autore: DI DAVID L. GOLDWYN E EDWARD L. MORSE
Le compagnie petrolifere statali in Cina, Malesia,India e altri Paesi sono entrate nella competizione per aggiudicarsi le riserve energetiche africane: ma da loro — diversamente che dalle compagnie europee e statunitensi, che risentono delle pressioni delle rispettive opinioni pubbliche — non derivano certo grandi pressioni per esigere trasparenza e tutela dei
diritti umani.
L’entità degli investimenti cinesi in Africa ha toccato livelli altissimi. Il totale esatto non è noto con certezza, ma sappiamo che le compagnie di Stato cinesi spendono cifre largamente superiori al valore dei singoli progetti e alle offerte delle altre compagnie, semplicemente per penetrare nel mercato locale e assicurarsi l’accesso alle risorse. In Sudan, per esempio, le compagnie cinesi sono entrate massiccia mente nel Paese approfittando delle difficoltà delle compagnie statunitensi ed europee che subivano pressioni dei loro governi su una serie di questioni quali i diritti umani, il potenziale genocidio, la presunta ospitabilità data ai terroristi dal Sudan e la grave instabilità del Paese. Le compagnie cinesi hanno investito 15 miliardi di dollari a fondo perduto nell’esplorazione e nello sviluppo, e nella costruzione di raffinerie e oleodotti. È un’enorme somma per queste aziende. In Angola, il Governo e le compagnie cinesi hanno soffiato un appalto petrolifero a un gruppo indiano, guidato dalla Oil and Natural Gas Corporation Limited, che si era
accordato per l’acquisto del 50% del Blocco 18 della Shell a 620 milioni di dollari. Il gruppo cinese ha offerto 2 miliardi di dollari per aggiudicarsi lo sviluppo del Blocco 18, una cifra largamente superiore a quella indiana.
Resta da vedere se esista ancora qualche possibilità di far avanzare in Africa gli obiettivi e i valori più generali degli Stati Uniti e dei Paesi europei. Una possibilità potrebbe derivare dal gap che esiste tra la situazione di oggi e il giorno in cui quei governi incasseranno, grazie al petrolio, proventi così
enormi da potere agire con molta più indipendenza e senza temere influenze esterne. Ma meglio sbrigarsi: la corsa allo sfruttamento dei nuovi giacimenti e, soprattutto, la competizione delle compagnie asiatiche potrebbero chiudere velocemente questi spazi di manovra.