Tesi GFP:
Il blocco delle garanzie all’export e ai FDI verso l’Iran
ventilato da Berlino fa pensare che il governo tedesco stia considerando la
possibilità di operazioni belliche o che non le voglia più escludere.[1]
Mentre importanti forze
imprenditoriali e i loro portavoce nella FDP e CDU-CSU ammoniscono contro
ulteriori iniziative militari in MO e mettono in discussione l’invio di truppe
tedesche in Libano,
l’ala euro-atlantica del
ministero Esteri spinge ad un reciproco spalleggiamento con gli USA.
L’intervento in Libano rappresenta per questa corrente l’inizio di un rivolgimento
globale, che dovrebbe riguardare anche l’Iran, se occorre con la guerra.
Il motivo principale degli sforzi tedeschi di evitare le
sanzioni contro l’Iran è data oltre che dai progetti di espansione economica
delle imprese tedesche, dai progetti strategici per l’energia:
l’Iran è
assieme al Nord Africa uno dei paesi da
cui la Germania intende a lungo termine esportare gas per ridurre la dipendenza
da Mosca. Nel 2005 E.on, il gigante tedesco dell’energia, ha fatto sapere
che ha avviato negoziati per forniture iraniane; in preparazione le misure di
logistica necessarie.
Teheran informa di un accordo concluso con Ankara per il
trasporto di gas verso l’Europa occidentale, che verrebbe bloccato in caso di
repressioni contro l’Iran e conseguente risposta iraniana.
Scaduto l’ultimatum ONU all’Iran, la scorsa settimana la DIHK (Camera tedesca
dell’industria e del commercio) ha chiesto pubblicamente che il conflitto venga
risolto «per via negoziale», nel 2005 l‘Iran, con un volume di €4,4
MD, è stato il maggior mercato di tutto il MO per l’export tedesco.
Ammonisce il presidente di NuMOV (Associazione per il
Vicino e Medio Oriente), Martin Bay, che se le imprese tedesche fossero
costrette ad andarsene ne approfitterebbero i “concorrenti cinesi”. «La
ferrovia statale iraniana è già in moto (!), con locomotive cinesi». (Commenta
GFP: come se l’equipaggiamento di macchinari e strumenti di precisione fosse
una riserva internazionale dell’industria tedesca). Le sanzioni contro l’Iran
sarebbero una specie di «sovvenzione ai concorrenti delle imprese tedesche»; la
competizione per le commesse derivanti dalle entrate petrolifere aumenterebbe
fortemente.
Bay è anche A.D. di una società di Deutsche Bahn AG, che si
occupa dell’espansione internazionale del gruppo (DB Projektbau).
VDMA, l’associazione dei costruttori tedeschi di macchinari
e impianti: «Limitazioni all’export unilaterali e che distorcono la competizione»
danneggerebbero sicuramente la posizione delle imprese tedesche.
I gruppi tedeschi temono, oltre a svantaggi di lungo termine
per gli affari in Iran, anche l’impossibilità di acquisire commesse lucrative
per le infrastrutture e l’estrazione di petrolio e gas.
Nel N-E Iran si prospettano grandi
progetti ferroviari (riparazione di 500 km di binari), e la costruzione di 1000
km di linee ferroviarie veloci per il 2010.
Nel settore della chimica
iraniana ci sono progetti per migliaia di milioni in cui sono presenti anche
imprese tedesche; NuMOV: le imprese del settore tecnologia e infrastrutture che
si dovessero ritirare dell’Iran non
riuscirebbero «più a rimetterci piede».
A causa delle minacce politiche nel primo semestre 2006
l’export tedesco in Iran è sceso di circa il 10%; le imprese britanniche ed americane
en sono danneggiate in misura molto inferiore: l’export britannico non
raggiunge 1/5 di quello tedesco, mentre gli USA hanno prorogato le sanzioni
economiche contro l’Iran che impediscono gli affari.
Date le continue pressioni americane per sanzioni economiche
contro l’Iran, le maggiori associazioni economiche tedesche hanno comunicato
una riunione d’urgenza per fine settembre; il ministero degli Esteri vi
invia la direttrice della sezione degli Esteri per MO, Maghreb, Sudan e gli
incaricati per la politica mediorientale; quello dell’Economia il direttore
della sezione V B 7 (Nordafrica, MO), scopo: fornire agli imprenditori
interessati valutazioni sulla situazione per l’Iran.
