Davide Frattini
Oltre il confine nord il governo Olmert sta preparando
un’area cuscinetto, senza nascondigli nè alberi, che sarà controllata da droni
telecomandati
distanza di sputo», ripete da giorni il ministro della Difesa Amir Peretz. O
come chiarisce – con parole più diplomatiche – agli inviati delle Nazioni
Unite: «Alla fine di questa guerra non accetteremo di vedere le bandiere dei
fondamentalisti sventolare sulla nostra frontiera». Peretz e lo Stato maggiore
vogliono i drappi giallo-verdi del Partito di Dio ad almeno venti chilometri di
distanza, su a nord, oltre il fiume Litani. Che gli israeliani considerano la
linea di separazione tra Hezbollah-stan e
una ragionevole fascia di sicurezza.
I bulldozer e le bombe di Tsahal stanno già livellando le zone a ridosso del
reticolato elettrico sul confine: un chilometro verso l’interno del Libano, con
pochi alberi e nascondigli, perché la zona possa essere controllata dagli occhi
elettronici dei droni telecomandati. «Il governo non vuole rimandare le
truppe nel sud – spiega al Guardian Uzi Arad, per venticinque anni nel Mossad e
fondatore del Centro studi di Herzliya – però vuole essere certo che verrà
costituita un’area cuscinetto, sorvegliata dall’esercito regolare libanese,
anche con l’aiuto di una forza internazionale».
Arad è convinto che ai bombardamenti debba seguire una strategia diplomatica
«che porti a un processo graduale per il disarmo dell’Hezbollah». È la fase che
si dovrebbe aprire domenica, con l’arrivo in Medio Oriente di Condoleezza Rice.
«Il segretario di Stato – dicono fonti della Casa Bianca al New York Times – vuole aspettare ancora qualche
giorno per dare a Israele la possibilità di continuare a colpire i miliziani e
per essere sicura di poter ottenere qualche risultato dal viaggio». Lo Stato
Maggiore confida di avere ancora una settimana per raggiungere i due obbiettivi
militari che si è prefisso nella campagna: eliminare i capi dell’Hezbollah, a
partire dallo sceicco Hassan Nasrallah, e demolire gli arsenali di missili.
Washington sta discutendo con gli alleati tra i Paesi arabi come rafforzare
il sud del Libano, perché il Partito di Dio non possa ricostruire il sistema di
postazioni e torri di controllo e ricominciare la guerra psicologica con i
soldati israeliani. «Il governo di Ehud Olmert – scrive il New York Times – non pone più il disarmo
immediato dell’Hezbollah tra le condizioni per il cessate il fuoco». «Con il
passare dei giorni – commenta l’analista Amir Rappaport su Maariv – lo Stato Maggiore sta riducendo le sue
aspettative. A questo punto potremmo essere soddisfatti, se l’organizzazione
sciita uscisse dal confronto battuta e ben lontana dal nostro confine.
Questa debolezza di Nasrallah renderà più facile riportare a casa i soldati
rapiti, purtroppo solo dopo una lunga trattativa».
Giora Eiland, fino a poco tempo fa consigliere per la sicurezza nazionale
del primo ministro, sostiene che una forza internazionale non può essere
accettata dagli israeliani, se funziona solo da «cuscinetto». «In questo
caso può essere efficace – spiega – solo se l’Hezbollah non vuole creare provocazioni
e preferisce la calma. Olmert deve insistere perché la presenza multinazionale
serva per permettere al governo di Beirut di fare il suo dovere, rispettando le
richieste della risoluzione Onu 1559. I libanesi devono essere ritenuti i
responsabili di quello che succede a sud».
Lorenzo Cremonesi
«Il mondo ci aiuti a disarmare Hezbollah»
Il premier libanese Fuad
Siniora: «Prima di tutto devono cessare i bombardamenti israeliani» «Il Partito
di Dio è un problema gravissimo: le sue azioni sono guidate da Teheran e
Damasco»
BEIRUT – Lo incontriamo nel suo ufficio proprio nel mezzo di
una lunga serie di telefonate con Romano Prodi. «Conosco il vostro primo
ministro da molto tempo. So che è un buon amico del Libano e degli arabi. E so
anche che può fare molto per noi. L’Italia è un partner privilegiato e ha forti
interessi in Libano, il suo export nel nostro Paese supera il miliardo di
dollari, il primo in assoluto, più alto di quelli di Francia e Cina. Non mi
stupisce che faccia di tutto per porre fine alla catastrofe rappresentata dai
bombardamenti israeliani», spiega accorato Fuad Siniora. Non a caso ha
scelto di parlare con un reporter italiano. «Ci tengo a dire al vostro Paese
quanto mi interessa la vostra mediazione. Sto anche pensando di invitare
Massimo D’Alema a Beirut», aggiunge. Un leader in difficoltà per uno dei
momenti più difficili nella sanguinosa storia del Libano. Qui i
commentatori lo dipingono come «il numero due che sta diventando con successo
numero uno». Da sempre stretto consigliere di Rafiq Hariri, suo ex ministro
delle Finanze, lo ha sostituito alla guida del partito, e ora del Paese, dopo
il suo assassinio nel febbraio 2005, Siniora dimostra di avere le spalle più
larghe di quanto non si credesse. Ultimamente non ha esitato a sfidare la
Siria, accusa l’Iran di ingerenze. Ma in questo momento ciò che gli preme di
più è porre fine alla «barbara aggressione israeliana». Poco dopo il nostro
incontro legge pubblicamente un annuncio: «Occorre che la comunità
internazionale imponga il cessate il fuoco a Israele. In sette giorni di
bombardamenti abbiamo oltre 1.000 feriti, 300 morti e mezzo milione di
profughi. Il Paese è in ginocchio».
