Forzare la marcia verso una nuova Europa + Europa stile tedesco (III)/+L’Europa, il sistema internazionale e un cambiamento genera

Ue, Germania, rapporti potenza
Gfp     111115

Forzare la marcia verso una nuova Europa

+ Gfp 111114
Europa stile tedesco (III)
+ Strafor      111108

L’Europa, il sistema internazionale e un cambiamento generazionale

George Friedman

– Sotto la forte pressione tedesca, nella battaglia contro la crisi dell’euro, la UE sta trasformandosi in una unione a due classi, tendenza che secondo l’Associazione Tedesca per la Politica Estera (DGAP) è emersa con chiarezza dopo il vertice di fine ottobre:

o   I 17 membri dell’area dell’euro stanno stringendo i loro legami, rafforzando istituzioni e procedure e delimitandosi con maggiore chiarezza dai paesi non euro.

o   I 17 stanno per formare un’“Europa nocciolo duro”, di fatto una “Europa tedesca” – anziché  la “Germania europea” di cui si parlava negli anni Novanta – alla quale spettano importanti decisioni, riguardanti tutta la UE, sulle quali i 10 paesi non-euro (GB compresa) verranno informati senza aver diritto di esprimersi.

o   Da subito è stato istituito un “vertice dell’euro” che si riunirà due volte l’anno per decidere su tutte le importanti questioni di politica finanziaria ed economica.

–  L’“Europa nocciolo duro” è contrassegnata dalla politica di austerità imposta da Berlino; anche la Francia ha dovuto piegarsi al diktat al risparmio tedesco. Questa politica imposta da Berlino è denunciata all’estero come anti-democratica.

– La sottomissione di fatto dei paesi al di fuori dell’euro, ad es. la GB, ai diktat franco-tedeschi, contiene una “forza politica esplosiva”:

o   non è dato per certo che alla lunga Londra accetti che Berlino e Parigi limitino la sua libertà di azione.

o   Barroso, presidente Commissione UE: è difficile che alla lunga un ricco “nocciolo duro europeo” possa rimanere legato ad un Sud che sta sprofondando nella povertà senza suscitare forti proteste.

– Al congresso del suo partito, CDU, la Cancelliera tedesca Merkel, ha chiesto: “Forzare la marcia verso una nuova Europa”;

o   la UE è una “comunità legata dal destino nel mondo globale”; deve essere rafforzata per poter avere un ruolo di primo piano nella competizione internazionale; di conseguenza è necessario difendere l’euro.

– Che questo passaggio riesca dipende dalla capacità di Berlino di costringere all’unità politica l’area dell’euro o addirittura tutta la UE, utilizzando la crisi in corso.

o   L’Europa si trova nel momento più difficile dalla Seconda Guerra Mondiale; l’euro è molto più di una moneta … se l’euro fallisce, fallisce l’Europa.

– Berlino chiede di passare ad una unione anche politica, per consolidarne la potenza anche per la politica estera, sulla quale oggi crescono le forze centrifughe.

– Le proposte del governo corrispondono alle richieste avanzate ad inizio mese dal presidente uscente di Deutsche Bank, Ackermann:

o   continuare l’integrazione europea è la nostra unica possibilità per assicurarci un’influenza visibile nel mondo del XXI secolo …

o   gli Stati nazionali europei, Germania compresa, sono troppo piccoli in rapporto agli Usa o alla Cina, per avere ancora da soli molta influenza …

o   La UE ha bisogno di maggiori elementi di unità politica …

o   non si può fare a meno di istituzioni paneuropee per il settore finanziario e di diritti di ingerenza nei bilanci nazionali dei paesi membri …

o   la limitazione della politica nazionale consente di creare una unità della UE finora inesistente, anche per la finanza statale, su cui Berlino ha sconfitto la Francia nelle ultime settimane.

– Il think tank UE European Council on Foreign Relation (ECFR) rileva che su molte questioni l’Europa è divisa e di conseguenza ininfluente.

– In una sua recente analisi il think tank americano, Stratfor, prevede fallisca il tentativo di trasformare la UE in una grande potenza globale e non esclude neppure il declino della sua integrazione ritenendo insanabili le contraddizioni nazionali al suo interno:

o   gli interessi economici nazionali dei vari paesi UE in molti casi – in particolare tra Germania e paesi del Sud Europa – sono diametralmente opposti.

o   La domanda che oggi si pone è quanto l’Europa si dividerà;

o   secondo ECFR, la disintegrazione avviene spesso più velocemente di quanto si pensi. Appena comincia già non è più possibile fermarla, ricordare il crollo dell’Urss. È ora di lavorare contro questa eventualità, altrimenti l’Europa potrebbe prendere la strada di Weimar.

o   L’integrazione europea è stata avviata (dopo la Seconda Guerra Mondiale) per creare un sistema di dipendenze che renda impossibile una guerra in Europa, un progetto moto ambizioso, dato che guerra ed Europa sono finora state di casa.

o   Si è cercato di contenere i conflitti in Europa con lo stretto legame franco tedesco e, arginando i nazionalismi, di impedire future contrapposizioni,

o   MA la struttura dell’Europa in Stati nazionali è troppo radicata per poter essere eliminata, per ovviare si è cercato di creare una specie di sovrastante coscienza europea. Stratfor: è destinata a fallire l’idea che, se la UE fornisce le fondamenta di un benessere europeo la sopravvivenza delle nazioni non metterà in discussione la UE.

o   Il Progetto europeo sta fallendo proprio su una questione che aveva cercato di risolvere, il nazionalismo.

