«Dopo Abu Ghraib le torture continuano»

Iraq, Diritti Umani

CORRIERE Mar. 7/3/2006  
Michele Farina

La forza multinazionale accusata di «chiudere gli occhi o
di essere complice». «Migliaia di persone recluse senza processo»

Rapporto di Amnesty
International sulle prigioni irachene: «Elettrochoc e frustate»


«Dopo lo scandalo di Abu
Ghraib la forza multinazionale – e gli Stati Uniti in particolare – promisero
di salvaguardare i detenuti iracheni». E invece «torture e maltrattamenti
continuano». È la denuncia dell’ultimo dossier di Amnesty International
sull’Iraq
. «Oltre
Abu Ghraib» (questo il titolo del rapporto) c’è (quasi) la stessa Abu Ghraib.
La lezione, dice Amnesty, non è servita. Due anni dopo le inchieste sui prigionieri
fotografati al guinzaglio, umiliati e picchiati da soldati americani,
l’organizzazione non governativa forse più famosa al mondo parla di carcerati
frustati con cavi di plastica, sottoposti a elettrochoc, costretti in piedi in
celle allagate dove passa la corrente elettrica. Amnesty – sulla base dei
racconti di detenuti e familiari – riconosce che molti degli abusi (impuniti)
avvengono nei centri della polizia irachena. Ma spesso «sotto gli occhi della
Forza Multinazionale (Mnf)», accusata di essere «negligente se non complice»
.

I comandi Usa ricordano che 54 militari sono stati giudicati per
maltrattamenti. Amnesty avanza dubbi sull’imparzialità di certe sentenze
.
La più recente riguarda l’ufficiale Lewis E. Welshofer, responsabile degli
interrogatori in una base vicino a Bagdad. Nell’autunno 2003 fece morire un ex
generale di Saddam che non voleva collaborare. Gli applicò il «metodo sacco a
pelo», fresco brevetto di un suo collaboratore. Lo ha spiegato un soldato che
fu testimone. Si fa sdraiare il prigioniero nel sacco, di testa, in modo da
rendergli difficile la respirazione. Non solo: Welshofer si sedette sul petto
del generale Mawoush, 57 anni, gli mise la mano sul volto. Il generale ebbe un
collasso e morì. L’ufficiale Usa è stato condannato un mese fa: seimila dollari
di multa e 60 giorni da passare tra casa, base e chiesa. E’ andata meglio a un
tenente che buttò giù dal ponte un iracheno 19enne a Samarra. La sentenza
datata 2005: 45 giorni di isolamento.
È questa la lezione di Abu Ghraib? Sorprende che un generale Usa abbia appena
definito la prigione di Bagdad «una scuola» di insurrezione? Amnesty accusa la
forza multinazionale di detenzioni arbitrarie «che violano i diritti umani». Migliaia
di iracheni incarcerati dal marzo 2003 senza processo. I comandi Usa replicano
che lo status dei prigionieri
(ce ne sarebbero 14mila nei quattro campi
sotto il controllo della Mnf) è rivisto ogni 90-120 giorni. Non basta,
dice Amnesty: le procedure in atto «ledono i diritti umani» dei detenuti, anche
se si tratta di «security detainees», sospetti terroristi e guerriglieri, non
«criminali comuni». Anche se una volta in libertà potrebbero riprendere il loro
posto nei gruppi armati che – riconosce Amnesty all’inizio del rapporto – sono
responsabili di molte delle violenze perpetrate in Iraq. Il bilancio di ieri:
16 morti, sei autobombe solo a Bagdad, una al mercato di Baquba, sei vittime
tra cui due bambini.
Anche se, anzi proprio perché l’Iraq ogni sera fa zapping su un palinsesto di
sangue, «oltre Abu Ghraib» non ci può essere ancora Abu Ghraib. I diritti umani
non sono un optional, un’invenzione da brevettare come «il metodo del sacco a
pelo».

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