Ecco come Hillary Clinton intende definire la politica internazionale + vari

Usa, politica estera
Wp      090716

Clinton: Gli USA per un “Mondo Multi-Partner” – La segretaria cerca di definire tale approccio

Glenn Kessler
+ Die Welt     090716

   Discorso sui principi – Ecco come Hillary Clinton intende definire la politica internazionale

Ansgar Graw
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La Segretaria di Stato USA, Hillary Clinton, propone una visione di realpolitik per la nuova politica estera americana, respinge la richiesta avanzata da di alcuni esperti che gli USA si pongano alla testa di un gruppo di grandi potenze, rifiuta l’unilateralismo della prima amministrazione di G.W. Bush:

●     “Nessun paese è in grado di affrontare da solo le questioni mondiali; sono troppo complesse e sono troppi i concorrenti che cercano di esercitare la loro influenza” (potenze in ascesa, grandi gruppi, cartelli criminali; dalle ONG ad al-Qaeda; dai media statali ai privati che utilizzano siti internet);

●     L’Amministrazione Obama sta cercando di costruire un “mondo multi-partner”; il nostro approccio deve riflettere la realtà attuale del mondo, non quella del passato”

o   (non avrebbe senso adattare il “concerto delle nazioni del XIX sec., o la bilancia di potenze del XX o il ritorno alla politica di contenimento della Guerra Fredda o all’unilateralismo).

o   Si occupa di questioni singole come il rapporto con Cina ed India, (sta partendo per un viaggio in India e Tailandia);

●    [Die Welt]: La Clinton, di fronte all’autorevole Council on Foreign Relations: Su questioni come Iran, Afghanistan e relazioni internazionali, gli Usa sono pronti a cooperare e dialogare con altri paesi più che non in passato, ma agiranno senza esitazioni difendendo i propri interessi anche militarmente.

o   Ha proposto il concetto di “smart power” (potere intelligente), il ricorso cioè a tutti i possibili strumenti di politica estera (dalla diplomazia all’economia, dal’impegno della società civile al ricorso allo strumento militare)

o   Nessun dubbio sulla capacità o il dovere degli USA a guidare la politica internazionale, la questione è di come farlo nel 21° secolo.

o   Finora la Clinton ha dovuto tenere un profilo basso, dato che il presidente Obama definisce anche la politica estera degli USA – a Praga per un mondo senza armi nucleari; al Cairo mano tesa ai musulmani; aggiustamento della politica per Afghanistan e Pakistan; ha dominato la scena del G8 dell’Aquila, in Ghana ha dato la sveglia all’Africa …

o   Obama ha anche fatto degli errori: inizialmente troppo diplomatico sui brogli elettorali in Iran, è stato accusato di lasciare da soli i dimostranti a Tehran …

●     La Clinton si è impegnata a costruire legami più stetti con “le grandi potenze globali in ascesa”, Cina, India, Russia, Brasile, Turchia, Indonesia e Sud Africa.

●     Difende la politica negoziale verso Iran e Siria di Obama.

●     [Welt] Non tutti i guerriglieri talebani sostengono al-Qaida; siamo pronti con i nostri alleati afghani ad accogliere i filo-talebani che respingono al-Qaida, depongono le armi e sono pronti a cooperare.

●     MO: comprensione per le difficoltà del governo israeliano a fermare gli insediamenti; a maggio era stato chiesto in modo più perentorio, ora la Clinton richiama i paesi arabi confinanti ad appoggiare maggiormente l’Autorità palestinese.

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Usa, India
Nyt     090718

Editoriale – La segretaria di Stato Clinton in India

–   Si prevede che l’India annunci (in occasione della visita della segretaria di Stato americana, Hillary Clinton) la prossima costruzione di 10 centrali nucleari, aprendo la gara a società americane.

–   L’India deve assumersi maggiori responsabilità internazionali, il primo ministro Singh ha un forte mandato a seguito della vittoria elettorale di maggio:

o   Primo argomento centrale deve essere la ripresa del dialogo con il Pakistan, interrotto lo scorso autunno, a seguito degli attacchi di estremisti pakistani a Mumbai;

o   la Clinton deve assicurare l’India che gli USA faranno pressioni perché il Pakistan persegua gli autori e elimini il gruppo Lashkar-e-Taiba.

o   Occasione di dialogo i negoziati su acqua e questioni ambientali tra India e Pakistan, la questione del Kashmir non è per ora affrontabile.

o   La Clinton deve premere perché l’India produca meno combustibile per armamenti atomici, senza attendere negoziati multinazionali;

o   premere perché l’India apra negoziati regionali sugli armamenti con Pakistan e Cina.

o   L’India deve usare la leva commerciale per frenare le ambizioni nucleari iraniane.