– A dimostrazione della sua tesi, Stratfor ricorda quanto divergano struttura e forza economica dei vari paesi europei:

o   la Germania produce più di quanto consuma e perciò deve esportare; una zona di libero scambio attorno alla seconda maggiore potenza esportatrice del mondo esercita necessariamente una enorme pressione sui paesi più deboli della UE, minandone sistematicamente la capacità di svilupparsi.

– L’economia tedesca, rafforzata dalla zona dell’euro che ha reso impossibile agli altri paesi difendersi con la svalutazione della moneta, si è imposta con l’export:

o   Se il periodo di straordinario benessere 1991-2008 ha potuto occultare queste contraddizioni, la prima crisi doveva però mettere allo scoperto le falle strutturali, l’ha fatto per caso la crisi finanziaria del 2008, ma anche crisi diverse avrebbero avuto effetti analoghi.

– Alle contraddizioni economiche degli Stati nazionali europei si aggiungono forti divergenze nella politica estera:

o   DGAP: gli scontri Francia-Germania che si sono espressi con rivalità e divergenze nelle strategie di espansione, hanno impedito una politica estera unitaria e con ciò il ruolo di grande potenza mondiale della UE.

– Recentemente sono emerse le contraddizioni anche tra le maggiori potenze europee sul voto per l’ingresso dei palestinesi nell’UNESCO, come rimarca ECFR, gli europei si sono presentati divisi e perciò senza peso; nessun consenso tra i 5 grandi della UE:

o   dei due membri permanenti nel CdS ONU, la GB si è astenuta, la Francia ha votato a favore; la Germania contro

o   l’Italia ha seguito la linea della GB; la Spagna quella della Francia.

o   Divisi anche i paesi del Mediterraneo.

– Altri esempi di divisione in politica estera: 5 hanno bloccato il riconoscimento del Kosovo, 5 la liberalizzazione verso Cuba.

– Le misure di austerità non sono il risultato di una presunta costrizione economica, ma lo strumento di una rigida politica neo-liberale, propugnata da Berlino, e che nel corso della crisi ha imposto a livello UE contro la Francia, che fino a poco fa seguiva programmi con tagli sociali meno rigidi.

– Sotto una copertura di “governo di esperti”, la politica di risparmio tedesca ha fatto salire al governo in Grecia Lucas e in Italia Mario Monti, entrambi ben visti a Berlino.

o   Papademos ha dimostrato da vice presidente BCE, 2002-2010, di condividere le posizioni di Berlino; Monti si è incontrato con esponenti politici ed esperti finanziari tedeschi pochi giorni fa, prima di essere incaricato alla presidenza del consiglio italiano. È un europeista convinto e si dice che farà di tutto per far rimanere l’Italia nell’area euro.

– Il quotidiano britannico The Guardian sull’Europa che sta trasformandosi sotto la pressione tedesca:

o   Le decisioni di fatto vengono ora prese in Europa dal Gruppo di Francoforte,[1] una congrega non eletta di 8 persone, di cui fanno parte oltre a Merkel e Sarkozy i presidenti FMI, BCE, Commissione UE, dell’eurogruppo, del Consiglio europeo, e il commissario UE all’economia e alla moneta.

o   Questa cricca decide se consentire alla Grecia di tenere un referendum, se e quando riceverà la prossima tranche di aiuti.

Guardian parla di crescente allontanamento dai principi democratici, “È come se l’orologio democratico fosse stato riportato ai tempi in cui la Francia era governata dai Borboni”.

[1] Il Gruppo di Francoforte è un gruppo informale creato dal governo tedesco che a Francoforte ha preparato in ottobre il vertice di crisi di Bruxelles e che ha continuato a riunirsi anche durante il vertice per concordare le decisioni in piccoli gruppi di persone.

Gfp      111115

Durchbruch zum neuen Europa

15.11.2011
BERLIN/WASHINGTON

–   (Eigener Bericht) – Die deutsche Kanzlerin fordert den "Durchbruch zu einem neuen Europa". Die EU sei eine "Schicksalsgemeinschaft in der globalen Welt", erklärte Angela Merkel am gestrigen Montag auf dem Parteitag der CDU; sie müsse gestärkt werden, um in der internationalen Konkurrenz eine führende Stellung halten zu können. Deshalb sei es notwendig, den Euro zu bewahren.

–   Berlin fordert zudem den Übergang zu einer auch politischen Union. Damit zielt die Bundesregierung darauf ab, die globale Schlagkraft der EU zu verstärken – perspektivisch auch auf dem Gebiet der Außenpolitik, auf dem gegenwärtig zentrifugale Kräfte zunehmen.

–   Europa sei in zahlreichen Fragen "gespalten und irrelevant", klagt etwa der Thinktank European Council on Foreign Relations.

–   US-Beobachter geben sich skeptisch. Wie der US-Informationsdienst Stratfor in einer unlängst publizierten Analyse urteilt, lassen sich die nationalen Widersprüche in der EU nicht auflösen – auch nicht auf ökonomischem Gebiet, was Berlin derzeit zwecks Überwindung der Euro-Krise versucht. Das Bemühen, Europa in eine global schlagkräftige Macht zu transformieren, urteilt Stratfor, werde wohl scheitern.

