Shinzo Abe, che pone le basi per un più approfondito esame al prossimo vertice Apec dell’annosa controversia riguardante delle isole Hokkaido/Curili, annesse alla Russia ma rivendicate dal Giappone. Abe ha anche stretto la mano al Premier cinese Li Keqiang, nonostante i rapporti fra i due paesi siano molto tesi a causa della controversia per le isole Senkaku. Sono invece rimasti freddissimi i rapporti con la premier sud-coreana Park Geun-hye, che invece ha avuto un colloquio col premier cinese.
I risultati più significativi restano a livello economico.
Non va dimenticato che sul totale mondiale i paesi Asem rappresentano il 53% del PIL, il 62,5% della popolazione e il 59% del commercio.
La nutrita schiera di uomini d’affari al seguito dei rispettivi premier conferma che non si tratta solo di una grossa passerella mediatica, ma l’occasione per rinsaldare rapporti economici, firmare contratti e impostare nuove interazioni economiche.
Per l’Italia presenti Telecom, Enel, Saipem, Agusta Westland, Intesa Sanpaolo, Cassa Depositi e Prestiti.
In primo piano la Cina. Li Keqiang ha proposto tre obiettivi al summit: 1) che Europa e Asia garantiscano la pace regionale, il multipolarismo e il multilateralismo 2) creare un libero mercato Eurasiatico 3) accrescere lo scambio fra persone (al suo discorso al Politecnico di Milano assistevano rappresentanze dei mille studenti cinesi iscritti al Politecnico stesso).
Con la delegazione cinese l’Italia ha firmato contratti per 10 miliardi di $.
Li Keqiang ha presentato appunto la “nuova via della seta” (“Silk Road Economic Belt”) che attraverso il neo-membro Kazakhistan dovrebbe unire Europa e Cina centro-occidentale, con Berlino come snodo principale e i porti atlantici come meta finale. Un secondo ramo (per cui India e Cina hanno già intavolato trattative) prevede un percorso Cina meridionale-India-Canale di Suez-Italia-Nord Europa. Partner principale in questo progetto sarebbe la Corea del Sud.
Per finanziare questi progetti, la Cina non intende avvalersi dal FMI o dalla BM troppo dominati dagli Usa, ma ha lanciato il progetto di una Asian Infrastructure Investment Bank, cui hanno aderito 21 paesi. Fantaeconomia per ora, ma una linea strategica ben precisa, che ipotizza un asse eurasiatico Berlino-Pechino-Seul e forse Mosca (se si tiene conto del mega accordo di fornitura energetica da 400 miliardi di $ firmato nello scorso maggio fra Cina e Russia), bypassando il dollaro.
Anche il giapponese Abe auspica un trattato di libero scambio con la UE promettendo meno tasse, apertura del mercato elettrico. La Russia dal canto suo progetta la TransEuro-Asian Development Belt prevede corridoi infrastrutturali (ferrovie, strade, energia, comunicazione) dalle coste del Pacifico fino all’Europa e all’Atlantico ovviamente in collaborazione con governi e capitali europei. L’ha presentata a Roma nel gennaio di quest’anno Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie di Stato russe . A un convegno sull’argomento tenuto in marzo a Mosca sono stati invitati Edoardo Reviglio, Chief Economist della Cassa Depositi e Prestiti, Alberto Mazzola, responsabile degli Affari Internazionali delle Ferrovie dello Stato Italiane, Francesco Filippi, direttore del Centro Logistica e Trasporti dell’Università della Sapienza. A Milano Li Keqiang ha proposto di studiare un collegamento fra il progetto russo e le due belt cinesi.
Questo è quanto è stato reso noto al grande pubblico; di solito trattative importanti e accordi vengono tenuti rigorosamente segreti
Il clima carbonaro che ha tenuto lontano i contestatori non vale ovviamente per gli imprenditori italiani, in particolare lombardi.
Assolombarda ci informa che fra i paesi Asem i principali partner commerciali per la Lombardia sono Germania e Francia in Europa e Cina Giappone in Asia. La provincie più coinvolte sono Milano e Bergamo, seguite da Brescia per l’Europa e da Varese e Monza per l’Asia. Nei primi sei mesi del 2014 l’interscambio lombardo è stato di 74 miliardi di € verso la UE (di cui 30,6 miliardi della sola provincia di Milano, 8 miliardi ciascuna Bergamo e Brescia,) e di 14 miliardi verso i paesi Asem asiatici (di cui 7 miliardi della provincia di Milano, 1 miliardo ciascuna Bergamo e Varese), l’interscambio lombardo è di 19 miliardi con la Germania, 11, 5 con la Francia, 6,5 con la Cina.
Lo svolgimento di questo vertice, per quello che è potuto trapelare dalle maglie della riservatezza, è un buon esempio di come le borghesie delle nazioni grandi o piccole conducono gli affari di stato: accordi per portare avanti lo sfruttamento mondiale dei lavoratori anche mentre vi sono tensioni e scontri per spartirsene i proventi; al tempo stesso grandi slogan sulla democrazia (con un occhio di riguardo per le autocrazie manifeste) ma poi le trattative si svolgono lontano da occhi e orecchie indiscrete, con buona pace di chi si illude che i governi debbano rispondere ai cittadini del proprio operato.
A questi accordi fra i massimi livelli delle borghesie per perpetuare e rafforzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo i comunisti devono contrapporre un’organizzazione che unisca i lavoratori in una lotta per cancellare il capitalismo, i suoi stati e la sua cinica diplomazia.
Nota 1 – I 28 paesi UE sono: Austria, Belgium, Bulgaria, Cypro, Croazia, Repubblica Ceka, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, United Kingdom a cui si aggiungono come paesi europei non UE Norvegia e Svizzera.
I dieci membri Asean sono: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia, Vietnam
Gli altri 11 paesi asiatici sono: Australia, Bangladesh, Kazhakistan, Cina, Corea del Sud, India, Giappone, Mongolia, Nuova Zelanda, Pakistan, Russia