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Africa, Usa
Le Figaro       090813

Washington orchestra il suo ritorno in Africa

Laure Mandeville

●    La maratona della Segretaria di Stato USA, Hillary Clinton, in sette paesi dell’Africa: Kenia, Sud Africa, Angola, RD del Congo, Nigeria, Liberia e Capo Verde,

o   vuole riaffermare che gli USA hanno un interesse geo-strategico, economico e politico per il continente.

●    L’Amministrazione Obama chiede ai paesi africani un “buon governo”, un quadro di certezze istituzionali e legali che garantiscano le relazioni economiche senza rischi eccessivi.

●    Preoccupati per l’ascesa di una “Cina-Africa”, gli Usa cercano di rafforzare i legami con i paesi chiave, in particolare Kenia, Sudafrica e Nigeria, che hanno una forte influenza regionale sui paesi vicini, in preda a sanguinosi conflitti.

●    Sud Africa, la Clinton ha chiesto al nuovo presidente Zuma  di intervenire maggiormente sui problemi dello Zimbabwe; (con l’ex presidente Mbeki gli USA avevano avuto attriti sulla questione).

●    Grande l’interesse economico degli Usa per Nigeria ed Angola, le due maggiori potenze petrolifere dell’Africa;

o   la Nigeria fornisce l’8% del petrolio consumato dagli americani, ma le forti tensioni interne frenano gli investimenti esteri.

Le prospettive per l’Angola – molto corteggiata dalla Cina – sono condizionate dall’assenza di una stato di diritto, il paese sta uscendo da una guerra civile durata 27 anni.

Wp      090716

Clinton: U.S. Urges ‘Multi-Partner World’ – Secretary Seeks to Define Approach

By Glenn Kessler

Washington Post Staff Writer
Thursday, July 16, 2009

–   The Obama administration is attempting to build a "multi-partner world" in which governments and private groups work collectively on common global problems and in which the United States does not shun dialogue with its adversaries, Secretary of State Hillary Rodham Clinton said yesterday.

–   "Our approach to foreign policy must reflect the world as it is, not as it used to be," Clinton said in a speech to the Council on Foreign Relations. "It does not make sense to adapt a 19th-century concert of powers or a 20th-century balance-of-power strategy. We cannot go back to Cold War containment or to unilateralism. . . . We will lead by inducing greater cooperation among a greater number of actors and reducing competition, tilting the balance away from a multi-polar world and toward a multi-partner world."

–   Clinton’s half-hour speech, billed by the State Department as a "major foreign policy address," was intended to provide the intellectual framework for the administration’s nascent foreign policy. President Obama has sketched out key themes in a series of high-profile speeches overseas, and Clinton has tackled individual issues such as policy toward China or India, but this was her first substantive attempt to define her approach to the world since her confirmation hearings.

–   Moreover, as with any new administration, the president has dominated the headlines and set the overall course for foreign policy. The high-profile speech, coming around the administration’s six-month mark, also reflected nervousness among Clinton’s staff that she has faded from public attention since she broke her elbow last month. She was forced to cancel two overseas trips but will depart today on a week-long journey to India and Thailand.

–   Clinton reached little new ground on various policies, such as Iran and the Middle East peace process, but instead devoted substantial attention to explaining how she is going to take various goals set by the president, such as eliminating nuclear weapons and combating climate change, and seek to deliver results by reaching out beyond governments to private groups and individuals. In many ways, the speech was a rebuttal to calls from some foreign policy experts that the United States lead a group of great powers to manage the world.

–   "No nation can meet the world’s challenges alone. The issues are too complex. Too many players are competing for influence: from rising powers to corporations to criminal cartels; from NGOs [nongovernmental groups] to al-Qaeda; from state-controlled media to individuals using Twitter," Clinton said. "Most nations worry about the same global threats, from nonproliferation to fighting disease to counterterrorism, but also face very real obstacles for reasons of history, geography, ideology and inertia."

Clinton said that "these two facts demand a different global architecture — one in which states have clear incentives to cooperate and live up to their responsibilities, as well as strong disincentives to sit on the sidelines or sow discord and division."

–   Clinton, whose schedule overseas is often chockablock with town hall meetings and other outreach to ordinary citizens, said the administration "will reach out beyond governments, because we believe partnerships with people play a critical role in our 21st-century statecraft."