Eine Schicksalsgemeinschaft

–   Wie die deutsche Kanzlerin am gestrigen Montag erklärte, befinde sich Europa in seiner vermutlich "schwersten Stunde seit dem Zweiten Weltkrieg". Die aktuelle Krise treffe die EU hart. Man müsse jetzt dafür kämpfen, dass der Staatenbund gestärkt aus ihr hervorgehe. Das sei unumgänglich, da es die eigene Stellung in der internationalen Konkurrenz zu sichern gelte: "Dieses Europa ist eine Schicksalsgemeinschaft in der globalen Welt." Um die EU zu stabilisieren, müsse der Euro bewahrt werden: "Der Euro ist weit mehr als eine Währung. (…) Scheitert der Euro, dann scheitert Europa." Über die aktuelle Entwicklung, die offiziell nur als Versuch beschrieben wird, die EU zu retten, die Experten jedoch als Übergang zu einem "deutschen Europa" einstufen (german-foreign-policy.com berichtete [1]), sagte Angela Merkel: "Es ist Zeit für einen Durchbruch zu einem neuen Europa."[2]

Wohlstand als Kitt

–   Beobachter aus den USA geben sich hinsichtlich der Chancen, die EU gestärkt aus der Krise zu führen, höchst skeptisch. Eine prinzipielle Einschätzung der aktuellen Lage hat in der vergangenen Woche der US-Informationsdienst Stratfor publiziert. Stratfor schreibt, die europäische Integration sei nach dem Zweiten Weltkrieg initiiert worden, um "ein System von Abhängigkeiten zu schaffen, in dem Krieg in Europa unmöglich" sei – "ein außergewöhnlich ambitioniertes Projekt, weil Krieg und Europa bisher Hand in Hand gingen".[3]

–   Durch eine besonders enge Verbindung zwischen der Bundesrepublik Deutschland und Frankreich habe man sich bemüht, die Konflikte in Europa wirksam einzudämmen; außerdem habe man darauf gesetzt, "Europas Nationalismen zu zähmen", um künftige Auseinandersetzungen nicht eskalieren zu lassen.

–   Allerdings sei die nationalstaatliche Verfasstheit Europas zu tief verwurzelt, um ohne weiteres aufgehoben werden zu können.

o    Deshalb habe man sich bemüht, unter Rückgriff auf ideelle, vor allem aber auf materielle Werte eine Art überwölbendes europäisches Bewusstsein zu schaffen: "Der Gedankengang lief darauf hinaus, dass, wenn die EU das Fundament für europäischen Wohlstand bilde, die Weiterexistenz von Nationen in Europa die EU nicht auf die Probe stellen werde" – eine, wie Stratfor urteilt, wohl zum Scheitern verurteilte Idee.

Die deutsche Exportwalze

–   Zur Verdeutlichung führt Stratfor die höchst unterschiedliche Struktur und Stärke der jeweiligen Nationalökonomien in Europa an.

o    Die kraftvolle deutsche Wirtschaft produziere viel mehr, als im Inland konsumiert werden könne; daher müsse sie zwangsläufig exportieren.

o    Eine Freihandelszone rings um die zweitgrößte Exportmacht der Welt aber müsse notwendig einen "enormen Druck" auf die schwächeren Mitgliedstaaten ausüben. "Die europäische Freihandelszone unterminierte deshalb systematisch die Fähigkeit der europäischen Peripherie, sich zu entwickeln",

o    da die starke deutsche Wirtschaft – noch forciert durch die Eurozone, die den Schutz per Währungsabwertung unmöglich machte – die schwächeren Nationalökonomien mit ihrer Exportwalze durchdrang.

o    "Zwischen 1991 und 2008", urteilt Stratfor, seien die Widersprüche "unter außerordentlichem Wohlstand begraben" worden. Die erstbeste Krise jedoch habe den Strukturfehler enthüllen müssen. Zufällig sei das die Finanzkrise des Jahres 2008 gewesen, doch auch andere Krisen hätten sich ebenso ausgewirkt.[4]

o    Dies liege daran, dass widersprüchliche nationalstaatliche Interessen aufeinanderprallten – nicht etwa an "Fehlern" der südlichen Eurostaaten.

Nicht nur uneins, sondern irrelevant

–   Die ökonomischen Widersprüche, wie sie Stratfor analysiert, werden von gravierenden außenpolitischen Differenzen zwischen den europäischen Nationalstaaten begleitet. Ende Oktober hieß es etwa in einer aktuellen Analyse der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), die Machtkämpfe zwischen Deutschland und Frankreich, die sich an Rivalitäten, aber auch an teils unterschiedlichen Expansionsstrategien entzünden, blockierten das hegemoniale Ausgreifen der EU in alle Welt (german-foreign-policy.com berichtete [5]).

