GLI ECCESSI DI PATRIOTTISMO

Italia, Europa, Economia

Cds SERGIO ROMANO


La sindrome protezionista che rivaluta Fazio


Difendere i “campioni nazionali” accelera il declino
italiano ed espone l’EUROPA alla concorrenza delle potenze con un mercato più
vasto.

L’ITALIA deve reagire al nazionalismo economico
francese non con le rappresaglie ma chiedendo all’EUROPA la fine del
protezionismo.



Nel modo in cui alcuni ambienti politici italiani
hanno reagito alla mossa energetica del governo francese (la fusione fra Gaz de
France e Suez) vi è molto compiacimento. Parecchi uomini politici manifestano
sdegno e riprovazione, ma sono felici di avere argomenti per sostenere che
l’Europa è fallita, che ogni Paese deve badare ai propri interessi, che
l’Italia ha il diritto di rispondere alla Francia con misure altrettanto
nazionali. Qualcuno sostiene persino che Fazio aveva ragione e che fu un errore
costringerlo ad andarsene. Stiamo assistendo a una vecchia sindrome
dell’Italia protezionista: la nascita di un «partito tricolore» a cui si
iscrivono contemporaneamente pezzi di destra e di sinistra, tutti uniti dal
desiderio di non perdere il controllo delle leve che ancora rimangono nel
territorio nazionale. E’ una sindrome cattiva per l’Europa, pessima per
l’Italia
. E’ cattiva per l’Europa, dove l’Unione non ha bisogno di
campioni nazionali, concepiti secondo la logica dei singoli governi
.
Conosciamo bene queste operazioni. I campioni vengono costruiti a tavolino
per conservare il mercato domestico e dominare il mercato unico, ma riescono
soltanto a provocare le reazioni ostili di altri «campioni», decisi a fare
altrettanto
. E’ un gioco suicida in cui nessuno può vincere. E’ un gioco
che distrugge i benefici del grande mercato europeo e ci consegna tutti nelle
mani di chi può contare su un più largo retroterra. L’Europa sopravvivrà
soltanto se i singoli governi smetteranno d’interferire nella logica del
mercato
. Senza una grande economia non esiste forza politica. Senza forza
politica non esiste indipendenza. Chi ancora spera che questa indipendenza
possa essere salvaguardata su scala nazionale commette un errore imperdonabile.

La ricetta è pessima per l’Italia di cui potrà soltanto accelerare il
declino
. Sappiamo perché il partito tricolore vuole proteggere i «beni
della nazione». Gli uomini d’affari meno intraprendenti vogliono coltivare
l’orto di casa senza esporsi al vento della concorrenza e dell’innovazione. Gli
uomini politici vogliono banche e aziende con cui stabilire rapporti di
convenienza elettorale e clientelare. I sindacati proteggono chi ha già un
lavoro e vogliono interlocutori contro i quali sia possibile usare le armi di
cui dispongono. Tutti parlano di interesse nazionale, di bene comune, di
patriottismo economico. Ma pensano a conservare rendite di posizione, rapporti
di scambio, il piccolo mercato dei favori dati e ricevuti
. Chi rimpiange
Fazio e lamenta l’ingresso di grandi gruppi stranieri nel sistema bancario
italiano dovrebbe chiedersi se la tenacia con cui l’ex governatore impedì la
fusione di alcune banche italiane non abbia contribuito a rendere il nostro
sistema più vulnerabile.
Questo non significa che l’Italia debba accettare, senza battere ciglio,
l’ultima manifestazione del nazionalismo economico francese. Ma la risposta a
Parigi non può essere la rappresaglia
, nello stile di ciò che fu fatto quando
vennero limitati per qualche tempo i diritti di voto di Edf (il colosso
elettrico francese) nella società italiana Edison. L’unica replica possibile
è andare a Bruxelles, alzare il tono del dibattito e costringere l’Europa ad
affrontare il problema del protezionismo
. Siamo un Paese fondatore
dell’Unione e abbiamo il diritto di chiedere che il protezionismo scavalchi
ogni altra questione nell’ordine del giorno dell’Europa. Se adotteremo una
posizione europea, troveremo più amici e alleati di quanti ne abbia la Francia.

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