–   She also pledged her "personal commitment" to building closer ties with what she described as "major and emerging global powers": China, India, Russia, Brazil, Turkey, Indonesia and South Africa.

Clinton’s language stood in contrast to the oft-quoted remark of the last secretary of state in President Bill Clinton’s administration, Madeleine Albright, who dubbed the United States "the indispensable nation," and also the unilateral tendencies of the first administration of President George W. Bush. But Hillary Clinton’s speech also built on themes advanced by then-Secretary of State Condoleezza Rice in 2006 and 2008, when she called for "transformational diplomacy."

"Transformational diplomacy is rooted in partnership, not in paternalism," Rice said at Georgetown University in 2006. "In doing things with people, not for them, we seek to use America’s diplomatic power to help foreign citizens better their own lives and to build their own nations and to transform their own futures."

–   But Clinton also offered a forceful defense of the administration’s outreach to Iran and Syria, two countries that Rice largely shunned as secretary.

"We cannot be afraid or unwilling to engage. Yet some suggest that this is a sign of naiveté or acquiescence to these countries’ repression of their own people. I believe that is wrong," Clinton said. "Negotiations can provide insight into regimes’ calculations and the possibility — even if it seems remote — that a regime will eventually alter its behavior in exchange for the benefits of acceptance into the international community."

–   Clinton reaffirmed the administration’s interest in engaging Iran in the wake of the disputed election results and despite being "appalled" by the government’s crackdown on dissent. "Neither the president nor I have any illusions that dialogue with the Islamic republic will guarantee success of any kind, and the prospects have certainly shifted in the weeks following the election," Clinton said. But she said it is important to talk directly with Iran to frame the possibilities of cooperation — or isolation over its nuclear program.

Clinton also warned Tehran that an offer of talks would not remain long on the table. "The time for action is now," she said. "The opportunity will not remain open indefinitely."

© 2009 The Washington Post Company
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Die Welt          090716

   Grundsatzrede – So will Hillary Clinton die Weltpolitik bestimmen

Von Ansgar Graw 16. Juli 2009, 10:09 Uhr

–   Zuletzt war es ruhig um Hillary Clinton. Nicht die Außenministerin, sondern US-Präsident Obama setzte internationale Akzente. Jetzt meldet sie sich zurück und versichert: Die USA wollen besser mit anderen Staaten zusammenarbeiten, werden ihre Interessen aber auch ohne Zögern militärisch verteidigen.

–   Die prominenteste Außenministerin der Welt geht in die Offensive: Hillary Rodham Clinton hat mit einer Grundsatzrede Kernelemente ihrer Politik zu markieren versucht. Die zentrale Linie bei Themen wie Iran, Afghanistan und internationaler Zusammenarbeit lautet: Die Vereinigten Staaten sind stärker als in der Vergangenheit bereit zur Kooperation und zum Dialog – aber sie werden auch entschlossen handeln und ihr Militär einsetzen, wo es Sicherheitsinteressen gebieten.

Clinton, einst Barack Obamas Rivalin beim Kampf um die Kandidatur zum Weißen Haus und jetzt zentrale Ministerin des neuen Präsidenten, hat sich in der Vergangenheit nur bedingt profilieren können.

–   Obama bestimmt neben der Innenpolitik auch die außenpolitische Agenda der USA. Er trommelte, unter anderem bei seiner Rede in Prag, für eine atomwaffenfreie Welt, er streckte in Kairo den Völkern muslimischen Glaubens die Hand entgegen, er justiert die Politik in Afghanistan und Pakistan neu. Obama dominierte den G-8-Gipfel im italienischen L’Aquila und richtete aus Ghana einen eindrucksvollen Weckruf an den afrikanischen Kontinent.

–   Zwar machte der Präsident auch außenpolitische Schrittfehler. Auf die massiven Unregelmäßigkeiten bei den Wahlen im Iran etwa reagierte er zunächst allzu diplomatisch und provozierte damit den Vorwurf, er lasse die auf den Straßen Teherans demonstrierenden Menschen allein.

Dennoch fand seine Außenministerin, die doch als einstige First Lady an der Seite von Präsident Bill Clinton hohes Renommee ins Amt mitbrachte, in der Öffentlichkeit bislang kaum statt. Hindernd hinzu kam ein Ellenbogenbruch, der Hillary Clinton in den letzten Wochen zum weitgehenden Rückzug aus dem Scheinwerferlicht zwang. Die Teilnahme an den Gipfeln in Moskau und Italien sagte die Außenministerin deshalb ab.

