Sono passati due anni dall’invasione anglo-americana dell’Irak e poco meno dalla partecipazione italiana all’occupazione. Due anni, probabilmente oltre 100 mila morti, mezzo paese in rovina, e ancora massacri quotidiani, mentre la resistenza baathista-sunnita appare tutt’altro che domata e alimenta la guerra civile.
Dopo un decennio di sanzioni ONU pagate dalla popolazione civile (e che hanno permesso a Saddam, accoliti baathisti e amici occidentali, anche italiani, di arricchirsi scandalosamente con i traffici “oil-for-food”),
· oltre la metà dei lavoratori irakeni rimane disoccupata;
· l’elettricità e spesso l’acqua mancano per gran parte della giornata,
· centinaia di migliaia di profughi delle città bombardate sono senza una casa.
Non la civiltà, ma la barbarie hanno portato le truppe dei paesi imperialisti, Italia inclusa.Hanno strombazzato come risultato le “libere elezioni” tenute sotto la minaccia delle armi.
In questa situazione di sfacelo economico e sociale le elezioni hanno sancito la spaccatura del paese tra le borghesie sciita, sunnita e curda;
si è rafforzato il controllo sulle masse da parte del reazionario clero sciita e sunnita, che vuole tra l’altro sopprimere la parità di diritti per le donne.
E con un’altra ironia della storia hanno allungato l’ombra dell’influenza iraniana sull’Iraq.
E’ questa l’“esportazione della democrazia” con cui ora giustificano la sanguinosa guerra, il risultato di due anni di occupazione!
La vicenda della tragica liberazione della giornalista Giuliana Sgrena ha sortito un singolare clima di concordia nazionale e nazionalista tra i partiti parlamentari, dietro l’ostentata “fermezza” del presidente del Consiglio nei confronti degli alleati americani. “Tragico errore”, o attacco voluto: non lo sapremo forse mai, ma non è questo il punto.
La vera divisione non passa tra filo e anti-americani, ma tra filo e anti-imperialisti,
tra nazionalismo e internazionalismo.
Noi non siamo contro la spedizione militare in Irak perché antiamericani, ma perché anti-imperialisti, perché ci opponiamo innanzitutto al nostro imperialismo, all’imperialismo italiano potenza occupante in Iraq nella prospettiva di partecipare alla spartizione delle risorse e dell’influenza nel Golfo.
Solo lottando contro il proprio imperialismo è possibile dar voce anche in Irak a coloro che si battono sia contro l’occupazione straniera che contro ogni altra forma di oppressione, di classe ed etnico-religiosa.
L’alternativa non è il mutamento di alleanze dell’Italia (non sarebbe la prima volta!), “alla spagnola”, verso l’asse franco-tedesco, perché un blocco europeo sarebbe non meno imperialista e sanguinario – come la storia ha già dimostrato.
L’alternativa non passa per l’ONU, assemblea dei briganti imperialisti, che può solo intervenire quando questi si sono accordati per la spartizione del bottino.
L’unica vera alternativa è l’internazionalismo proletario, l’unione dei lavoratori di tutto il mondo per rovesciare il sistema capitalistico e liberare la società dallo sfruttamento e dall’oppressione di classe, che sono all’origine delle politiche imperialistiche.
Questa lunga battaglia comincia qui con la nostra mobilitazione