Gaza, attentato contro Haniyeh il premier sfugge ai killer

Alberto Stabile

I familiari di un miliziano ucciso dalla
"polizia" di Hamas volevano vendicare la sua morte

Sale la tensione tra i palestinesi, uomini di Fatah tra
gli sparatori

Crisi senza soluzione, bocciato il governo tecnico
proposto da Abu Mazen

Solo qualche ora prima era
stata firmata una "tregua" fra integralisti e al Fatah

GERUSALEMME – La guerra intestina che da mesi dilania i
palestinesi ha toccato un nuovo picco, ieri, a Gaza, allorquando il convoglio
che riportava il primo ministro Ismail Haniyeh dalla moschea, dove aveva appena
pronunciato un duro sermone contro il presidente Abbas, alla sua dimora al
Beach Camp, è stato attaccato a colpi d´arma da fuoco. Haniyeh è rimasto
illeso, la sua auto non ha subito danni, mentre una delle macchine di scorta è
stata divorata dalle fiamme. Così il portavoce di Hamas, Ghazi Hammad, ha
potuto derubricare l´accaduto da attentato contro la persona del primo ministro
ad attacco contro le forze di sicurezza
, organizzato, sembra, dai familiari
di un miliziano di al Fatah ucciso all´inizio del mese dagli uomini della
cosiddetta «Executive force».

Si potrebbe osservare che, se l´obbiettivo dell´azione fosse stato «soltanto»
l´apparato di sicurezza messo in piedi dal governo di Hamas, gli attentatori
avrebbero trovato in ogni momento mille occasioni di vendetta per le strade di
Gaza. Invece hanno mirato al convoglio che tutti i venerdì poco prima di
mezzogiorno attraversa a velocità folle il centro di Gaza per portare il
premier alla moschea, o, per meglio dire, ad una moschea, il cui indirizzo, in
teoria, dovrebbe sempre cambiare. Un avvertimento.
Questo non toglie che nell´anarchia assoluta in cui è sprofondata la striscia
di Gaza, non sia plausibile che la famiglia di una delle vittime di questo
scontro fratricida che tutti dicono di voler evitare ma che non si riesce a
fermare, abbia deciso di farsi giustizia da sé. D´altronde, proprio in questa
esaltazione della vendetta, della violenza generalizzata e nella parallela
emarginazione e scomparsa della legalità consiste uno degli effetti più deleteri
della guerra civile. Basti ricordare che dal primo di ottobre 19 palestinesi
sono stati uccisi da altri palestinesi, quasi un morto al giorno
.
Eppure, quella di ieri, fino al mezzogiorno di fuoco contro il convoglio del
premier, sembrava una giornata di segno diverso, grazie all´accordo
raggiunto nella notte con l´intervento di due mediatori degni di fede, i
generali egiziani, Rafat Shhade e Mohammed Ibrahim, tra i capi di al Fatah e
quelli di Hamas, i quali hanno stabilito, nero su bianco, di far cessare ogni
violenza reciproca.
Il decalogo sottoscritto è una sorta di libro dei sogni in cui le parti
s´impegno persino a mettere fine agli attacchi non soltanto armati ma anche «a
mezzo stampa»
. Ci sarebbe dunque di che rallegrarsi, visto che tutte le volte
che l´Egitto aveva cercato d´imporre una riconciliazione, i tentativi erano
miseramente falliti. Se non fosse che lo scontro ha motivi politici seri e
radicati, e tutt´altro che conciliabili.
E´ Haniyeh che si preoccupa di ricordare alla folla dei fedeli, parlando a
suocera perché nuora intenda, perché non potrà mai essere d´accordo con nessuna
delle proposte che il presidente Abbas sforna pressocchè quotidianamente nel
tentativo di strappare la sua gente dall´isolamento politico e dallo
strangolamento economico imposto da Israele, con il consenso attivo della
comunità internazionale, dopo l´ascesa al potere degli integralisti.
Su questo, però, il negoziato interno non ha prodotto alcun risultato. Con e
senza egiziani. Niente. Abu Mazen ha proposto un governo di unità nazionale
che non s´è fatto perché Hamas non intende riconoscere Israele, né, quel che è
più grave, gli accordi precedenti sottoscritti dall´Autorità palestinese
.
Ora basterebbe ricordare che persino la vittoria elettorale di Hamas, su cui Haniyeh
appunta la propria legittimità a governare, è figlia degli accordi di Oslo, da
cui scaturisce il Consiglio Legislativo eletto ogni cinque anni. Ma tant´è.
Abu Mazen ha, quindi minacciato di licenziare il governo, di sciogliere il
parlamento, d´indire un referendum per dare al popolo palestinese la parola
finale sul proprio futuro. Infine, il presidente è tornato a proporre un
governo di tecnici, neutrale, affidabile, accettabile dagli uni e dagli altri,
ma soprattutto dalla comunità internazionale che potrebbe, quindi, sbloccare
gli aiuti da cui dipende la sopravvivenza dei palestinesi.
Le cose sono, o meglio erano a questo punto, fino a quando il premier di Hamas,
nel suo sermone di ieri non ha fatto cadere ogni illusione anche sul governo
dei tecnici. «Tutte queste opzioni – ha detto davanti alla folla dei fedeli –
non hanno che un unico scopo, quello di rimuovere Hamas dal governo». E dunque,
se mai una di queste «formule» dovesse arrivare all´approvazione del parlamento
palestinese, ha avvertito Haniyeh, Hamas farà valere la sua maggioranza
schiacciante
.

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