Parla Aaron Abramovich, direttore generale del ministero
degli Esteri israeliano
In Libano è chiaro cosa sta
succedendo: Iran e Siria vogliono che Hezbollah conquisti il paese, se tornano
ad armarsi destabilizzeranno tutta la regione
AARON ABRAMOVIC (capo diplomazia
israeliana): siamo disposti a trattare coi palestinesi, ma prima riconoscano
accordi di Oslo e fermino terrorismo.
Il riarmo di
Hezbollah è una minaccia per noi e il governo libanese.
ROMA – Aaron Abramovich è il direttore generale
della "Farnesina" israeliana. In verità è qualcosa di più del
semplice capo della diplomazia: è lo stratega che al fianco di Tzipi Livini, il
ministro degli Esteri, nell´estate del 2005 ha gestito il ritiro di Israele da
Gaza. Da allora segue tutti i dossier politici internazionali con il suo
ministro. È stato a Roma, per incontrare uomini politici e diplomatici italiani
(tra gli altri ha visto Fassino e Intini) e per un ennesimo round del lungo
negoziato con il Vaticano. Con Repubblica Abramovich parla di quest´ennesima,
confusa fase nella lunga storia del Medio Oriente. «A Roma ho avuto incontri
molto interessanti con tutti, i leader politici e i dirigenti diplomatici. Su
palestinesi, Libano, Hezbollah, Iran ho trovato che il governo italiano
dimostra di avere un´ottima conoscenza della situazione dei dossier. A tutti ho
ripetuto la nostra posizione: qualunque sia il nuovo governo palestinese,
qualunque sia il ruolo che Hamas dovrà avere, noi chiediamo che la comunità
internazionale non arretri di un millimetro. Il nuovo governo palestinese deve
apertamente rinunciare al terrorismo, deve riconoscere Israele e gli accordi
sottoscritti in precedenza dal nostro governo e dall´Anp».
Dottor Abramovich, con i palestinesi
in questo momento è in atto una tregua.
«Sì, a Gaza, una tregua che vorremmo potesse essere il primo passo di qualcosa
di più esteso. Noi vogliamo innanzitutto che il lancio di razzi su Israele
cessi per davvero, assieme alla fine di tutte le violenze. Dobbiamo anche
lavorare per fermare il contrabbando di armi verso Gaza, tonnellate e
tonnellate di armi che sono destinate ad essere usate contro di noi. Nelle
nostre intenzioni la tappa successiva, dopo il rilascio dei prigionieri, che
come tutti sapete non è un affare smplice, dovrebbe essere estendere la tregua
alla West Bank».
Con chi credete di poter negoziare? Sembra che il miraggio di un governo di unità
nazionale palestinese si stia dissolvendo?
«Qualunque sia il governo palestinese, per noi dovrà rispettare le 3
condizioni che tutta la comunità internazionale chiede vengano rispettate.
Per il resto le posso dire quel vedo all´interno del nostro fronte: il governo
di Olmert e Livni è stato creato, è nato per procedere sulla via del negoziato.
Noi abbiamo bisogno di un partner, che nonostante questi mesi di violenze e di
terrorismo, possa riprendere con noi il percorso del negoziato. Abu Mazen può
esserlo, Hamas può negoziare soltanto perché sente la pressione della comunità
internazionale. Per questo abbiamo chiesto ancora con forza al governo
italiano: premete, chiedete che vengano rispettate le 3 condizioni, basta
terrorismo, riconoscere Israele, riconoscere gli accordi dell´Anp».
Siete reduci dalla guerra con Hezbollah. Come
valutate il ruolo, il lavoro dell´Unifil?
«L´Unifil è stata decisiva quest´estate per permettere la fine delle
operazioni. E anche in questo il ruolo del governo italiano è stato assai
importante. Ma adesso Hezbollah si sta riarmando, pesantemente: con l´aiuto
della Siria, con i finanziamenti dell´Iran. Le armi ad Hezbollah sono una
minaccia a noi. Ma sono una minaccia a Siniora, alla stabilità del Libano e
dell´area».
Ma quali sono, secondo voi, i veri
obiettivi di Hezbollah in Libano? Perché si riarmano, pensano a un nuovo
conflitto contro Israele?
«Gli Usa hanno detto chiaramente che Iran e Siria puntano a un golpe in
Libano. È il primo obiettivo di Hezbollah, per alalrgare l´influenza di Siria e
Iran in tutto il Libano. Hezbollah lo dice apertamente, vogliono rovesciare il
governo Siniora. L´assassinio di Pierre Gemayel si inscrive in questo
disegno di destabilizzazione del paese. Il disegno è chiaro, credo che pochi
possano non vederlo».