Il governo tedesco sta pensando, visti i rischi politici, di
non prolungare le garanzie in corso per l’export verso l’Iran, cosa che
potrebbe riguardare anche le garanzie federali per gli FDI, di nuovo concesse
dal 2003 dopo una sospensione di quasi 20 anni. Gli FDI tedeschi nel solo 2003
sono stati di €58mn.
I tentativi dei gruppi tedeschi di preservare la propria
posizione in MO si scontano con gli interessi della politica estera americana e
segnano una frattura dell’alleanza euro-atlantica.
Dopo le
forti perdite causate dalle distruzioni in Irak e Libano e Palestina, se l’Iran
venisse attaccato, Berlino rischia che vengano danneggiati a lungo termine i
suoi tradizionali privilegi nell’area araba.
[1]
Il paragrafo 4 delle “condizioni generali” per le garanzie statali agli
investimenti recita che ai privati che godono di queste garanzie vengono
risarciti i danni provocati da “guerra o scontri armati”. Nel caso l’Iran
venisse attaccato militarmente, oltre a una perdita di influenza economica
Berlino dovrebbe rispondere anche a richieste di risarcimenti danni per milioni
di euro sulla base delle garanzie statali fornite per gli investimenti
(Hermesburgerschaft).
German Foreign Policy 06-09-10
Hart
getroffen
10.09.2006
BERLIN/TEHERAN
(Eigener Bericht) – Die
drohenden Sanktionen gegen den Iran sorgen in der deutschen Wirtschaft für
Unruhe.
–
Nach
einer Öffentlichkeitsoffensive in der vergangenen Woche kündigen führende Wirtschaftsverbände
für Ende September eine Krisensitzung an, bei der hochrangige Vertreter des Auswärtigen
Amts und des Wirtschaftsministeriums interessierte Exportunternehmer mit
Lageeinschätzungen aus erster Hand bedienen werden.
–
Müssten
sich deutsche Firmen wegen Sanktionen aus dem Iran zurückziehen, würden
"chinesische Konkurrenten" profitieren, warnt der Vorsitzende
des Nah- und Mittelost-Vereins (NuMOV).
–
Wegen
der politischen Drohungen gegen Teheran haben die deutschen Ausfuhren in den
Golfstaat im ersten Halbjahr 2006 starke Einbußen erlitten – ein Schaden,
der britischen und US-amerikanischen Unternehmen nur in viel geringerem Umfang
droht: Die britischen Ausfuhren in den Iran betragen nicht einmal ein Fünftel
der deutschen, Washington hat seine nationalen Wirtschaftssanktionen gegen den
Iran, die Geschäfte in größerem Umfang verhindern, gerade verlängert.
–
Sollte
der Iran Objekt eines Angriffskrieges werden, drohen Berlin zusätzlich zu ökonomischen Einflussverlusten
auch Schadensansprüche aus staatlichen Investitionsgarantien in Millionenhöhe.
Empfindlich
Nach Ablauf des
antiiranischen UN-Ultimatums haben deutsche Wirtschaftsverbände in der
vergangenen Woche eine Öffentlichkeitsoffensive gestartet.
–
Der Konflikt mit dem
Golfstaat müsse "auf dem Verhandlungsweg" gelöst werden, fordert der
Deutsche Industrie- und Handelskammertag (DIHK).[1]
–
Wie der DIHK mitteilt, war
Iran im vergangenen Jahr der größte deutsche Exportmarkt in der gesamten
Mittelost-Region und ermöglichte deutschen Firmen Ausfuhrerlöse von mehr als
4,4 Milliarden Euro.
–
Die
kontinuierlich gewachsenen Exporte sind jedoch 2006 um rund zehn Prozent
eingebrochen – nach
Ansicht des DIHK wegen weiter um sich greifender politischer Unsicherheiten. Sollten die befürchteten Sanktionen gegen den Iran verhängt werden,
dann werde die deutsche Wirtschaft "empfindlich in einem wichtigen
Wachstumsmarkt getroffen", urteilt die deutsche Unternehmenslobby.
