“Gli italiani ci rubano il lavoro”

SVIZZERA, ITALIA, IMMIGRAZIONE

REPUBBLICA Mar. 27/6/2006

Sono idraulici, imbianchini, muratori. Vengono da Piemonte
e Lombardia. E costano la metà dei colleghi svizzeri


Nel Canton Ticino scoppia la guerra dei "padroncini"


Grazie all’accordo bilaterale di libera circolazione gli
artigiani italiani fanno forte concorrenza a quelli svizzeri nel Canton Ticino

LUGANO – Gli «extracomunitari», a questo giro,
siamo noi. Siamo noi che cerchiamo fortuna oltre confine. Siamo noi che
all´alba, le braccia tornite e scoperte, i furgoni stracarichi di roba,
superiamo la dogana di Chiasso
, salutati, si fa per dire, dallo sguardo un
po´ annoiato un po´ indulgente dei gendarmi del cantone. Tirare su le case
degli svizzeri. Abbellire un giardino. Riparare un boiler. Posare un pavimento.
Eccoli i nostri viaggi in Ticino
. Altro che shopping di cioccolato e
sigarette. Finiti i tempi in cui si andava «di là» solo per fare il pieno di
benzina. Oggi la novità è che costiamo meno della metà degli svizzeri. Però
dicono che così ammazziamo il mercato, che mandiamo in malora l´impresa locale
.
Dicono anche che siamo i soliti italiani furbacchioni e un po´ maneggioni. Ci
chiamano "padroncini", i ticinesi
. «Padroncino» vuol dire
«lavoratore autonomo», uno che, padrone di se stesso, con pochi mezzi mette in
piedi un´azienda e si sposta sul territorio in tempi e modi decisamente
concorrenziali. Gli imprenditori e i politici di qui spalmano il concetto;
dicono che nella Svizzera italiana ormai la facciamo da padroni
. Con la
complicità delle leggi, certo. Grazie all´accordo bilaterale sulla libera
circolazione della manodopera entrato in vigore l´anno scorso. Risultato: in
Ticino è scoppiata la guerra dei padroncini.
È un conflitto silenzioso che deflagra ogni giorno a Lugano, Chiasso,
Bellinzona, Mendrisio. Il cantone ha da sempre nell´edilizia il suo punto di
forza. Assieme alle banche. Così è stato fino a ieri. Fino a quando Italia e
Svizzera hanno deciso che muratori, idraulici, falegnami, imbianchini possono
girare liberamente da qua a là. E viceversa. Niente più restrizioni e museruole
fiscali. Tiepidi i controlli, pochissime le multe. Non chiedevano di meglio gli
operosi lavoratori lombardi e piemontesi: e infatti si sono tuffati nel
business
. In Ticino gli artigiani italiani hanno trovato l´America. L´80%
delle «imprese estere» che hanno invaso la Svizzera italiana vengono dal nostro
Nord-Ovest
. Migliaia di artigiani e muratori italiani che si sono proposti
a prezzi stracciati o comunque nettamente inferiori a quelli della concorrenza
indigena. Se per tirare su una parete un muratore ticinese chiede 80 franchi
all´ora (poco più di 51 euro), un collega bergamasco o bresciano o comasco si
accontenta di prenderne 15
. Essendo gli svizzeri tutto tranne che fessi,
non è difficile indovinare chi si aggiudica l´appalto.
«La situazione sta diventando pesante – dice Giuliano Bignasca, presidente
della Lega ticinese, il Bossi svizzero, uno che se fosse per lui tirerebbe su
un bel muro a Chiasso e «poi voglio vedere» – Io ho votato contro il patto
bilaterale. Prevedevo che ci avrebbe danneggiati e infatti eccoci qua. A subire
l´invasione massiccia degli italiani». Si sta rivelando un bel pasticcio, per
gli svizzeri, la globalizzazione dell´edilizia. Un mese fa nel piazzale di
un autogrill di Bellinzona muratori bergamaschi e colleghi del posto se le sono
date di santa ragione. Motivo: la concorrenza sleale. Sanno benissimo i
lavoratori ticinesi che i loro prezzi non sono paragonabili a quelli dei
«magòt». Né possono abbassare le loro richieste: le spese, il materiale, la
manodopera, i tetti salariali, hanno costi superiori ai nostri
. «Noi
dobbiamo rispettare le regole di contratto collettivo, i controlli fiscali e
tutto quanto – ragiona Edo Bobbià, direttore della società degli impresari e
costruttori ticinesi – Non ho nulla contro la concorrenza estera ma le
regole devono essere uguali per tutti. Invece se noi proviamo ad affacciarci
sul mercato italiano, ci segano le gambe». Anche i politici del Cantone si sono
accorti che l´accordo bilaterale si è rivelato un boomerang. E non ci stanno
.
Se la situazione non cambierà (non si capisce come e perché dovrebbe cambiare)
minacciano di indire un referendum per l´abolizione della libera circolazione
della manodopera. «Dal 1 giugno 2007 cadrà anche il filtro della zona di
confine – dice preoccupato Renzo Ambrosetti, presidente della commissione
tripartita, l´organismo cui spetta la vigilanza sul mercato del lavoro ticinese
– E il problema dei padroncini, che per noi è una spina del fianco, avrà
conseguenze ancor più devastanti».
In Ticino l´edilizia dà lavoro a 2000 imprese e a 20mila persone, con un
monte salari (senza tecnici e amministrativi) di 800 milioni di franchi. Da
quando le porte si sono aperte agli italiani, c´è stato un calo importante:
30-40% in meno
. I più cauti in Ticino dicono che è arrivato il momento di
correre ai ripari. Qualcuno si spinge a sostenere che bisognerebbe boicottare
le imprese italiane. Già, ma come si fa a chiedere a uno che ha una cucina da
piastrellare di sborsare più soldi per difendere l´economia nazionale dalle
insidie straniere? Renato Bresciani viene da Treviglio, Bassa bergamasca.
Lavora da solo, costruzioni. Quando gli chiediamo se non teme la controffensiva
elvetica si mette a ridere: «Noi costiamo molto meno, e poi, non per tirarcela,
lavoriamo meglio». Già, vaglielo a dire agli svizzeri. «Lassù di soldi ne
girano, da noi ce ne sono pochini – gongola Cornelio Cetti, presidente di
Confartigianato e imprese di Como
– Credo che se il patto dovessero
firmarlo oggi gli svizzeri ci penserebbero bene. Ma mica possiamo sentirci in
colpa, noi… Il referendum? Sì, aspettiamo e vediamo».
La sera, alla dogana di Chiasso, il copione si ripete identico ogni giorno: il
fiume dei 36 mila lavoratori frontalieri italiani risale la corrente e,
superato il valico, si scioglie tra Lombardia, Piemonte e Liguria
. Braccia
cotte dal sole e tasche piene. I gendarmi buttano un´occhiata distratta.
Eccoli, i soliti italiani! Furbi e lavoratori. Alla bisogna, persino
«extracomunitari».

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