Dignità di classe in Turchia

Lo scorso 16 giugno i lavoratori dei cantieri navali in Turchia hanno scioperato per un giorno.

Lo sciopero è stato indetto dal ‘Limter-İş’, il sindacato più rappresentativo della categoria, e dal Consiglio dei lavoratori dei cantieri navali per protestare contro le estenuanti condizioni lavorative e per la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Nei cantieri navali del distretto urbano di Tuzla, a Istanbul solo nei 9 mesi scorsi sono deceduti 21 lavoratori a causa di incidenti sul lavoro. Dal 1992 a oggi, si contano 97 morti. Se si va ancora più indietro, dal 1985, i morti salgono a 178. Il giornale ‘Zaman’ afferma che la maggior parte degli incidenti mortali è dovuta a folgorazioni da corrente elettrica e a cadute dalle piattaforme.
L’ultimo operaio che ha perso la vita mentre lavorava aveva 35 anni. Ihsan Turan, lavorava nei cantieri navali della ‘Selahattin Asian’.

Durante lo sciopero, centinaia di lavoratori hanno manifestato fuori dei cantieri navali di Tuzla con cortei e presidi assieme a diverse migliaia di altri lavoratori e organizzazioni politiche.

La Turchia ha complessivamente 62 cantieri navali, 56 dei quali sono privati. 4 cantieri navali appartengono alle Forze Armate turche (TSK) e due sono di proprietà dello Stato.

48 sono localizzati nell’area di Tuzla mentre 41 fanno parte dell’ Unione degli armatori industriali (GISBIR).

Tra le cause delle continue morti sul lavoro vi sono le condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti gli operai che lavorano spesso a una media di 13-14 ore al giorno. A questo si aggiunge la precaria condizione lavorativa legata alla forte presenza di società in subappalto:

da un resoconto di una commissione parlamentare sugli incidenti nei cantieri navali, infatti si è appreso (anche se la cosa era già arcinota ai lavoratori) che la maggiorparte degli incidenti si verifica proprio nei cantieri navali gestiti da società in subappalto.

Sempre secondo il rapporto, in Tuzla ci sono più di 550 società che lavorano in subappalto, i lavoratori che dipendono direttamente dai cantieri navali sono solo 3.883 contro i 18.042 che sono impiegati tramite imprese in subappalto.

Oltre ad essere tra le principali cause della mancanza di sicurezza, la presenza di così tante imprese esterne, è un ostacolo all’organizzazione dei lavoratori che sono così più frammentati e dispersi, in un’area quella dei cantieri navali di Tuzla, nella quella lavorano complessivamente 45.000 persone.

Come di consueto, constatata l’ennesima morte di un operaio, il governo e le istituzioni si sono lanciate nei soliti sermoni sulla sicurezza non rispettata, sul rispetto della legalità e affrettandosi a garantire provvedimenti urgenti.

Può essere che lo sciopero possa aver contribuito a favorire da parte del governo, delle misure più efficaci riguardo la sicurezza, ma non è la prima volta che il governo promette interventi ‘decisivi’ sulla sicurezza nei cantieri navali e sappiamo come vanno queste cose anche in Italia.

Un sindacalista del ‘Limter İş’ ha indicato l’unico modo per arrestare le continue morti sul lavoro a Tuzla: ispezioni continue che sorveglino le reali condizioni di sicurezza e la chiusura di alcuni cantieri, quelli più pericolosi.

Mentre continua a salire il numero di incidenti mortali i profitti aumentano. Molti cantieri navali sono stati prenotati per nuovi ordini fino al 2020. La Turchia è uno dei più grandi (e in espansione) produttori di navi al mondo. L’export derivante della cantieristica turca ha raggiunto i 2 miliardi di dollari nel 2007; l’anno precedente era stato pari a 1,4 miliardi.

Gli operai in Turchia fronteggiano tremende repressioni in risposta alla rivendicazione di diritti basilari: da quello della sicurezza nei luoghi di lavoro, a quello di un salario adeguato a un minimo tenore di vita.

I lavoratori più combattivi sono colpiti da arresti, sospensioni e licenziamenti.

Le manifestazioni che fanno emergere un forte contenuto di classe sono quasi sempre colpite da arresti e persecuzioni e finiscono spesso in scontri con le forze dell’ordine. Nelle manifestazioni dello scorso primo maggio a Istanbul, ci sono stati centinaia di arresti.

Gli stessi lavoratori di Tuzla che hanno protestato il 16 giugno, provenivano da altri due giorni di sciopero indetto nello scorso febbraio (in un solo mese erano avvenuti 5 incidenti mortali); durante lo sciopero 70 lavoratori vennero arrestati, nel disinteresse quasi totale dei media.

Non solo, la polizia nell’occasione ha confiscato anche tutte le proprietà del ‘Limter İş’ e ne ha arrestato i delegati sindacali. Ciononostante i lavoratori hanno ritrovato la forza e il coraggio di riprendere la lotta.

Salutiamo la lotta dei lavoratori dei cantieri di Tuzla, punto di riferimento per gli operai turchi ed esempio anche per i lavoratori italiani. Anche le migliori leggi non fermeranno le stragi sul lavoro se non vi è la continua mobilitazione e vigilanza dei lavoratori organizzati.

La repressione dello Stato non può abolire la lotta dei lavoratori, ma ricorda loro che nessuna conquista è definitiva e ogni difesa può essere solo parziale fino a che il potere è nelle mani del capitale.

lp

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