E tra gli arabi in Galilea spuntano bandiere di Hamas

CORRIERE Dom. 26/3/2006  
Lorenzo Cremonesi

 

NAZARETH – Bandiere verdi di fronte alla
Basilica dell’Annunciazione. Con un colpo di mano gli attivisti del movimento
islamico sono tornati a presidiare la piazza che conduce a uno dei luoghi santi
più importanti per la cristianità in terra di Israele
. Hanno approfittato
della confusione e le manifestazioni di protesta ai primi di marzo, quando una
famiglia di ebrei (nota come un «caso sociale» tra i centri medici locali)
aveva fatto irruzione nella Basilica lanciando mortaretti, per abbattere le
transenne poste quattro anni fa dalla polizia e riprendersi il luogo dove
vorrebbero erigere una moschea. 
«È il segno dei tempi. Il movimento islamico
si sente rafforzato dalla vittoria di Hamas in Cisgiordania e Gaza, e adesso
cerca di imporre la sua voce tra gli arabi israeliani», dicono preoccupati i
commentatori a Tel Aviv
. Una preoccupazione che, a due giorni dal voto,
sembra esprimere più evidente che mai una delle tendenze rilevanti tra i
550.000 elettori arabi (il 10% di tutti gli aventi diritto al voto):
l’astensione in nome di una nuova identità che si rifà direttamente
all’islamizzazione crescente del Medio Oriente
. «Non sappiamo ancora quale
sarà l’affluenza alle urne tra gli arabi israeliani. Alle elezioni del 2003
il tasso di astensione fu del 38%. Se ora fosse molto alto sarebbe però una
tragedia. Gli ebrei vedrebbero sempre di più gli arabi come una quinta colonna
nel cuore dello Stato. E gli arabi si sentirebbero ancora più esclusi, come dei
paria perseguitati», osserva Elia Rekhess
, esperto in materia per
l’Università di Tel Aviv. Gli ultimi sondaggi rilevano che oltre il 60%
degli ebrei israeliani temono «l’arabizzazione» della Galilea, il fatto che in
larghe aree gli arabi abbiano la netta supremazia demografica
. E
raccoglie consensi la proposta di Avigdor Liebermann
, leader del partito
degli immigrati dall’ex Urss Israel Beitenu, per cui si potrebbe fare uno
scambio territoriale con l’eventuale futuro Stato palestinese: espellere
migliaia di arabi israeliani in Cisgiordania e cedere alcune regioni vuote di
Israele
. Eppure il viaggio tra gli attivisti dei gruppi islamici in
Galilea non fa che confermare queste tendenze
. «Questa volta l’astensione
potrebbe sfiorare il 50%. E ciò perché gli arabi in Israele non ne possono più
di essere presi in giro. Al momento abbiamo 12 deputati arabi sui 120
complessivi al Parlamento: 8 per i tre partiti arabi (la Lista Unita più
islamica, oltre ai due di sinistra Balad e Hadash), gli altri in quelli
sionisti. Ma cosa hanno fatto per migliorare la nostra situazione? Nulla
.
Le nostre municipalità continuano a ricevere meno fondi di quelle ebraiche, noi
siamo comunque considerati cittadini di serie B, se non addirittura nemici
potenziali dello Stato», sostiene lo sceicco Kamal Khataeb, 44 anni,
numero due del movimento islamico. La sua biografia è quella di larga parte
della nuova classe dirigente in Galilea. Ex comunista (il leader del Partito
Islamico, che invece partecipa alle elezioni, Abdel Malek Dahamsheh, fu in
carcere dal 1971 al 1978 per aver militato nel Fatah), nel 1975 si recò a
studiare all’università di Nablus, in Cisgiordania, dove conobbe tutti gli
attuali leader e mentori spirituali di Hamas.
Come lui, Dahamsheh negli anni Ottanta e Novanta fu persino l’avvocato
personale di Ahmad Yassin, il capo politico di Hamas assassinato da Israele due
anni fa. Racconta Khataeb: «Per noi arabi israeliani l’unificazione con la
nostra gente di Cisgiordania e Gaza dopo la vittoria israeliana del 1967
rappresentò la riscoperta della nostra vera identità collettiva. Non eravamo
nulla e ritrovammo l’Islam. Ecco perché oggi Hamas non può che rafforzarci»
.

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