Elezioni in Venezuela: né i Maduro, né gli anti-Maduro. Per l’organizzazione indipendente dei lavoratori!

Le elezioni in Venezuela sono state seguite da diffuse proteste per brogli e da una sistematica repressione da parte del governo contro gli oppositori – oppositori per i quali, ovviamente, mai ha battuto il nostro cuore, sapendoli, come sono, la longa manus dell’imperialismo gringo ansioso di riprendere il pieno controllo del paese dopo un ventennio e più di chavismo e post-chavismo. Si è arrivati a queste elezioni in un clima caotico, che i risultati elettorali non hanno fatto che accrescere.

Nell’ultimo decennio, molto per effetto delle sanzioni statunitensi, ma non solo per queste, la crisi del Venezuela, che ha le più grandi riserve petrolifere del mondo, si è approfondita in modo così catastrofico da spingere diversi milioni di persone a “votare coi piedi”, emigrando in qualsiasi altro paese per sfuggire alla fame, mentre la cricca al potere si arricchiva speculando sui cambi e su tutto il resto.

Solo l’idiozia dei campisti, secondo i quali tutto quel che si dice antiamericano è di per sé progressista, può continuare a presentare questo regime parassitario e anti-operaio come il “socialismo del XXI secolo”, o qualcosa del genere.

Sulle elezioni venezuelane riportiamo questa presa di posizione del Partido Obrero, di cui condividiamo il giudizio di fondo sulla situazione del paese, la denuncia di entrambi i fronti politico-elettorali borghesi e reazionari, ed il richiamo alla necessità di dare vita ad un’organizzazione indipendente dei lavoratori (riteniamo ininfluente, a questo fine, la differente visione su Russia e Cina, che per questi compagni sarebbero in una sorta di eterna, e mai definitiva, transizione al capitalismo).

Il Partido Obrero di fronte alla situazione in Venezuela

Partido Obrero – Comitato Esecutivo Nazionale

Da Prensa Obrera, 31/7/24

Le accuse di brogli, gli scontri di piazza, la repressione e l’omicidio di 14 persone finora dimostrano che le elezioni di domenica scorsa sono servite ad aggravare considerevolmente la difficilissima crisi che già attraversava il Venezuela. A ben vedere, era l’unico risultato atteso se si tiene conto che le elezioni sono state il prodotto di un patto tra i blocchi politici responsabili di portare il paese fratello sull’orlo della crisi umanitaria e dello spargimento di sangue. Ci riferiamo allo stesso governo della cricca di Maduro, all’opposizione di destra raggruppata nella Mesa de Unidad Democratica (MUD) e al governo nordamericano. Le elezioni si sono svolte in un contesto di crisi, in cui la cricca di Maduro ha accettato con riluttanza di avanzare in un processo elettorale truccato al quale hanno partecipato l’opposizione oligarchica e di destra, mentre l’imperialismo nordamericano ha allentato le durissime sanzioni contro il Venezuela, consentendo ai monopoli yankee e alle compagnie petrolifere europee di fare massicci investimenti nel bacino dell’Orinoco. Il cambiamento di atteggiamento degli Stati Uniti non ha avuto a che fare con una difesa astratta della democrazia, ma è stato imposto dalle circostanze successive allo scoppio della guerra imperialista in Ucraina, che ha colpito l’approvvigionamento energetico a livello mondiale. Pertanto, il patto degli Stati Uniti con Maduro è andato contro il suo alleato Putin, e nel frattempo ha permesso ai monopoli yankee guidati da Chevron di appropriarsi delle enormi riserve di petrolio venezuelano.

Insieme alle elezioni si stava tessendo un patto più ampio, che comprendeva la forma che avrebbe avuto una transizione in Venezuela in caso di trionfo dell’opposizione, e che già comprendeva garanzie e salvacondotto per la cricca di Maduro e delle Forze Armate. A questi negoziati hanno partecipato diversi stati stranieri, tra cui insieme agli Stati Uniti e all’Unione Europea, Brasile, Colombia e Qatar. Coloro che presentano le elezioni di domenica come una soluzione democratica trascurano il fatto che i negoziati e gli accordi sono stati stipulati voltando le spalle al popolo venezuelano affamato, che non ha avuto nulla di nulla da tutto questo processo. La cricca di Maduro ha approfittato del patto ritenendo che la revoca delle sanzioni non solo permettesse di guadagnare valuta estera, ma soprattutto di rafforzare i legami e ottenere consensi tra i grandi monopoli petroliferi, presentandosi come una variante più sicura rispetto all’eterogenea opposizione della MUD. In questa considerazione, Maduro ha capito che per preservare ed espandere le loro attività questi monopoli, insieme ai governi che li sostengono, avrebbero accettato una frode che lo avrebbe mantenuto al potere. Dalla parte dell’imperialismo yankee, l’accordo ha permesso di avanzare nella penetrazione economica in Venezuela, detentore delle più importanti riserve petrolifere del mondo, contendendo quel bottino al blocco rivale mondiale di Russia, Cina e Iran. Così il Venezuela e il suo popolo affamato e impoverito sono vittime di una disputa internazionale tra le grandi potenze.