"Fähigkeit und Glaubwürdigkeit unseres Präsidenten"

Mit ihrer rund halbstündigen und im Vorfeld vom Außenministerium als „wichtig“ beworbenen Rede am Mittwoch nun wollte Hillary Clinton eigenen gestalterischen Anspruch anmelden. Vor dem renommierten Council on Foreign Relations in Washington führte die Ministerin den Begriff der „smart power“ aus, den sie zwar nicht selbst geprägt, aber im Wahlkampf bekannt gemacht hat.

Jetzt ist sie Außenministerin

–   Unter „smart power“ versteht Clinton die Idee eines aufeinander abgestimmten Einsatzes aller außenpolitischen Instrumente – von der Diplomatie über die Wirtschaft, vom zivilgesellschaftlichen Engagement bis zum Einsatz des Militärs. Diese Idee sei „zentral für unser Denken und unsere Entscheidungsfindung“, sagte Clinton und rühmte die Fähigkeit der USA, „zusammenzuführen und zu verbinden“.

Dazu trage auch die „Fähigkeit und Glaubwürdigkeit unseres neuen Präsidenten und seines Teams“ bei, lobte die Ministerin (hier wie an anderen Stellen in der Rede) ausdrücklich ihren Chef, als wolle sie jeden Verdacht entkräften, auf eigene Rechnung zu spielen.

–   „Zwei Kriege, Konflikte in Nahost, weiterhin Bedrohungen durch den gewalttätigen Extremismus und die Verbreitung von Nukleartechnik, globale Rezession, Klimawandel, Hunger und Krankheiten und ein Graben zwischen Reichen und Armen, der größer wird“, zählte Clinton die gegenwärtigen Probleme der Weltagenda einleitend auf, um dann zu versichern: „Aber das ist kein Grund, an der Zukunft zu verzweifeln.“

"Es ist wie bei meinem Ellenbogen"

–   Es gebe vielmehr die Chance und die Verpflichtung, „amerikanische Führung auszuüben, um Probleme im Konzert mit anderen zu lösen“. Zweifel am Status der USA als führende Weltmacht ließ Clinton nicht zu. „Die Frage ist nicht, ob unsere Nation führen kann oder führen sollte, sondern wie wir im 21. Jahrhundert führen werden.“ Starre Ideologien oder alte Formeln taugten dazu nicht, so Clinton. „Wir brauchen ein neues Selbstverständnis darüber, wie Amerika seine Macht nutzen wird, um unsere Nation zu schützen, den gemeinsamen Wohlstand zu mehren und zu helfen, dass mehr Menschen an mehr Orten ihr gottgegebenes Potenzial verwirklichen können“.

–   Clinton ging zudem mit der Vorgängerregierung ins Gericht. Ohne Präsident George W. Bush namentlich zu nennen, sprach sie von der Kritik an den USA, „die eigene Macht auf Kosten der anderen ausdehnen zu wollen“. Das habe „Anti-Amerikanismus genährt“, so Clinton. „Kein Zweifel, wir haben etwas Boden in den vergangenen Jahren verloren, aber der Schaden wird vergehen. Es ist so wie bei meinem Ellenbogen – es wird von Tag zu Tag besser.“ An dieser Stelle wurde im überfüllten Saal gar gelacht.

–   Ziel der amerikanischen Afghanistan-Pakistan-Politik, kurz Afpak genannt, ist laut Clinton, „al-Qaida und seine extremistischen Verbündeten zu zersprengen, zu zerstören und endgültig zu besiegen, und ihren Wiederaufbau in welchem Land auch immer zu verhindern“. Um al-Qaida zu eliminieren, „müssen wir auch die Taliban bekämpfen”, sagte Clinton.

Taliban sollen al-Qaida abschwören

–   Man wisse aber, dass nicht alle Kämpfer in den Reihen der Taliban al-Qaida unterstützten oder eine extremistische Politik wie während der Taliban-Herrschaft bis Ende 2001 befürworteten. „Heute sind wir und unsere afghanischen Verbündeten bereit, jeden Taliban-Unterstützer willkommen zu heißen, der al-Qaida abschwört, seine Waffen niederlegt und bereit ist, an der freien und offenen Gesellschaft mitzuwirken, die niedergelegt ist in der afghanischen Verfassung“.

