In Ecuador, il 3 ottobre migliaia di persone si sono mobilitate contro le nuova misure di austerità annunciate il 1° ottobre dal presidente Lenin Moreno a seguito degli accordi con il Fondo monetario internazionale (FMI) in cambio di un prestito da 4,2 miliardi di dollari. Il prestito è stato contratto sostanzialmente per coprire il condono, attuato dal governo nel 2018, di 4,5 miliardi di $ del credito che lo Stato aveva con banche e imprenditori, la classica trasformazione del debito privato in debito pubblico.
Le proteste hanno visto il blocco delle principali arterie stradali, mobilitazioni e blocchi nelle maggiori città, paralizzate quasi tutte le attività amministrative ed economiche.
Quello in corso è il terzo movimento di sciopero dall’entrata in carica di Moreno, un segnale del malcontento popolare contro le sue politiche: in un contesto di disoccupazione e di insicurezza generale, il varo di riforme neoliberiste, cui si aggiunge il recente respingimento della legalizzazione dell’aborto in casi di stupro; le concessioni all’FMI, l’accordo militare con gli Stati Uniti (con la cancellazione dell’asilo per Julian Assange), il sostegno all’opposizione venezuelana di estrema destra.
Lo stato di emergenza decretato da Moreno è servito forse da modello per il suo compare cileno. Ma anche in Ecuador, la popolazione ha continuato la mobilitazione nonostante l’emergenza e la pesante repressione poliziesca con gas lacrimogeni e manganelli, anche contro la marcia degli studenti verso Plaza Grande nella capitale Quito.
Nel pacchetto neoliberista di Moreno (“Paquetazo Neoliberal” come è stato chiamato dai movimenti il decreto 883 attuativo della lettera di intenti con il FMI) è compresa l’eliminazione dei i sussidi su petrolio e diesel (in atto da quattro decenni), misura che ha fatto immediatamente aumentare del 123% del prezzo del carburante; il licenziamento di 10mila dipendenti del Pubblico Impiego, la destinazione di un mese di stipendio al risanamento del debito e misure di agevolazione per importazioni di macchinari per l’industria e il settore agricolo; una riforma fiscale e una riforma del lavoro, che elimina alcuni diritti conquistati con fatica dai lavoratori. Tra le misure anti-operaie il dimezzamento delle ferie per i lavoratori del pubblico e il taglio del 20% dei salari per i contratti di lavoro temporaneo rinnovati nel pubblico impiego, privatizzazione del sistema pensionistico. L’FMI ha anche chiesto all’amministrazione Moreno l’incremento delle partecipazioni private alle imprese statali. La manovra di austerità economica di Moreno serve a riversare il costo del debito estero sugli strati popolari più poveri.
Le misure di liberalizzazione intensificate in Ecuador negli ultimi anni, hanno portato a un aumento esponenziale del tasso di povertà, passato dal 35,3% di fine 2014 al 43,8% del giugno 2019, pari a 7,6 milioni su 17,3 milioni di abitanti. A questo si aggiungono 123 000 sottoccupati e quasi 400 mila disoccupati in più.
I movimenti sociali, i sindacati, le organizzazioni contadine, le comunità di pescatori, le organizzazioni di quartiere, gli studenti e organizzazioni politiche hanno chiamato a mobilitazioni di massa e blocchi in tutto il paese per il 3 ottobre.
Il 7 ottobre, contro le riforme neoliberiste del governo Moreno organizzazioni di indigeni assieme a sindacati, movimenti sociali e organizzazioni contadine hanno marciato verso la sede del governo a Quito, che è stato isolata con un pesante dispiegamento di personale militare, filo spinato, barricate e carri armati. Le manifestazioni sono state pesantemente represse dalla polizia e dai militari con l’uso di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e persino proiettili veri. Si contano 8 morti, 1.340 feriti e 1.152 persone arrestate. Il collettivo di comunicazione, Nuestroamericano, ha pubblicato oggi un video che mostra dei poliziotti che lanciano tre ragazzi da un ponte.
La discesa in campo del movimento indigeno (30mila) ha radicalizzato la rivolta nelle periferie dell’Ecuador, e la protesta per la prima volta ha toccato Guayaquil, storico bastione della destra bianca e delle élite economiche e commerciali del paese.