La disputa sui risultati elettorali dimostra che questi patti politici sono entrati, almeno per ora, in crisi. La proclamazione di Maduro come vincitore delle elezioni è tanto poco credibile quanto la diffusione delle percentuali rivendicate dall’opposizione di destra. Al momento nessuna delle due squadre ha presentato tutti i dati per accreditare realmente il risultato. Maduro insisterà nel proclamarsi vincitore e cercherà di smascherare la debolezza dell’opposizione, offrendo maggiore governabilità ai monopoli petroliferi. L’opposizione di destra deve ricorrere alle mobilitazioni, poiché teme che le potenze straniere e le loro aziende finiscano per accettare Maduro e gli affari che la sua cricca offre loro. Ancora una volta, il popolo venezuelano sarà utilizzato secondo gli stessi interessi che hanno portato a una crisi umanitaria e a un’emigrazione forzata che conta milioni di persone.

La cricca decomposta di Maduro, intrecciata con le Forze Armate in affari milionari, pretende di rappresentare la difesa della sovranità nazionale e persino di incarnare un progetto socialista. Si tratta di un’assurdità di proporzioni cosmiche, la cui funzione è ingannare il popolo e bloccarne l’azione politica indipendente. In Argentina abbiamo visto un’esperienza simile quando negli anni ’70 Perón parlò di “patria socialista” per finire con la creazione della Tripla A che uccise più di 1.000 lavoratori e combattenti popolari. Nel caso venezuelano, l’invocazione al socialismo è stata lo schermo per arricchire una borghesia nazionale (la cosiddetta “boliburguesía”) legata alla cricca dominante, alle Forze Armate e a settori del capitale internazionale. Anche in Venezuela ci sono bande armate di paramilitari incappucciate che vagano per le strade di Caracas, attaccano e intimidiscono la popolazione, a cui si unisce l’azione delle forze di sicurezza che hanno già ucciso 14 manifestanti e fatto più di 750 detenuti. I brogli montati nelle elezioni servono a perpetuare questa politica che ha gettato il Venezuela in una crisi umanitaria. La sinistra venezuelana e latinoamericana che sostiene il governo Maduro in nome del discorso chavista tradisce il proprio seguito alle borghesie nazionali dei rispettivi paesi. Quando invocano il socialismo, omettono completamente che il sostegno di Russia e Cina a Maduro non è altro che il sostegno di due regimi che si caratterizzano per il loro assoluto antagonismo con il socialismo, poiché sono il veicolo diretto per la restaurazione del capitale e la liquidazione delle rivoluzioni operaie. In un piano di ritirata, questa sinistra chiede di difendere almeno Maduro in modo che la destra continentale non avanzi quando in realtà non c’è maggior favore per questa destra reazionaria che l’allineamento da parte della sinistra a un regime repressivo come quello di Maduro.

L’opposizione venezuelana della MUD riunisce la destra oligarchica e filo-imperialista che tenta colpi di stato senza successo almeno dal 2002 ad oggi. La sua figura principale, María Corina Machado, arrivò al punto di chiedere agli Stati Uniti l’invasione militare del Venezuela. Sebbene il suo discorso contenga molti riferimenti alla difesa delle elezioni democratiche, si intravvede la sua difesa delle sanzioni economiche che il Dipartimento di Stato ha applicato al Venezuela e persino del furto delle riserve auree compiuto dal Regno Unito. Inutile dire che queste misure costituiscono un’aggressione contro il proprio Paese e condizionano il processo politico, economico e sociale, creando uno scenario contrario alle elezioni democratiche. Sfortunatamente, una parte della sinistra che seguì il chavismo nei suoi primi anni iniziò poi a sostenere questa destra reazionaria in nome della democrazia. Questo tipo di sinistra ha così rivelato la sua completa mancanza di indipendenza politica, oscillando tra le varianti capitaliste.

Il governo di Javier Milei ha lanciato una campagna demagogica contro il Venezuela, presentandosi come difensore della libertà e dei diritti umani, mentre in Argentina appoggia i genocidari della dittatura e applica misure repressive contro l’opposizione politica e le lotte popolari. Egli incolpa il “socialismo” per la miseria in cui è precipitato il popolo venezuelano quando in realtà questa situazione disperata è stata creata sia dalle sanzioni internazionali che dalla politica predatoria capitalista della cricca di Maduro. Oggi la “dollarizzazione endogena” che Milei e Caputo sostengono per l’Argentina è stata applicata dal regime venezuelano, eliminando di fatto la moneta nazionale e aggravando all’infinito le condizioni di vita della popolazione.

La via d’uscita dalla crisi del Venezuela non verrà dalle forze che l’hanno generata. L’imperialismo nordamericano e l’OAS accelereranno la loro interferenza sia per realizzare un colpo di stato insieme all’opposizione oligarchica sia per sottomettere ulteriormente Maduro e il suo regime nella fornitura di risorse energetiche, cruciali per la guerra internazionale in corso. L’intervento dei paesi della regione, soprattutto Brasile e Colombia, oscillerà tra gli accordi con gli Stati Uniti e il blocco Cina-Russia con cui condividono i Brics e notevoli interessi economici. La chiave quindi è difendere un’uscita autonoma dei lavoratori, in opposizione a tutte le varianti del regime. Il punto di partenza è respingere la repressione e la frode, le manovre di colpo di stato e autogolpe di stato e tutti i tipi di sanzioni economiche e di ingerenza imperialista. La difesa della questione nazionale, cruciale per il Venezuela, non implica la difesa del governo Maduro, ma piuttosto l’attuazione di un vero piano economico nelle mani di un governo operaio che utilizzi le risorse energetiche come leva per l’industrializzazione del Paese.

La parola d’ordine del momento è l’organizzazione indipendente dei lavoratori.