–   Zuletzt hat die Abstimmung über die Aufnahme der Palästinenser in die Unesco die Widersprüche selbst zwischen den Führungsmächten Europas offengelegt.

o    "Die zwei EU-Mitglieder mit ständigem Sitz im UN-Sicherheitsrat", heißt es in einer Stellungnahme aus dem European Council on Foreign Relations (ECFR), "stimmten unterschiedlich ab (Großbritannien enthielt sich, Frankreich war dafür), während Deutschland dagegen stimmte.

o    Italien folgte Großbritannien, während Spanien mit Frankreich ging; nicht einmal die sogenannten Großen Fünf waren sich einig.

o    Auch die Mittelmeeranrainer waren es nicht." Da es zu einem klaren Votum zugunsten der Palästinenser kam, urteilte der ECFR-Experte: "Die Europäer waren nicht nur uneins, sondern sogar irrelevant."[6]

–   Das sei bei zahlreichen Fragen von größerer außenpolitischer Bedeutung zu beobachten: "Fünf blockieren hier eine Anerkennung des Kosovo, fünf blockieren dort eine Liberalisierung gegenüber Kuba" – nationale Gegensätze machten eine zur Erlangung einer Weltmachtrolle unerlässliche einheitliche Außenpolitik der EU gnadenlos zunichte.

Die politische Union[e]

Berlin nutzt die aktuelle Krise für den Versuch, die EU mit aller zusammenzuschweißen. Die Vorstöße der Bundesregierung entsprechen Forderungen, die zu Monatsbeginn der scheidende Chef der Deutschen Bank, Josef Ackermann, geäußert hat.

–   "Die weitere europäische Integration", urteilte Ackermann, sei "unsere einzige Chance, in der Welt des 21. Jahrhunderts (…) spürbaren Einfluss zu bewahren", denn die Nationalstaaten Europas, auch Deutschland, seien "gegenüber den Vereinigten Staaten oder China zu klein, um allein noch viel Einfluss zu haben". Die EU benötige, um sich aus der Krise lösen und wieder erstarken zu können, "mehr Elemente einer politischen Union[e]".

–   Zudem seien "paneuropäische Aufsichtsinstitutionen" für den Finanzsektor und Durchgriffsrechte auf die nationalen Haushalte der EU-Mitgliedstaaten nicht verzichtbar – auch wenn dies "unweigerlich mit Beschränkungen der nationalen Politik verbunden" sei.[7] Tatsächlich erlaubt es gerade die Beschränkung der nationalen Souveränität, eine bislang nicht gegebene Einheit der EU herzustellen – zunächst auf der Ebene der Staatsfinanzen, auf der Berlin seinen Hauptkonkurrenten Frankreich in den letzten Wochen niedergerungen hat. Gelänge es, darauf aufbauend auch eine "politische Union[e]" herzustellen und perspektivisch eine außenpolitische Einheit zu erzwingen, dann wäre der von der deutschen Kanzlerin beworbene "Durchbruch zu einem neuen Europa" – faktisch einem vollends deutschen Europa – da.

Nicht geeint

–   Ob dieser "Durchbruch" zustande kommt, hängt maßgeblich davon ab, ob Berlin in der Lage ist, unter Nutzung der Krise die politische Vereinheitlichung der Eurozone oder sogar der gesamten EU zu erzwingen.

 

–   Beobachter wie Stratfor sind mit Blick auf die nationalen wirtschaftlichen Interessen der EU-Mitgliedstaaten, die sich in vielen Fällen – insbesondere im Falle Deutschlands und der EU-Mitglieder der südlichen Peripherie – diametral entgegenstehen, skeptisch und schließen den Verfall der europäischen Integration nicht aus. "Weit davon entfernt, als geeinte Macht in Erscheinung zu treten", urteilt Stratfor, "wird die Frage sein, wie stark sich Europa spalten wird."[8] [molto lontano dal comparire come potenza unitaria, la domanda sarà quanto l’Europa si dividerà]

[1] s. dazu Europa auf deutsche Art (III)

[2] "Wir leben in Zeiten epochaler Veränderungen"; www.faz.net 14.11.2011

[3], [4] Europe, the International System and a Generational Shift; www.stratfor.com 08.11.2011

[5] s. dazu Auf Kollisionskurs (II)

[6] José Ignacio Torreblanca: Divided and irrelevant; ecfr.eu 09.11.2011

[7] Die EU muss sich der Verfassungsdebatte stellen; www.faz.net 04.11.2011

[8] Europe, the International System and a Generational Shift; www.stratfor.com 08.11.2011

Copyright © 2005 Informationen zur Deutschen Außenpolitik

 
info@german-foreign-policy.com
————
Gfp      111114

Europa auf deutsche Art (III)

14.11.2011
BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Unter heftigem deutschem Druck transformiert sich die EU im Kampf gegen die Euro-Krise in eine Zwei-Klassen-Union[e]. Wie Berliner Außenpolitik-Experten urteilen, ist die Union[e] dabei, die Eurozone systematisch in ein "Kerneuropa" umzuwandeln,

o    das für das gesamte Staatenbündnis äußerst wichtige Entscheidungen ohne jede Mitwirkung der Nicht-Euroländer fällt.

o    Über dieses "Kerneuropa" heißt es, es sei ein zutiefst "deutsches Europa" – auch weil es durch die harte Austeritätspolitik Berlins geprägt sei.

o    Zuletzt habe sich Frankreich dem Diktat Deutschlands in Sachen Sparpolitik beugen müssen.

–   Allerdings sei die Zwei-Klassen-Union[e] erheblichen Risiken ausgesetzt, die auf die eine oder andere Art überwunden werden müssten. Ein ehemaliger deutscher Außenminister schlägt die Gründung der "Vereinigten Staaten von Europa" vor. Experten schließen jedoch auch einen Verfall der EU ("Desintegration") nicht mehr aus.

