Fratture nell’establishment

Germania, UE, contraddizioni
Gfp     130412
 
Fratture nell’establishment

 

–       Sullo sfondo di crescenti divergenze nell’establishment economico tedesco sulla politica di crisi di Berlino, sulla questione se mantenere unita o disgregare l’eurozona,

o   il nuovo partito tedesco anti-euro, “Alternativa per la Germania”, che sarà fondato ufficialmente domenica prossima,

o   chiede un’ordinata dissoluzione dell’area dell’euro, e la reintroduzione delle monete nazionali,

o   oppure, in alternativa, la creazione di unioni monetarie più piccole e stabili, “Euro del Nord”, etc.

–       I grandi gruppi e la Confindustria tedesca continuano a considerare vantaggioso l’euro.

–       A loro nome, il direttore dell’Istituto economico internazionale di Amburgo (WeltWirtschaftsInstitut) denuncia:

o   l’abbandono dell’euro arrecherebbe un grave danno politico alla UE – oggi il più importante strumento di potere della politica estera tedesca.

o   Sull’aspetto economico: 

o   riguardo ai crediti che i creditori tedeschi hanno verso i debitori stranieri, una nuova valuta tedesca farebbe svalutare fortemente quelle della maggior parte degli altri paesi UE, e ciò porterebbe ad un’enorme cancellazione del loro debito a spese della Germania.

o   La rivalutazione della nuova moneta tedesca renderebbe più costosi i prodotti tedeschi sul mercato mondiale e farebbe perdere competitività per i prezzi ai gruppi tedeschi rispetto alla concorrenza.

o   Inoltre a causa delle loro valute deboli, altri paesi europei non avrebbero denaro sufficiente per acquistare ancora prodotti di qualità tedeschi, fattore molto importante, perché gli esportatori tedeschi nonostante gli affari russi e il boom della Cina, dipenderanno ancora a lungo dai mercati europei: nel 2012 il 37,5% dell’export tedesco va nei paesi dell’euro.

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–       Il mantenimento dell’euro è ritenuto invece svantaggioso da numerose PMI e dalle loro organizzazioni:

–       che rilevano una tendenza al calo del peso dell’export tedesco nell’area euro: nel 1991 il 51,6% era verso i paesi che oggi fanno parte dell’euro; la crisi ha diminuito il potere di acquisto nei paesi del Sud, nel 2012 la quota dell’export tedesco nell’area euro è diminuita del 2,1%.

–       In caso di crollo dovuto alla crisi verranno richiesti alla Germania aiuti finanziari molto superiori agli svantaggi della rinuncia all’euro.

 

–       Alcune di queste PMI appoggiano “Alternativa per la Germania”, per essa un solido dunque con elite influenti e non trascurabili.

–       Dato che alcuni dei suoi leader sono in contatto con la destra estrema, si può pensare che Alternativa cercherà di attingere a questo tipo di elettorato, finora non utilizzato.

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–       La Fondazione delle imprese a conduzione familiare: per la bancarotta della Grecia la Germania ha rischiato di perdere miliardi a causa del sistema di fatturazione della banca centrale europea, posizione condivisa dalla Associazione delle imprese famigliari, composta soprattutto da PMI con un fatturato annuo minimo di €1mn., ma anche da importanti gruppi, come Oetker (gruppo internazionale, 26 000 addetti, fatturato di oltre €10MD).

–       Le frazioni dei partiti CDU-CSU e FDP che rappresentano le PMI si sono sempre opposti alla politica di crisi del governo, (che continua a puntare sul mantenimento dell’euro – come chiede la maggioranza dell’industria tedesca).

o   Queste frazioni, – che hanno creato diverse associazioni (sotto denominazioni come “Plenum degli economisti”, oppure “Alleanza contro l’Unione monetaria”) mobilitate contro la politica di crisi del governo – godono anche dell’appoggio di numerosi economisti e altri personaggi importanti dell’economia, come l’ex presidente della Confindustria tedesca, Hans-Olaf Henkel, che nel 2011 ha chiesto pubblicamente la divisione dell’area euro (il gruppo Henkel ha 47 000 dipendenti nel mondo).

 

–       Henkel è stato uno dei primi a muoversi politicamente, nel 2011, appoggiando coalizioni elettorali, da cui ad inizio 2013 è nato il partito Alternativa per la Germania.