–   Beim Thema Nahost ließ Clinton Verständnis für die Schwierigkeit der israelischen Regierung erkennen, den Siedlungsbau sofort zu stoppen. Im Mai hatte sie in diesem Zusammenhang noch wesentlich schärfer eine Einstellung aller Bauaktivitäten verlangt. Jetzt nahm Clinton stattdessen die arabischen Nachbarländer ausdrücklich in die Pflicht.

Ein Fortschritt in Richtung Frieden könne „nicht allein in den Verantwortung der USA und Israels liegen“, sagte sie und forderte die Araber auf, die palästinensische Autonomiebehörde stärker zu unterstützen. Als Ziel nannte die Außenministerin erneut die Schaffung eines „lebensfähigen palästinensischen Staat“.

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Nyt      090718

July 18, 2009

Editorial – Secretary Clinton Goes to India

–   The Bush administration and Congress rewrote American and international rules to allow India — a longtime nuclear scofflaw — to buy fuel and technology for its civilian nuclear program. It was supposed to be the start of a beautiful new friendship. So we are eager to see what happens when Secretary of State Hillary Rodham Clinton visits India over the next few days.

–   The two democracies can do a lot to deepen their relationship, including negotiating an investment treaty. India is expected to use the visit to announce plans to construct as many as 10 new nuclear power plants that will be open to bidding by American companies.

But it is time for India to take more responsibility internationally. It needs to do more to revive the world trade talks it helped torpedo last year and — as a major contributor to global warming — to join the developed countries in cutting greenhouse gas emissions. And it needs to do a lot more to constrain its arms race with Pakistan and global proliferation.

–   Prime Minister Manmohan Singh and his party have a strong mandate after the May elections. And the country has weathered the global recession better than most. That means that it has no excuses not to do more.

–   The primary focus must be Pakistan. We are encouraged that India and Pakistan have resumed their dialogue, interrupted after last fall’s attacks in Mumbai by Pakistani-based extremists. New Delhi exercised welcome restraint when it did not retaliate. But tensions remain high. Mrs. Clinton needs to assure India that Washington will keep pressing Pakistan to prosecute suspects linked to the Mumbai attacks and to shut down the Lashkar-e-Taiba group of extremists once and for all.

–   India also needs to help allay Pakistan’s fears. If resolving tensions over Kashmir — their biggest flashpoint — is not possible while Pakistan is battling the Taliban, then talks on water and environmental issues may be an interim way to seek common ground.

One of our many concerns about the nuclear deal was that it would make it easier for India to expand its arsenal — and drive Pakistan to produce more of its own weapons. With access to global fuel markets, India can use its limited domestic uranium stocks for weapons. President Obama and Secretary Clinton both endorsed the deal. Now they have a responsibility to do what President George W. Bush never did: push India to stop producing more weapons fuel rather than waiting for a multinational treaty to be negotiated. That would make it easier to press Pakistan to do the same. Both India and Pakistan claim that they want only a “minimal credible” nuclear deterrent — but who knows what that means?

–   President Obama’s efforts to revive arms control talks with Russia and his commitment to seek ratification of the test ban treaty mean that Mrs. Clinton arrives with bolstered credibility. She should urge India to consider opening regional arms talks with Pakistan and China and drop its opposition to the test ban treaty.

–   During the negotiations on the nuclear deal, the Bush administration managed to persuade New Delhi to grudgingly support United Nations Security Council sanctions against Iran’s nuclear programs. India now needs to do more.

–   The world’s wealthy nations have given Iran until late September to accept restraints on its nuclear program or face consequences. We hope this time India’s arm will not have to be twisted and — if needed — it will use its trade clout to curb Iran’s ambitions.

India wants to be seen as a major world power. For that to happen, it will have to drop its pretensions to nonalignment and stake out strong and constructive positions. President Obama and Mrs. Clinton say they consider India a vital partner in building a stable world. Now they have to encourage India to behave like one.

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Le Figaro        090813

Washington orchestre son retour en Afrique

De notre correspondante à Washington, Laure Mandeville

12/08/2009 | Mise à jour : 21:02 | Commentaires 1 | Ajouter à ma sélection

Hillary Clinton accueillie par les membres du gouvernement congolais à son arrivée à Kinshasa lundi.

–   La secrétaire d’État, Hillary Clinton, effectue un marathon de onze jours à travers sept pays du Continent noir.