–   Im Ausland wird insbesondere der offen antidemokratische Charakter der von Berlin forcierten Politik kritisiert, die unter anderem darauf setzt, die gegen heftigen Widerstand durchgesetzte deutsche Austeritätspolitik als Sachzwang darzustellen und sie mit Hilfe sogenannter Expertenkabinette auch gegen entschlossene Proteste in den südlichen Eurostaaten zu exekutieren. Das habe, heißt es etwa in der britischen Presse, mit Demokratie nichts mehr zu tun.

Euro-Zentrum und Abhängige

–   Strukturell befindet sich die EU seit dem Krisengipfel von Ende Oktober auf dem Weg in eine Zwei-Klassen-Union[e], wie sie deutsche Politiker, unter ihnen der heutige Finanzminister Wolfgang Schäuble (CDU), bereits Mitte der 1990er Jahre unter dem Schlagwort "Kerneuropa" in den Blick genommen hatten. "Die Richtung" sei "seit Ende Oktober klar", heißt es exemplarisch in einem vor wenigen Tagen veröffentlichten Papier der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP): "Die (noch) 17 Euro-Länder schließen sich enger zusammen, verstärken ihre eigenen Institutionen und Verfahren und grenzen sich dabei deutlicher als bisher von den Nicht-Euro-Ländern ab."[1]

–   Ab sofort werde ein sogenannter Euro-Gipfel etabliert, der zweimal jährlich tagen und Entscheidungen in allen wichtigen finanz- und wirtschaftspolitischen Fragen treffen werde.

–   Der Euro-Gipfel müsse künftig "dafür Sorge tragen, dass die Nicht-Euro-Länder über die Diskussionen und Beschlüsse (…) informiert werden", heißt es bei der DGAP.

–   Zu den Nicht-Euro-Ländern, die über maßgebliche, ihr souveränes Handeln in erheblichem Maße betreffende Entscheidungen jetzt nur noch "informiert" werden sollen, gehören zur Zeit zehn EU-Staaten, darunter mit Großbritannien eine der stärksten Mächte Europas.

Ein deutsches Europa

Vorteile und Nachteile des "Kerneuropa"-Modells werden von der politischen Spitze wie auch von den Think-Tanks sorgsam abgewogen. Dass es sich bei dem im Entstehen begriffenen Kern faktisch um ein "deutsches Europa" handelt, wird in der Bundesrepublik wie auch im Ausland ohne jegliche Illusion festgehalten.

Das eurozonenweit oktroyierte Austeritätsmodell, das jetzt auch in Frankreich übernommen werde, lasse daran keinen Zweifel, urteilt eine deutsche Außenpolitik-Expertin.[2]

Die britische Presse erinnert sich, dass in den Jahren um 1990 ein "europäisches Deutschland" in aller Munde gewesen sei [3], während man heute in Berlin scherze, dieses "europäische Deutschland" sei keineswegs in Vergessenheit geraten – es befinde sich jedoch mitten in einem "deutschen Europa".

Allerdings berge die faktische Unterwerfung von Ländern außerhalb des Euro-Kerns, zum Beispiel Großbritanniens, unter deutsch-französische bzw. deutsche Diktate "politische Sprengkraft", räumt die DGAP ein: "Seit Wochen schon gucken die Nicht-Euro-Länder in die Röhre, während unter deutsch-französischer Führung die Europäische Union[e] umgebaut wird".[4]

Es gilt als ungewiss, ob etwa London sich auf Dauer mit einer offenen Beschränkung seiner Handlungsfreiheit durch Berlin und Paris zufriedengibt.

Zusätzlich weist EU-Kommissionspräsident José Manuel Barroso auf weitere Risiken hin. Ein reiches "Kerneuropa" könne auf Dauer nur schwerlich mit einem in Armut versinkenden Süden verbunden bleiben, ohne gravierende Verwerfungen hervorzurufen: "Eine gespaltene Union[e] würde nicht funktionieren".[5]

Vereinigte Staaten von Europa

–   Angesichts der absehbaren Schwierigkeiten werden in Berlin die Rufe nach einem immer engeren politischen Zusammenschluss der Eurozone lauter, der zumindest "Kerneuropa" stabilisieren soll. Eine Fiskalunion, wie Berlin sie verlangt, "kann nicht nur mit härterer Fiskalüberwachung geführt werden" [6], heißt es im deutschen Büro des European Council on Foreign Relations: "Das System braucht Peitsche, aber auch Zuckerbrot."

–   Vorteilhaft sei es, wenn die Diktate nicht unmittelbar von der Bundesrepublik, sondern von einer "Euroland"-Regierung oktroyiert würden, eventuell mit der Legitimation eines Eurozonen-Parlaments versehen. Unlängst hat der frühere Außenminister Josef Fischer gefordert, gar die Gründung eines neuen Staates einzuleiten: Die "Vereinigten Staaten von Europa" müssten ins Leben gerufen werden.[7] Für den Fall, dass kein engerer Zusammenschluss zustande komme, sei mit einer folgenreichen "Disintegration" zu rechnen, heißt es beim European Council on Foreign Relations. Eine derartige Desintegration entwickele "ihre eigene Logik": "Sie geschieht oft schneller, als man denkt. Sobald sie beginnt, kann sie kaum noch gestoppt werden", heißt es mit Hinweis auf den Verfall der Sowjetunion. Es sei "höchste Zeit", entgegenzusteuern: "Wenn nicht, dann könnte Europa den Weg von Weimar gehen".[8]

Experten

–   Während Berlin die Transformation der EU mit Macht vorantreibt, nimmt die Zahl der sogenannten Expertenkabinette, die in der Eurozone regieren, zu. Offiziell heißt es, Wirtschaftsfachleute sorgten nun dafür, dass die Staatshaushalte zunächst Griechenlands und Italiens geordnet würden. Sie seien dazu in der Lage, weil sie sich keiner demokratischen Wahl stellen müssten und daher auch brutale Sparmaßnahmen ohne Rücksicht auf Widerstände durchpeitschen könnten.