Subvention für
Konkurrenten
Ähnlich beurteilen auch
andere Wirtschaftsverbände die politische Entwicklung. Sanktionen würden die
deutsche Wirtschaft "hart treffen" und kämen einer "Subvention
für die Konkurrenten deutscher Firmen" gleich, erklärt Martin Bay,
Vorsitzender des Nah- und Mittelost-Vereins (NuMOV).[2] Bay zufolge nimmt
der Wettkampf um Aufträge aus den iranischen Oel-Einkünften deutlich zu;
"(w)estliche Qualitätsarbeit" werde dort "zunehmend durch
Produkte aus Asien ersetzt", ängstigen sich die Berliner Exportlobbyisten.
"Die iranische
Staatsbahn fährt schon (!) mit chinesischen Lokomotiven", beklagt der
NuMOV-Vorsitzende Bay – als sei die Ausstattung mit Maschinen und technischen
Präzisionsgeräten eine weltweite Domäne der deutschen Industrie. Das
Lamento des Orient-Spezialisten kommt nicht von ungefähr: Bay ist zugleich
Geschäftsführer eines Unternehmens der Deutschen Bahn AG, das sich um die
internationale Konzernexpansion kümmert (DB Projektbau). "Einseitige,
wettbewerbsverzerrende Exportbeschränkungen" würden die Position deutscher
Unternehmen "mit Sicherheit" beschädigen, heißt es auch im Verband
Deutscher Maschinen- und Anlagenbau (VDMA).[3]
Fuß in der Tür
–
Im
Falle von Wirtschaftssanktionen fürchten deutsche Unternehmen nicht nur
langfristige Nachteile bei ihren Iran-Geschäften, sondern rechnen auch
damit, bei lukrativen Aufträgen im Infrastruktursektor und im Umfeld der Oel-
und Gasförderung nicht zum Zuge zu kommen.
–
Im Nordosten
des Iran winken umfangreiche Schienenprojekte (Instandsetzung von 500 Kilometer
Bahnstrecke), 1.000 Kilometer neue Schnellstraßen sollen bis zum Jahr 2010
gebaut werden.
–
In
der iranischen Chemiebranche geht es um Vorhaben in dreistelliger
Millionenhöhe, in die auch deutsche Unternehmen eingebunden sind. Wer sich in der Technologie- und Infrastrukturbranche aus dem Iran
zurückziehen müsse, bekomme dort "kaum wieder einen Fuß in die Tür",
warnt der Nah- und Mittelost-Verein.[4]
Krisengespräch
Angesichts des
anhaltenden US-Drucks, der Sanktionen immer wahrscheinlicher werden lässt,
kündigen deutsche Wirtschaftsverbände für Ende September ein Krisengespräch in
Berlin an. Interessierte
Exportunternehmer werden dort aus erster Hand Lageeinschätzungen über die
Entwicklung des Iran-Konflikts erhalten. Um den Firmenvertretern eine
angemessene Vorbereitung auf die bevorstehenden Auseinandersetzungen zu
ermöglichen, entsendet das Auswärtige Amt die Leiterin des Referates
"Mittlerer Osten, Maghreb, Sudan" sowie den Beauftragten für Nah- und
Mittelostpolitik zu dem Wirtschaftstreffen; aus dem Bundeswirtschaftsministerium
ist der Leiter des Referats V B 7 ("Nordafrika, Naher und Mittlerer
Osten") angekündigt.[5] "Die Veranstaltung ist nicht öffentlich,
Pressevertreter werden nicht zugegen sein" [6], heißt es über die
exklusiven Beratungen, bei denen auch die Zukunft staatlicher Garantien für
private Iran-Geschäfte zur Sprachen kommen wird.
Kriegsschäden
–
Wegen der politischen
Risiken erwägt Berlin, die anstehende Verlängerung staatlicher Garantien für
Iran-Exporte ("Hermes-Deckung") nicht durchzuführen. Dies könnte auch
Bundesgarantien für Direktinvestitionen betreffen, die seit 2003 nach einer
mehr als 20 Jahre andauernden Pause wieder gewährt
werden. Wie es in Paragraph vier der "Allgemeinen Bedingungen" für
staatliche Investitionsgarantien heißt, werden den privaten Garantienehmern
Schäden, die durch "Krieg oder sonstige bewaffnete
Auseinandersetzungen" entstanden sind, ersetzt.