–       Di Alternativa fanno parte alcuni economisti e scienziati, già contrari all’introduzione dell’euro negli Novanta. L’appoggio politico delle PMI ai partiti anti-euro si è però sviluppato solo in seguito, sotto la pressione della crisi.

 

o   In mancanza dell’appoggio dell’establishment economico, il partito “Lega dei liberi cittadini”, fondato nel 1994, cercò i voti dei nazionalisti dell’estrema destra, i soli che potessero allora essere mobilitati contro l’introduzione dell’euro.

o   Alternativa nega di cercare il consenso elettorale nell’estrema destra, ma alcuni dei suoi attivisti sono autori e intervistatori dei media della estrema destra, come il settimanale “Junge Freiheit – Giovane Libertà”. Ha legami con personaggi come Thilo Sarrazin, che ha fatto notizia per le sue posizioni razziste e la polemica contro l’euro, ed è appoggiato dal gruppo Bertelsmann (una delle maggiori aziende multimediali al mondo).

 

o   Il dibattito su Sarrazin ha mostrato le fratture che si sono create dentro l’establishment tedesco, mentre nel precedente decennio esso era unito a favore dell’integrazione europea e prendeva le distanze dalle posizioni dell’ultra destra.

 

–       Da uno studio della Fondazione Friedrich-Ebert il 9% dei tedeschi hanno una posizione di estrema destra, il cui potenziale elettorale non è finora stato sfruttato dai partiti ad essi vicini.

È questo un terreno di coltura a disposizione per esperimenti nazionalistici.

Gfp      130412
Brüche im Establishment
BERLIN

–          (Eigener Bericht) – Für diesen Sonntag kündigt die neue Anti-Euro-Partei "Alternative für Deutschland" ihren Gründungsparteitag an.

–          Die Partei fordert "eine geordnete Auflösung des Euro-Währungsgebietes" und setzt sich für "die Wiedereinführung nationaler Währungen", alternativ für "die Schaffung kleinerer und stabilerer Währungsverbünde" ("Nord-Euro" etc.) ein.

–          Hintergrund sind gravierende Differenzen im deutschen Wirtschafts-Establishment. Während die mächtigsten Großkonzerne und der Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI) den Euro nach wie vor für ökonomisch vorteilhaft halten,

–          sind zahlreiche Mittelständler und ihre Verbände, darunter etwa der 5.000 Firmen vertretende Verband Die Familienunternehmen, vom Gegenteil überzeugt.

–          Einige aus ihren Reihen unterstützen die "Alternative für Deutschland", die damit – im Unterschied zu früheren Parteiengründungen – auf eine solide Verankerung in Teilen der Einflusseliten bauen kann. Einige ihrer Protagonisten unterhalten Kontakte in ultrarechte Milieus; dies nährt den Verdacht, die Partei könne versuchen, das bisher brachliegende Wählerpotenzial am rechten Rand der bundesdeutschen Gesellschaft anzuzapfen.

Die Euro-Frage

–          Die Partei "Alternative für Deutschland", die an diesem Sonntag in Berlin ihren Gründungsparteitag abhalten will, weist gegenüber den anderen Parteigründungen der letzten Jahre und Jahrzehnte eine wichtige Besonderheit auf: Sie wird von starken Interessen eines nicht geringen Teils der deutschen Eliten getragen. Hintergrund ist ein heftiger Streit um die Berliner Krisenpolitik, der seit inzwischen drei Jahren in der deutschen Wirtschaft tobt.

–          Im Kern steht dabei die Frage, ob die Eurozone weiterhin aufrecht erhalten werden oder aber aufgespalten werden soll. Für letzteren Fall werden mehrere Varianten diskutiert, darunter die Rückkehr Deutschlands zur D-Mark oder die Einführung eines "Nord-Euro".

Die Gefahr der Aufwertung

–          Die Position der Euro-Befürworter, zu denen die bedeutendsten deutschen Großkonzerne und auf Verbandsebene der Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI) gehören, hat Mitte dieser Woche der Leiter des Hamburgischen WeltWirtschaftsInstituts, Thomas Straubhaar, prägnant in Erinnerung gerufen.

–          Straubhaar erwähnt die schweren politischen Schäden für die EU – derzeit ein bedeutendes Machtinstrument für die deutsche Weltpolitik -, die bei einer Preisgabe des Euro entstehen könnten, konzentriert sich dann jedoch auf die ökonomischen Folgen.