–   Tatsächlich jedoch sind die Sparmaßnahmen nicht Resultat vermeintlichen ökonomischen Zwangs, sondern das Mittel einer harten neoliberalen Politik, wie sie Berlin verficht – und im Verlauf der Krise auf EU-Ebene gegen Frankreich durchgesetzt hat, das bis vor kurzem alternative, weniger exzessiv auf Sozialkürzungen setzende Programme verfolgte.

–   Der deutschen Sparpolitik verhelfen nun unter dem Deckmantel des "Experten" in Griechenland Lucas Papademos und in Italien Mario Monti zum Durchbruch.

–   Beide sind in der deutschen Hauptstadt gern gesehen.

–   Papademos hat als Vizepräsident der Europäischen Zentralbank (2002 bis 2010) nachgewiesen, dass er den finanzpolitischen Vorstellungen Berlins in höchstem Maße entspricht; über Monti wird in den deutschen Medien augenzwinkernd berichtet, er habe sich noch vor wenigen Tagen in der deutschen Hauptstadt aufgehalten und dort mit Politikern und Finanzexperten konferiert, bevor er zu seiner Inthronisierung als Ministerpräsident nach Rom zurückgereist sei.

–   Exemplarisch heißt es über ihn in einer deutschen Tageszeitung: "Kritische Worte gegenüber Europa (…) sind von Monti nicht zu erwarten." Er werde hingegen "alles tun, um den Verbleib Italiens in der Eurozone zu sichern – mehr wird von ihm auch nicht verlangt".[9]

Eine nicht gewählte Clique

–   Eine deutliche Einschätzung des sich unter deutschem Druck herausbildenden Europa hat bereits in der vergangenen Woche eine britische Tageszeitung veröffentlicht. Darin hieß es mit Bezug auf die "Frankfurt-Gruppe", ein informelles, von der Bundesregierung angeführtes Treffen, das im Oktober in Frankfurt am Main den Euro-Krisengipfel vorbereitete und auch während des Brüsseler Gipfels – die regulären Sitzungen immer wieder unterbrechend – zusammenkam, um die Entscheidungen in kleiner Runde abzustimmen:

–   "Die tatsächlichen Entscheidungen in Europa werden nun durch die Frankfurt-Gruppe getroffen, eine nicht gewählte Clique von bis zu acht Personen".

–   Ihr gehören neben Merkel und Sarkozy die IWF-Chefin, der EZB-Präsident, der Präsident der EU-Kommisson, der Vorsitzende der Eurogruppe, der Präsident des Europäischen Rats und der EU-Wirtschafts- und Währungskommissar an.

–   "Diese Gruppe, die niemandem verantwortlich ist, hat in Europa das Sagen", hält der "Guardian" fest. "Diese Clique entscheidet, ob man Griechenland erlauben soll, ein Referendum abzuhalten, und ob und wann Athen die nächste Tranche der Bailout-Mittel bekommt".

–   Die wachsende Entfernung von demokratischen Grundsätzen müsse selbst dann Besorgnis wecken, "wenn man zeigen könnte, dass die ökonomischen Heilmittel der Frankfurt-Gruppe wirken, was sie nicht tun."[10] Der "Guardian" resümiert: "Es ist, als wenn die demokratische Uhr bis zu den Tagen zurückgedreht worden wäre, als Frankreich von den Bourbonen beherrscht wurde."

Weitere Berichte und Hintergrundinformationen zur Euro-Krise und zur fortlaufenden Entdemokratisierung in der EU finden Sie hier: Die deutsche Transferunion, Die Germanisierung Europas, Teilsieg für Deutsch-Europa, Aus der Krise in die Krise, Steil abwärts, Alles muss raus!, Im Mittelpunkt der Proteste, Der Wert des Euro, Die Widersprüche der Krise, Der Krisenprofiteur, In der Gefahrenzone, Erkenntnisse einer neuen Zeit, Souveräne Rechte: Null und nichtig, Die Folgen des Spardiktats, Auf Kollisionskurs, Europa auf deutsche Art (I), Europa auf deutsche Art (II) und Ausgehöhlte Demokratie.