–
Die
erwogene Garantie-Sperre deutet darauf hin, dass die Berliner Behörden mit
kriegerischen Operationen rechnen oder sie nicht länger ausschließen wollen.
–
Von
bewaffneten Auseinandersetzungen bedroht sind deutsche Direktinvestitionen in
Höhe von mehreren Hundert Millionen Euro. Allein im
Jahr 2003 brachten deutsche Unternehmen 58 Millionen US-Dollar in direkte
Iran-Geschäfte ein.
Pipeline
–
Hintergrund der Berliner
Bemühungen, Sanktionen gegen den Iran möglichst zu vermeiden, sind nicht nur
die Expansionsziele der deutschen Wirtschaft, sondern auch strategische
Ressourcenpläne.
–
Der Iran gehört neben den Ländern Nordafrikas
zu jenen Staaten, aus denen die Bundesregierung langfristig Erdgas beziehen
will, um die Rohstoffabhängigkeit von Moskau zu lockern; der Düsseldorfer
Energieriese Eon hat
bereits im vergangenen Jahr verlauten lassen, er habe Verhandlungen über
iranische Lieferungen aufgenommen.[7] Die entsprechende Logistik
ist in Vorbereitung: Teheran meldet, mit Ankara eine Übereinkunft über
den Erdgastransport nach Westeuropa abgeschlossen zu haben.[8] Diese
Ressourcenzufuhr bliebe versperrt, sollte es zu Repressionen gegen den Iran und
entsprechenden Abwehrreaktionen kommen.
Flügel
–
Die teils besorgten, teils dramatischen Bemühungen der
deutschen Wirtschaft, ihre Stellung im Mittleren Osten zu retten, laufen den
Interessen der amerikanischen Außenpolitik zuwider und markieren Bruchstellen
der euroatlantischen Allianz:
–
Nach
erheblichen Verlusten durch Zerstörungen im Irak, im Libanon und Palästina
droht Berlin die langfristige Schädigung seiner traditionellen Privilegien in
der arabischen Region, sollte auch Iran angegriffen werden.
–
Während
starke Unternehmenskräfte und ihre politischen Sprachrohre in FDP und CDU/CSU
vor weiteren militärischen Schritten im Nahen Osten warnen und die Entsendung der deutschen
Libanon-Truppen deswegen grundsätzlich in Frage stellen,
–
drängt
der euroatlantische Flügel des Auswärtigen Amtes auf Schulterschluss mit den
USA. Für diese Kreise stellt die Libanon-Intervention den Anfang einer
umfassenden Umwälzung dar, die auch den Iran erfassen soll – notfalls durch
Krieg.[9]
Weitere
Informationen zur deutschen Iran-Politik finden Sie hier: Zwei Feuer,
Gefährliches Dreieck, Drohkulisse, Ähnlichkeiten, Eingliederung, Falsche
Versprechungen, Imperial overstretch, Terroristische Maßnahmen, Faustpfand und
Interview mit Dr. Bahman Nirumand.
[1] Iran-Krise durch
Verhandlungen lösen!; Pressemitteilung des Deutschen Industrie- und
Handelskammertages (DIHK) 01.09.2006
[2] "Es gibt
zahllose Verstöße gegen Sanktionen"; Frankfurter Allgemeine Zeitung
01.09.2006
[3] Sanktionen gegen
Iran könnten 10 000 Arbeitsplätze kosten; Der Tagesspiegel 02.09.2006
[4] "Es gibt
zahllose Verstöße gegen Sanktionen"; Frankfurter Allgemeine Zeitung
01.09.2006
[5] Vorläufiges
Programm: Projektgruppe Iran, 27. September 2006, Haus der Deutschen Wirtschaft
[6] Projektgruppe
Iran: 27.09.2006 in Berlin; www.bdi-online.de
[7] s. dazu
Attraktiv und Terroristische Maßnahmen
[8] Erdgasleitung
Iran-Türkei geriet in Flammen; Iran-Report der Heinrich-Böll-Stiftung Nr.
09/2006
[9] s. dazu Schmutziger Trick