–          Er verweist auf die Forderungen, "die zur Zeit deutsche Gläubiger gegenüber ausländischen Schuldnern offen haben".

–          Eine neue deutsche Währung werde auf-, die Währung der meisten anderen EU-Staaten aber stark abwerten; dies laufe auf einen "riesigen Schuldenerlass (…) auf deutsche Kosten" hinaus – eine "Schocktherapie" für die deutsche Wirtschaft.

–          Die Aufwertung der neuen deutschen Währung verteure außerdem deutsche Produkte auf dem Weltmarkt und führe dazu, dass deutsche Firmen gegenüber der Konkurrenz "an preislicher Attraktivität verlieren".

–          Insbesondere würden andere europäische Staaten aufgrund ihrer schwächeren Währung kaum noch Geld haben, "weiterhin deutsche Qualitätsprodukte zu kaufen".

–          Gerade letzteres wiege schwer, weil deutsche Exporteure trotz Russland-Geschäft und China-Boom "noch lange Zeit auf die europäischen Märkte als Absatzraum angewiesen" seien.[1] 2012 gingen in der Tat noch 37,5 Prozent der deutschen Ausfuhren in Länder der Eurozone.

Die Gefahr des Zusammenbruchs

–          Gegner der Berliner Krisenpolitik weisen demgegenüber nicht nur darauf hin, dass die Bedeutung der deutschen Exporte in die Eurozone deutlich sinkt: 1991 hatte ihr Anteil an der Gesamtausfuhr, umgerechnet auf die heutige Eurozone, noch 51,6 Prozent betragen. Die Krise senke die Kaufkraft im Süden ebenfalls, heißt es weiter. In der Tat ging im letzten Jahr der Anteil der Ausfuhren in die Eurozone um 2,1 Prozentpunkte zurück. Insofern hänge von der Einheitswährung viel weniger ab, als ihre Befürworter behaupteten, heißt es.

–          Vor allem jedoch werde die Bundesrepublik im Falle eines krisenbedingten Zusammenbruches, der immer wahrscheinlicher werde, in einem Maße zur Kasse gebeten werden, das die Nachteile einer Euro-Preisgabe mit Gewissheit übersteige.

–          So drohten Deutschland alleine bei einem Bankrott Griechenlands "aus dem Verrechnungssystem der europäischen Notenbanken (…) Milliarden-Verluste", hieß es etwa im Juni 2012 in einer "Zweiten Berliner Erklärung" der Stiftung Familienunternehmen.[2] Derartige Positionen vertritt zudem der Verband Die Familienunternehmen, der rund 5.000 Firmen repräsentiert – vor allem Mittelständler mit einem Mindest-Jahresumsatz von einer Million Euro, aber auch bedeutende Konzerne wie Oetker.[3]

Vom Bündnis zur Partei

–          Mittelstandsvertreter in den Unionsparteien und der FDP opponieren seit je gegen die Krisenpolitik der Bundesregierung, die bislang auf den Erhalt des Euro setzt – im Sinne der Mehrheitsfraktion der deutschen Industrie.

–          Unterstützt werden sie dabei nicht nur von Mittelständlern, sondern auch von zahlreichen Wirtschaftswissenschaftlern und anderer Prominenz aus Wirtschaftskreisen,

–          etwa vom ehemaligen BDI-Präsidenten Hans-Olaf Henkel, der bereits 2011 öffentlich verlangte, die Eurozone aufzuspalten.[4]

–          Aus diesen Kreisen ist im Laufe der Zeit eine Vielzahl lockerer Zusammenschlüsse entstanden, die unter Bezeichnungen wie "Plenum der Ökonomen", "Bündnis Bürgerwille" oder "Allianz gegen den ESM" gegen die Krisenpolitik der Bundesregierung mobilisieren.

–          Als einer der ersten hat Hans-Olaf Henkel parteipolitische Konsequenzen gezogen, die andere – in der Hoffnung auf einen Kurswechsel der Regierungsparteien – lange zu vermeiden suchten: Er kündigte 2011 an, von nun an mit den "Freien Wählern" zu kooperieren.[5] Diesem Versuch schloss sich zunächst die im Herbst 2012 gegründete "Wahlalternative 2013" an; ihr Bündnis mit den "Freien Wählern" kam bei den Landtagswahlen in Niedersachsen am 20. Januar 2013 nur auf 1,1 Prozent. Die Initiatoren der "Wahlalternative" zogen die Konsequenz und gründeten am 6. Februar 2013 eine eigene Partei, die "Alternative für Deutschland".