Il 6 ottobre la comunità indigena della città di La Esperanza, provincia di Imbabura, è stata attaccata da militari e polizia nazionali. I militari hanno fatto irruzione nelle case, minacciato gli abitanti e arrestato sette persone. La repressione statale è stata condannata dalla Confederazione dei cittadini indigeni dell’Ecuador (CONAIE), una delle più grandi organizzazioni sociali del paese.[i]
In risposta allo stato di emergenza annunciato da Moreno, alla brutale repressione e al non ascolto delle rivendicazioni sociali, CONAIE ha comunicato “lo stato di eccezione” nei territori indigeni, con l’applicazione del sistema giudiziario indigeno ai “funzionari militari e di polizia che si avvicinano ai territori indigeni” per reprimere la loro protesta.[ii] Gli indios che hanno marciato su Quito, e che combattono contro l’estrattivismo e le concessioni petrolifere nei loro territori, portavano cartelli con la scritta “Né Moreno né Correa, facciamo da soli” e, insieme a studenti e lavoratori urbani, si sono scontrati per giorni con polizia ed esercito.
È stato indetto un altro sciopero nazionale per il 9 ottobre da CONAIE, studenti, contadini, organizzazioni politiche e Frente Unitario de Trabajadores (FUT) contro la brutale repressione poliziesca e le misure economiche di Moreno. Sui loro striscioni, gli indigeni di Conaie e gli operai di FUT alla parola d’ordine «el pueblo unido jamás será vencido» hanno aggiunto «que se vayan todos», contro i politici puntelli di una democrazia borghese con la quale li ingannano ogni quattro o cinque anni.
Il dodicesimo giorno di proteste, Moreno ha dichiarato di sospendere il decreto 883 attuativo della lettera di intenti con l’FMI e ha istituito una commissione di dialogo con Conaie, ma all’ordine del giorno della negoziazione c’è solo l’aumento del prezzo dei carburanti, non le altre misure che colpiscono l’occupazione, mentre vengono criminalizzati i leader della protesta.
La partita sembra ancora aperta, il suo esito politico sarà positivo se il fronte della mobilitazione riuscirà a mantenersi compatto respingendo la logica sostenuta dal governo di dividere la protesta tra legittima (quella condotta dal movimento indigeno) e illegittima (quella accusata di essere una cospirazione partita da Venezuela-Cuba e guidata da infiltrati di Correa, ex ministro delle Finanze e ora rivale di Moreno, autoesiliato in Belgio).
[i] L’Ecuador ha 17 milioni di abitanti, di cui il 71.9% meticci, il 7,4% montubie, il 7,8 % afro-ecuadoriani, il 7,1 % indigeni e il 7 % bianchi.
[ii] Jaime Vargas a capo del Consejo de Gobierno del Conaie, scrive in un comunicato: «L’agenda di lotta delle organizzazioni sociali e il malessere della popolazione comportano essenzialmente il rifiuto dell’estrattivismo e delle politiche neoliberiste imposte dal governo nazionale, attraverso l’estensione della frontiera petrolifera e mineraria (subtrópico, austro, noroccidente e sur amazónico), accordi con il FMI, flessibilità del lavoro, approfondendo i gravi problemi sociali ed economici del Paese. Esortiamo il governo nazionale e le autorità corrispondenti a rispondere alle richieste territoriali e a promuovere soluzioni chiare, condanniamo l’uso della forza pubblica, della polizia come dei militari, per reprimere e intimidire compagni indigeni, campesinos i e cittadini che esercitano il loro diritto costituzionale alla resistenza per l’adempimento dei diritti. Denunciamo la militarizzazione dei territori e l’apertura di procedimenti giudiziari contro leader, comuneros e dirigenti, poiché costituiscono una criminalizzazione della protesta sociale. Le richieste del movimento indigeno, del movimento sindacale, delle organizzazioni popolari, del movimento femminile e della popolazione in generale si uniscono per spingere verso un programma di unità nazionale che ci consenta di ottenere grandi vittorie per la maggioranza operaia, contadina, popolare, delle donne, degli studenti, della gioventù, degli artisti, dell’Ecuador. Lanciamo un appello a tutte le organizzazioni, comunità, lavoratori, agricoltori, professionisti, studenti e collettivi di unirsi alle jornadas progresivas de lucha in ciascun territorio come protesta per le politiche anti-popolari del governo aggiungendosi alle azioni nazionali».