–   Quelles images retiendra-t-on de la grande tournée entamée lundi dernier par Hillary Clinton à travers l’Afrique noire ? Son discours de Nairobi, en écho à celui d’Obama à Accra, sur la nécessité de lutter contre la corruption et la fraude électorale pour sortir le continent africain de l’ornière sinistre où il reste enfoncé ? Sa poignée de main avec le président somalien Sharif Sheikh Ahmed, président en sursis confronté à une rébellion d’insurgés islamistes ? Ses retrouvailles avec Nelson Mandela, qui lui a montré ses émouvantes lettres de prison ? Sa visite dans la poussière d’un camp de réfugiés de Goma, en République démocratique du Congo, où des femmes en détresse lui ont raconté les viols massifs qu’elles endurent de la part des rebelles rwandais et des soldats congolais ?

–   Ou ses délicates négociations avec le régime nigérian, puissance pétrolière incontournable de l’Afrique, où elle se trouvait mercredi, avant d’aller célébrer la nouvelle présidente libérienne Ellen Johnson Sirleaf, symbole d’espoir dans un pays qui fut déchiré par la guerre ?

–   Onze jours de voyage pour sept pays africains, dont le Kenya, l’Afrique du Sud, l’Angola, la RD du Congo, le Nigeria, le Liberia et enfin le Cap-Vert. Autant dire un marathon, destiné à démontrer l’implication des États-Unis sur ce Continent noir toujours à la dérive mais riche de potentiel, souligne-t-on au département d’État.

Face à la «Chinafrique»

–   Un mois après le voyage symbolique de Barack Obama au Ghana, démocratie modèle d’une Afrique toujours dominée par les régimes autoritaires, l’Amérique, bien décidée à profiter du formidable capital de popularité que lui offrent les origines kényanes de son président, effectue son grand retour en terre africaine.

–   Une logique à la fois géostratégique, économique, politique et humanitaire anime l’agenda de la secrétaire d’État. Inquiète, sans vraiment le reconnaître officiellement, de la montée en puissance d’une «Chinafrique» qui ne s’embarrasse pas de démocratie, les États-Unis cherchent à renforcer leurs relations avec les États clés de l’échiquier africain. Trois pays – le Kenya, l’Afrique du Sud et le Nigeria -, dont l’influence régionale est grande sur leurs voisins en proie à des conflits virulents, seront la cible d’efforts particuliers. Ainsi Hillary Clinton a-t-elle profité de son escale au Kenya pour s’impliquer dans la crise qui déchire la Somalie.

–   En Afrique du Sud, Mme Clinton a tenté de convaincre le nouveau président Jacob Zuma de s’impliquer plus activement au Zimbabwe, pays fantôme toujours dépendant des humeurs du vieux dictateur Mugabe. Les relations entre ce poids lourd diplomatique de l’Afrique et Washington avaient connu d’importantes tensions sous la présidence de Thabo Mbeki, accusé par l’équipe de Bush d’être trop conciliant vis-à-vis de son incontrôlable voisin.

–   Sur le plan économique, c’est sans doute au Nigeria et en Angola, les deux grandes puissances pétrolières de l’Afrique, que les enjeux sont les plus décisifs pour les Américains.

–   Le Nigeria fournit 8 % de la consommation américaine d’or noir, mais les efforts des investisseurs pour s’associer aux entrepreneurs nigérians sont menacés par le climat de violence d’un des pays les plus corrompus du monde. «C’est le pays le plus important d’Afrique, mais un géant malade», note l’expert de la Brookings Richard Joseph.

–   En Angola, très courtisé par les Chinois, les perspectives sont également hypothéquées par l’absence d’état de droit d’un pays tout juste sorti de vingt-sept ans de guerre civile. Hillary Clinton y a d’ailleurs plaidé auprès du président Dos Santos, au pouvoir depuis trente ans, pour que la présidentielle se tienne «dans les temps» et dans la «transparence».

Problèmes humanitaires

Le message politique américain – démocratie, état de droit, lutte contre la corruption, transparence – a partout été le même. L’Administration Obama est persuadée que seul un réveil de l’Afrique à la bonne gouvernance lui permettra de sortir de l’impasse. En attendant, les problèmes humanitaires et sanitaires restent immenses. Hillary Clinton a multiplié les rencontres avec la société civile. Elle a longuement évoqué le problème du sida qui ravage l’Afrique et que combat son mari avec sa fondation. Elle a aussi plaidé avec passion pour la cause des femmes, promettant de débloquer 17 millions de dollars pour combattre les violences sexuelles dans le Kivu, où près de 3 500 femmes auraient été violées depuis janvier.

 

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