Experte für die NPD

–          Zu den Unterstützern der "Alternative" gehören einige Ökonomen und Wissenschaftler, die bereits in den 1990er Jahren von der Einführung des Euro erhebliche Nachteile für die deutsche Wirtschaft erwarteten und deshalb gegen sie opponierten, unter anderem mit Verfassungsbeschwerden.

–          Zudem hatten sich manche 1994 an der Gründung der Partei "Bund freier Bürger" beteiligt, die sich gegen den Euro aussprach – in dieser Hinsicht der "Alternative für Deutschland" vergleichbar, allerdings ohne deren breite Unterstützung aus der mittelständischen Wirtschaft, die erst unter dem Eindruck der Krise die Bereitschaft zu parteipolitischen Aktivitäten entwickelt hat.

–          Der "Bund freier Bürger" und seine Aktivisten, etwa die Professoren Karl Albrecht Schachtschneider und Joachim Starbatty, ging angesichts fehlender Unterstützung aus dem Establishment auf Stimmenfang bei Nationalisten in der äußersten Rechten, die allein damals gegen die Euro-Einführung in Stellung gebracht werden konnten. Schachtschneider scheute auch nach dem Scheitern des "Bund freier Bürger" nicht vor der Kooperation mit der extremen Rechten zurück – er trat bei der FPÖ auf und wurde von der NPD zu einem "Expertenhearing" in den sächsischen Landtag eingeladen.

Nährboden für Nationalisten

–          Vermutungen, die "Alternative für Deutschland" werde wie der "Bund freier Bürger" ihre Stimmen auch in der äußersten Rechten suchen, werden von der Partei zwar entrüstet zurückgewiesen, doch sind einige ihrer Aktivisten als Autoren und Interviewpartner in Rechtsaußen-Medien wie etwa der Wochenzeitung "Junge Freiheit" bekannt.[6]

–          Brücken schlagen könnten zudem Personen wie Thilo Sarrazin, der – unterstützt vom Bertelsmann-Konzern – zunächst mit rassistischen Thesen und dann mit Polemik gegen den Euro von sich reden machte; Sarrazin, der im vergangenen November den "Deutschen Mittelstandspreis 2012" erhalten hat – als Festredner bei der Preisverleihung trat Hans-Olaf Henkel auf -, findet bis heute breite Zustimmung in Deutschland, nicht zuletzt in ultrarechten Milieus.

–          Schon die Sarrazin-Debatte hat Brüche im deutschen Establishment erkennen lassen, das in den Jahrzehnten zuvor weithin geschlossen hinter der europäischen Integration gestanden und eine gewisse Abgrenzung gegenüber ultrarechten Positionen bewahrt hatte (german-foreign-policy.com berichtete [7]).

–          Dass in der Bundesrepublik nach wie vor starke rechte Milieus existieren, deren Stimmenpotenzial von den einschlägigen Parteien bislang nicht annähernd ausgeschöpft wurde, hat vor kurzem eine neue Studie der Friedrich-Ebert-Stiftung bestätigt.

 

–          Demnach weisen neun Prozent aller Deutschen ein geschlossen rechtsextremes Weltbild auf; einzelne ultrarechte Positionen, wie sie beispielsweise in der Sarrazin-Debatte vertreten wurden, erreichen heute noch deutlich höhere Zustimmungswerte.[8] Der Nährboden für nationalistische Experimente ist vorhanden

–          .

[1] Thomas Straubhaar: Das passiert bei einer Rückkehr zur D-Mark; www.welt.de 10.04.2013

[2] Zweite Berliner Erklärung der Stiftung Familienunternehmen; www.familienunternehmen.de 08.06.2012

[3] Wer steckt hinter der Alternative für Deutschland? andreaskemper.wordpress.com

[4] s. dazu Alles muss raus!

[5] s. dazu Europa driftet

[6] Dies gilt beispielsweise für Hans-Olaf Henkel, Karl Albrecht Schachtschneider, Joachim Starbatty, Wilhelm Hankel und Dieter Farwick.

[7] s. dazu Herrschaftsreserve, Die neue deutsche Frage (III) und Rebellion der Eliten

[8] Oliver Decker, Johannes Kiess, Elmar Brähler: Die Mitte im Umbruch. Rechtsextreme Einstellungen in Deutschland 2012, Bonn 2012

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