[1] Almut Möller: Kommt jetzt Kerneuropa? In Brüssel wurden die Weichen für eine neue Europäische Union[e] gestellt; DGAPstandpunkt No. 11, November 2011

[2] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011

[3] Bailout to breakup; The Guardian 10.11.2011

[4] Almut Möller: Kommt jetzt Kerneuropa? In Brüssel wurden die Weichen für eine neue Europäische Union[e] gestellt; DGAPstandpunkt No. 11, November 2011

[5] Barroso will Euro-Zone auf alle EU-Mitglieder ausdehnen; www.handelsblatt.com 10.11.2011

[6] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011

[7] Es wird einsam und kalt um Europa; www.sueddeutsche.de 01.11.2011

[8] Ulrike Guérot: Germany in Europe: the politics of disintegration; ecfr.eu 10.11.2011

[9] Mario Monti; www.welt.de 12.11.2011

[10] Larry Elliott: This is no democracy – Europe is being run by a cabal; The Guardian 09.11.2011

Copyright © 2005 Informationen zur Deutschen Außenpolitik

info@german-foreign-policy.com
—————
Strafor 111108

Published on STRATFOR (http://www.stratfor.com)

Europe, the International System and a Generational Shift

Created Nov 8 2011 – 06:49
Re-Examining the Arab Spring

By George Friedman

–   Change in the international system comes in large and small doses, but fundamental patterns generally stay consistent.

–   From 1500 to 1991, for example, European global hegemony constituted the world’s operating principle. Within this overarching framework, however, the international system regularly reshuffles the deck in demoting and promoting powers, fragmenting some and empowering others, and so on. Sometimes this happens because of war, and sometimes because of economic and political forces. While the basic structure of the world stays intact, the precise way it works changes.

–   The fundamental patterns of European domination held for 500 years. That epoch of history ended in 1991, when the Soviet Union[e] — the last of the great European empires — collapsed with global consequences.

–   In China, Tiananmen Square defined China for a generation. China would continue its process of economic development, but the Chinese Communist Party would remain the dominant force.

–   Japan experienced an economic crisis that ended its period of rapid growth and made the world’s second-largest economy far less dynamic than before.

–   And in 1993, the Maastricht Treaty came into force, creating the contemporary European Union[e] and holding open the possibility of a so-called United States of Europe that could counterbalance the United States of America.

The Post-European Age

–   All these developments happened in the unstable period after the European Age and before … well, something else. What specifically, we’re not quite sure. For the past 20 years, the world has been reshaping itself. Since 1991, then, the countries of the world have been feeling out the edges of the new system. The past two decades have been an interregnum of sorts, a period of evolution from the rule of the old to the rule of the new.

–   Four things had to happen before the new era could truly begin.

o    First, the Americans had to learn the difference between extreme power (which they had and still have) and omnipotence (which they do not have). The wars in the Islamic world have more than amply driven this distinction home.

o    Second, Russian power needed to rebound from its post-Soviet low to something more representative of Russia’s strength. That occurred in August 2008 with the Russo-Georgian war, which re-established Moscow as the core of the broader region.

o    Third, China — which has linked its economic, political and military future to a global system it does not control — had to face a readjustment. This has yet to happen, but likely will be triggered by

o    the fourth event: Europe’s institutions — which were created to function under the rules of the previous epoch — must be rationalized with a world in which the Americans no longer are suppressing European nationalism.

–   With the benefit of hindsight, we know that the 2008 financial crisis initiated the last two events. The first result of the financial crisis was the deep penetration of the state into those financial markets not already under state influence or control. The bailouts, particularly in the United States, created a situation in which decisions by political leaders and central banks had markedly more significance to the financial status of the country than the operation of the market. This was not unprecedented in the United States; the municipal bond crisis of the 1970s, the Third World debt crisis and the savings and loan crisis had similar consequences. The financial crisis, and the resultant economic crisis, hurt the United States, but its regime remained intact even while uneasiness about the elite grew.

–   But the financial crisis had its greatest impact in Europe, where it is triggering a generational shift. Since 1991, the idea of an integrated Europe has been a driving force of the global economy. As mentioned, it also has been presented as an implicit alternative to the United States as the global center of gravity.

–   Collectively, Europe’s economy was slightly larger than the U.S. economy. If mobilized, that inherent power made Europe a match for the United States. In the foreign policy arena, the Europeans prided themselves on a different approach to international affairs than the Americans used. This was based on a concept known as “soft power” — which relied on political and economic, as opposed to military, tools — an analog to the manner in which it saw itself managing the European Union[e]. And Europe was a major consumer of goods, particularly Chinese goods. (It imported more of the latter than the United States did.) Taken together, Europe’s strengths and successes would allow it to redefine the international system — and the assumption for the past generation was that it was successful.

–   In the context of the ongoing European financial crisis, the issue is not simply whether the euro survives or whether Brussels regulators oversee aspects of the Italian economy. The fundamental issue is whether the core concepts of the European Union[e] remain intact. It is obvious that the European Union[e] that existed in 2007 is not the one that exists today. Its formal structure appears the same, but it does not function the same.

–   The issues confronting it are radically different. Moreover, relations among the EU nations have a completely different dynamic. The question of what the European Union[e] might become has been replaced by the question of whether it can survive. Some think of this as a temporary aberration. We see it as a permanent change in Europe, one with global consequences.

–   The European Union[e] emerged with the goal of creating a system of interdependency in which war in Europe was impossible. Given European history, this was an extraordinarily ambitious project, as war and Europe have gone hand in hand. The idea was that with Germany intimately linked to France, the possibility of significant European conflict could be managed. Underpinning this idea was the concept that the problem of Europe was the problem of nationalism. Unless Europe’s nationalisms were tamed, war would break out. The Yugoslav wars after the collapse of Communism comprised the sum of Europe’s fears. But there could be no question of simply abolishing nationalism in Europe.

