E Bush sogna il New deal delle pensioni. Private – Massimo Gaggi

La riforma delle pensioni di BUSH prevede più spazio ai fondi privati, taglio delle prestazioni e introduzione del sistema contributivo.
BUSH investe 40mln $ per propagandare la sua riforma delle pensioni
La riforma prevede una drastica riduzione della quota pubblica della previdenza a favore dei fondi privati e di istituire il calcolo contributivo della pensione pubblica, che negli USA significherebbe un drastico calo delle prestazioni.
L’obiettivo è di fare fronte ai cambiamenti demografici, anche se solo nel 2018 le spese supererebbero le entrate e solo nel 2052 sarebbero necessarie nuove tasse.
NEW YORK – Tecnicamente è una riforma delle pensioni, ma l’obiettivo politico del presidente Bush è ben più ambizioso: cambiare il contratto sociale siglato 70 anni fa da Franklin D. Roosevelt che proprio nel 1935 creò la Social Security, un sistema previdenziale pubblico, anche se più limitato e meno generoso di quelli europei. La proposta della Casa Bianca – progressivo dimezzamento degli assegni della previdenza pubblica che già oggi rappresentano mediamente solo il 42% del reddito dei pensionati e formazione di conti di risparmio privati alimentati dai contributi fin qui versati alla Social Security – verrà formalizzata solo a fine febbraio, ma la campagna della Casa Bianca è già iniziata: Bush, consapevole della delicatezza della materia, sta cercando di tranquillizzare i leader repubblicani del Congresso e oggi spiegherà pubblicamente le ragioni della riforma a un gruppo di cittadini. Sarà l’inizio di una campagna mediatica che dovrebbe durare circa un mese e nella quale verranno investiti 40 milioni di dollari.
Insieme alla riforma fiscale, è questo l’impegno centrale del secondo mandato presidenziale di Bush, il cuore della strategia mirante a creare una «ownership society», una società nella quale il cittadino è meno protetto da uno Stato meno presente ma anche meno costoso ed è più responsabile per il suo futuro. Non è una novità: quello della previdenza è stato uno dei temi centrali della campagna di Bush.
Ma allora il presidente era rimasto sulle generali, parlando sì di privatizzazione del sistema, ma giustificando gli interventi soprattutto con la necessità di evitarne la bancarotta e promettendo che la riforma sarebbe stata costruita pezzo per pezzo in Parlamento sulla base, se possibile, di accordi bipartisan.
Oggi lo scenario è diverso: la Casa Bianca auspica ancora un’intesa bipartisan, ma il documento redatto da Peter Wehner, direttore per le iniziative strategiche della Casa Bianca, il braccio destro di Karl Rove, afferma che la riforma della Social Security sarà «una delle principali imprese realizzate dal fronte conservatore nei tempi moderni» che consentirà di «ridurre gli spazi occupati dallo Stato e trasformerà il panorama politico del Paese». Il documento preparatorio – un «ballon d’essai» che è stato fatto circolare nel Congresso e tra un buon numero di «opinion leader» – ha dunque una forte connotazione ideologica, anche se, ovviamente, i contenuti economici sono prevalenti.
La ricetta proposta non è delle più digeribili: mentre molti vorrebbero che gli enormi costi della transizione verso un sistema essenzialmente privatizzato fossero coperti aumentando ulteriormente il debito pubblico americano, Wehner spiega che i mercati non accetterebbero mai di finanziare un piano che non contenga una chiara prospettiva di riequilibrio del sistema e una riduzione delle prestazioni erogate dal sistema pubblico. Così lo stratega della Casa Bianca propone di creare conti individuali alimentati utilizzando i due terzi del contributo oggi versato dal lavoratore alla Social Security (6,2% della retribuzione, una quota analoga a quella versata dal datore di lavoro), ma soprattutto chiede di calcolare l’assegno pagato dal sistema pubblico con una indicizzazione legata non più alle retribuzioni, come avviene oggi, ma all’inflazione.
Sembra poca cosa soprattutto a noi italiani che questo mutamento del sistema di calcolo lo abbiamo introdotto fin dal 1992, con la riforma Amato. In realtà l’impatto su un sistema assai meno generoso del nostro
(in America si va in pensione a 66-67 anni e la quota di retribuzione pensionabile è molto più bassa, anche perché esistono molti fondi integrativi privati) sarà pesante, soprattutto nel lungo periodo: mentre per chi andrà in pensione nel 2022 il taglio sarà «solo» del 10%, chi si ritirerà a metà del secolo resterà con una pensione pubblica dimezzata.
A quel punto il peso dello Stato diventerà marginale: la previdenza pubblica garantirà infatti, in media, non più del 20% del reddito dei pensionati, mentre crescerà il peso dei fondi privati. La strada che conduce alla «ownership society» si sta però rivelando più accidentata del previsto
: i democratici sono in rivolta, Wall Street è in posizione d’attesa, molti gruppi d’interesse come l’Aarp, potente associazione che riunisce 35 milioni di pensionati e pensionandi, sta riempiendo giornali e teleschermi con la sua campagna contro la riforma Bush. Ma il dissenso è diffuso anche tra le file repubblicane: Bush ormai non deve più essere votato dagli americani, ma molti leader del suo partito dovranno affrontare tra meno di due anni le elezioni di mezzo termine e temono gli effetti potenzialmente devastanti di una riduzione delle prestazioni garantite.
Il presidente è già corso ai ripari: ha promesso ai leader repubblicani che la manovra sarà molto graduale e spiega all’opinione pubblica che non si può assistere passivamente al deragliamento del convoglio previdenziale. Effettivamente, col pensionamento della generazione del «baby boom», il sistema perderà il suo equilibrio, ma le spese supereranno le entrate solo nel 2018 e, grazie alle riserve accumulate in questi anni di gestioni in attivo, il deficit potrà essere coperto fino al 2052 senza dover ricorrere a un aumento delle tasse. Una lezione di preveggenza per chi, come noi, si è ridotto a intervenire soltanto quando il deficit era ormai insostenibile. Ma anche una situazione che spinge i democratici ad accusare Bush di fare dell’allarmismo gratuito. Dice il deputato dell’Illinois Rahm Emanuel: «Adesso l’agenda della riforma è chiara. Primo: spaventare i cittadini. Secondo: tagliare le prestazioni. Terzo: privatizzare il sistema».

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