Signor primo ministro, Israele sostiene che sta
premendo sul vostro governo per disarmare l’Hezbollah. Se non lo farete voi, lo
faranno loro. Ma a spese vostre.
«Noi diciamo questa stessa cosa, ma in modo diverso. Il mondo intero deve
aiutarci a disarmare l’Hezbollah. Ma prima di tutto occorre giungere al cessate
il fuoco. Sino a che continueranno i bombardamenti non si potrà fare nulla,
se non peggiorare la situazione. E anche Israele non ci guadagnerà niente.
Vogliono annientare le infrastrutture dell’Hezbollah? Non si ricordano che ci
hanno già provato manu militari contro altre forze in Libano nel passato. E non
è servito».
Lei sa bene che prima del blitz dell’Hezbollah
contro i soldati israeliani settimana scorsa questa regione era calma.
«Sì, ma c’erano sul campo tutti i presupposti per il conflitto. Perché occorre
trovare una soluzione complessiva al problema. L’Hezbollah sostiene che
combatte una guerra partigiana per liberare i circa 40 chilometri quadrati a
Sheba, terra libanese ancora occupata da Israele. E anche per liberare i 3
prigionieri libanesi nelle carceri israeliane. Israele lasci la zona di Sheba,
che comunque non ha alcun valore militare o economico, rilasci i prigionieri e
il nostro governo potrà dire che l’Hezbollah non ha più alcun legittimo motivo
per mantenere una milizia armata. Sarà inevitabilmente costretto a
diventare una forza puramente politica del nostro sistema democratico».
L’Onu 6 anni fa dichiarò che Israele si era
definitivamente ritirato sul confine internazionale. Non è questo di Sheba un
puro pretesto dell’Hezbollah per continuare la "guerra santa"?
«Potrei anche essere d’accordo con lei. Ma, se così fosse, allora
abbiamo un motivo in più per smascherare l’Hezbollah. A parte che esistono fior
di carte diplomatiche, che sin dai primi anni Venti mostrano che la regione di
Sheba è libanese, non siriana. Anche la Siria da qualche anno afferma che è
nostra, sebbene non sia pronta scriverlo sulla carta. In ogni caso,
l’importante ora è riportare la piena sovranità libanese nel Sud, smantellare
qualsiasi milizia armata parallela all’esercito nazionale. E per farlo occorre
delegittimare le ragioni dell’Hezbollah».
Romano Prodi, assieme ai partner europei, le sta
proponendo una forza militare multinazionale, con un mandato diverso da quello
dell’Unifil. E’ d’accordo?
«Ho spiegato a Prodi, Chirac e agli altri leader stranieri con cui sono in
contatto, che la mossa non è sufficiente. Non bastano 6.000, 8.000 o
addirittura 20.000 soldati stranieri per disarmare l’Hezbollah, se prima non si
giunge a una soluzione complessiva del problema che riguarda anche Sheba, come
ho appena detto»
E’ rimasto sorpreso dall’arsenale dell’Hezbollah?
Posseggono missili di fabbricazione iraniana in quantità. Come è potuto accadere
che potesse nascere un esercito così forte?
«L’Hezbollah è diventato uno Stato nello Stato. Lo sappiamo bene. E’ un
problema gravissimo. Ma precede di molto il mio mandato e anche l’era di
Hariri. Non è un mistero per nessuno che l’Hezbollah risponde alle agende
politiche di Teheran e Damasco. Noi non siamo un Paese in ostaggio della Siria.
La nostra è una democrazia viva, con un’opinione pubblica libera, pluralista.
Siamo un gioiello unico in Medio Oriente. Ma i siriani sono dentro casa nostra
e noi siamo ancora troppo deboli per difenderci. Le memorie terribili della
guerra civile sono ancora troppo presenti, nessuno è pronto a prendere le
armi».
Hariri è stato ucciso dai sicari siriani?
«Questo è quello che pensa lei. Io non dico di essere in disaccordo. Ma esiste
una commissione internazionale che indaga sul caso. Lasciamo a loro il
verdetto».
Per quando prevede il cessate il fuoco?
«Non ci siamo ancora. Purtroppo vedo un gran polverone diplomatico e pochi
fatti concreti. I bombardamenti criminali di Israele vanno bloccati subito,
immediatamente. Ma i governi israeliani hanno sempre fatto di tutto per
renderci la vita difficile: non ci hanno mai dato le mappe dei campi minati che
loro avevano piantato in Libano, così la gente continua a morire. Oggi
bombardano i civili e creano simpatie per l’Hezbollah anche dove altrimenti non
ci sarebbero».