–   National identity was as deeply embedded in Europe as elsewhere, and historical differences were compounded by historical resentments, particularly those aimed toward Germany.

–   The real solution to European wars was the creation of a European nation, but that was simply impossible. The European Union[e] tried to solve the problem by retaining both national identity and national regimes. Simultaneously, a broader European identity was conceived based on a set of principles, and above all, on the idea of a single European economy binding together disparate nations. The reasoning was that if the European Union[e] provided the foundation for European prosperity, then the continued existence of nations in Europe would not challenge the European Union[e]. Perhaps, over time, this would see a decline of particular nationalisms in favor of a European identity. This assumed that prosperity would cause national identity and tensions to subside. If that were true, then it would work. But there is more to Europe politically speaking than an enhanced trading area, and the economics of Europe are hardly homogeneous.

Germany and the Periphery

–   The German economy was designed to be export-based. Its industrial plant outstrips domestic consumption; it must therefore export to prosper. A free trade zone built around the world’s second-largest exporter by definition will create tremendous pressures on emerging economies seeking to grow through their own exports. The European free trade zone thus systematically undermined the ability of the European periphery to develop because of the presence of an export-dependent economy that both penetrated linked economies and prevented their development.

–   Between 1991 and 2008, all of this was buried under extraordinary prosperity. The first crisis revealed the underlying fault line, however. The U.S. subprime crisis happened to trigger it, but any financial crisis would have revealed the fault line. It was not a crisis about the euro, nor was it even a crisis about economics. It was actually a crisis about nationalism.

–   Europe’s elites had crafted and committed themselves to the idea of a European Union. The elite of Europe, deeply tied to a European financial system as a principle, were Europeanists in their soul. When the crisis came, their core belief was that the crisis was a technical matter that the elite could handle within the EU framework. Deals were made, structures were imagined and tranches were measured. Yet the crisis did not go away.

–   The German-Greek interplay was not the essence of the problem but the poster child. For the Germans, the Greeks were irresponsible profligates. For the Greeks, the Germans had used the EU free trade and monetary system to tilt the European economy in their favor, garnering huge gains in the previous generation and doing everything possible to hold on to them in a time of trouble. For the Germans, the Greeks created a sovereign debt crisis. For the Greeks, the sovereign debt crisis was the result of German-dictated trade and monetary rules. The Germans were bitter that they would have to bail out the Greeks. The Greeks were bitter that they would have to suffer austerity. From the German point of view, the Greeks lied when they borrowed money. From the Greek point of view, if they lied it was with the conscious collaboration of German and other bankers who made money from making loans regardless of whether they were repaid.

–   The endless litany is not the point. The point is that these are two sovereign nations with fundamentally different interests. The elites in both nations are trying to create a solution within the confines of the current system. Both nations’ publics are dubious about bearing the burden. The Germans have little patience for paying Greek debts. The Greeks have little interest in shouldering austerity to satisfy German voters. On one level, there is collaboration under way — problem solving. On another level, there is distrust of the elites’ attempts to solve problems and suspicion that it will be the elites’ problems and not their own that will be addressed.

–   But the problem is bigger than Greco-German disputes. This system was created in a world in which European politics had been declared in abeyance. Germany was occupied. The Americans provided security and inter-European fighting was not allowed. Now, the Americans are gone, the Germans are back and European international politics are bubbling up to the surface.

–   In short, the European project is failing at precisely the point that it had been attempting to solve — nationalism. The ability of leaders to make deals depends on authority that is slipping away. The public has not yet clearly defined the alternatives, but that process is under way. It is similar to what is happening in the United States with one definitive exception: In the United States, the tension between mass and elite does not threaten to disintegrate the republic. In Europe, it does.

Europe will spend the next generation sorting through this. Whether it can do so remains to be seen — though I doubt it. We know the tensions between nations and between elites and the public will redefine how Europe works. Even if things do not get any worse, the situation already has been transformed beyond what anyone would have imagined in 2007. Far from emerging as a unified force, the question will be how divided Europe will become.

Source URL: http://www.stratfor.com/weekly/20111107-europe-international-system-and-generational-shift

Links:

[1] http://www.stratfor.com/weekly/friedman_on_geopolitics

[2] http://www.stratfor.com/analysis/20091014_eu_and_lisbon_treaty_part_1_history_behind_bloc

[3] http://www.stratfor.com/weekly/real_world_order

[4] http://www.stratfor.com/analysis/20100910_looking_2012_china_next_generation_leaders

[5] http://www.stratfor.com/weekly/20100503_global_crisis_legitimacy

[6] http://www.stratfor.com/analysis/20090506_recession_and_european_union[e]

[7] http://www.stratfor.com/weekly/20110912-crisis-europe-and-european-nationalism

[8] javascript:launchPlayer(‘d083m95v’, ‘http://www.youtube.com/watch?v=kBQqvE4obus’, 680, 383)

[9] javascript:launchPlayer(‘m5qk6t37’, ‘http://www.youtube.com/watch?v=r5c5dYaSTEQ’, 680, 383)

[10] http://www.stratfor.com/geopolitical_diary/20100422_making_greek_tragedy

[11] http://www.stratfor.com/analysis/20100915_german_economic_growth_and_european_discontent

 

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.