Gli immigrati venezuelani, nuovo esercito industriale di riserva

La crisi economica e sociale del Venezuela ha prodotto un flusso migratorio di persone in fuga dalla miseria, dalla fame, dalla disoccupazione. I venezuelani si dirigono principalmente in Colombia, Ecuador e Brasile.

Per il Brasile è la seconda consistente ondata migratoria nell’ultima decade. Nel 2010 furono gli haitiani ad entrare numerosi dallo stato dell’Acre dopo un violento terremoto, che aggravava la già disperata situazione sociale del paese. Il governo di Dilma tardò ad organizzare una politica di accoglienza adeguata. In molti casi gli haitiani furono trasportati a sud da imprese agrarie e latifondisti per lavorare in condizioni di semischiavitù. Ad oggi ancora più di 12.000 haitiani stanno aspettando che venga loro riconosciuta la richiesta di rifugiato. Il governo PT si pose a comando della missione ONU che millantava funzioni “umanitarie”, cioè stabilizzare il regime politico e garantire il supersfruttamento dei lavoratori haitiani nelle ‘maquiladoras’. E gli stessi fini umanitari abbandonarono a loro stessi gli haitiani fuggiti in Brasile.

Temer ha dimostrato la medesima negligenza nei confronti dei venezuelani. Oggi è lo stato di Roraima ad accogliere i nuovi immigrati. Negli ultimi 3 anni sono entrati 176.000 venezuelani, ma solo 85.000 sono rimasti nel paese. Un numero davvero irrisorio a fronte dei 200 milioni di abitanti brasiliani. 71.000 attendono ancora la valutazione della richiesta di rifugiato.

L’Operazione Benvenuto, iniziata nel marzo scorso e sotto comando dell’esercito, è insufficiente di fronte al flusso migratorio (circa 500 persone al giorno) e risponde per lo più alla necessità del governo di mostrare una certa attività di fronte ad organismi internazionali come ACNUR o il Pubblico Ministero Federale o il Difensore Pubblico dell’Unione. Il governo ha stanziato 196 milioni di R$, di cui 150 saranno per l’esercito dispiegato in forze.

Cerco lavoro come muratore e imbianchino

Oggi sono operativi 13 centri di accoglienza, ciascuno della capacità di 500 persone. Li gestiscono 500 elementi delle FFAA, assieme ad altri organi di governo. Irrisori anche i risultati del percorso di inclusione: a dicembre 2018 erano 3271 gli immigrati coinvolti.I venezuelani rappresentano meno dell’1% del totale degli immigrati oggi (1,2 milioni) in Brasile. Chiedono la residenza provvisoria o lo stato di rifugiato. Nel primo caso possono rimanere 2 anni nel paese, ma sono più soggetti ad essere deportati nei loro paesi di origine, pur essendo questo illegale. L’istituto di rifugiato ha diritti legali più solidi e offre più garanzie contro l’estradizione, ma pone dei limiti: non si può uscire dal paese e il procedimento è di difficile accesso. Attualmente sono in attesa più di 130.000 richieste.

Gli immigrati venezuelani subiscono non solo la repressione delle forze dello stato, ma anche gli assalti e le persecuzioni per procura dei locali o delle milizie armate dei proprietari terrieri, poiché le terre dove oggi si insediano sono terre indigene ma occupate dai latifondisti, che a suo tempo avevano cacciato i nativi. Il governatore dello stato di Roraima, dello stesso partito di Bolsonaro, ha affermato pubblicamente che “i rifugiati sono la scoria del mondo”.

La politica di Temer è stata quella di spingerli a chiedere la residenza provvisoria, perché rendeva più facile liberarsi di loro, dato che dopo due anni avrebbero potuto chiedere la residenza definitiva ma solo a condizione di dimostrare la capacità finanziaria di mantenersi. Ma un decreto del Ministero del Lavoro modifica il procedimento di emissione del libretto del lavoro, concedendolo solo ai rifugiati con permesso di residenza. Perciò la maggior parte dei venezuelani sono nel paese senza libretto del lavoro, quindi senza possibilità di impiego né status di rifugiato (ci vogliono almeno due anni per ottenerlo), spinti a lavoretti in nero e prossimi alla schiavitù.

Ostacolare l’ottenimento dello status di rifugiato garantisce la formazione di un esercito industriale di riserva utilizzabile per ricattare tutta la classe lavoratrice, principalmente negli stati di Roraima e Amazzonia, ad accettare peggiori condizioni di lavoro e di salario.

Cosa aspettarsi dal governo Bolsonaro? Sicuramente un peggioramento rispetto a questa situazione. Il presidente ha già sostenuto di voler chiudere la frontiera con il Venezuela, creare dei campi chiusi di rifugiati e installare basi militari americane al confine per fronteggiare, a suo dire, la minaccia russa. Il ministro degli esteri, Ernesto Araújo, ha già ritirato il Brasile dal Global Pact sulle migrazioni, approvato da 163 paesi membri dell’ONU nel dicembre scorso.

La carovana di CSP-Conlutas ha portato alla luce le condizioni di vita dei venezuelani e le frequenti umiliazioni e minacce da parte dei proprietari agrari della zona e dalle loro squadracce armate. Non ha offerto solamente solidarietà, ma ha avviato un processo di autorganizzazione e formazione degli immigrati, fortificandone la presenza sul territorio.

“Gli operai non hanno patria”, il proletariato venezuelano soffre lo stesso male del proletariato brasiliano (bassi salari, disoccupazione, precarietà, razzismo, assenza di servizi pubblici, fame, violenza…), ma soprattutto ha lo stesso nemico: il governo borghese di turno, il capitalismo, l’imperialismo. La solidarietà e l’unità di classe sono il compito della sinistra rivoluzionaria, ad ogni latitudine.

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Fonti: Esquerda Diário

Valor Econômico

Sito CSP-Conlutas

Sito PSTU

Ottobre 2018-gennaio 2019