I risultati delle elezioni olandesi hanno fatto esultare o tirare un sospiro di sollievo agli euroentusiasti. Uno dei nodi di queste elezioni era infatti la eventuale Nexit (= uscita dall’Europa), l’altro è stato l’utilizzo di temi xenofobi per rastrellare il voto sia della piccola e media borghesia che di strati di lavoratori. Il terzo nodo, cioè la dispersione dei voti su almeno 6 partiti importanti è imprescindibile, dato il proporzionale puro in vigore in Olanda (nota 1). Ma è cambiata la graduatoria di questi partiti, segnalando che corposi settori della borghesia olandese sono in cerca di nuovi interpreti e nuove politiche. Per ora l’euroscetticismo, di destra o di sinistra non è una scelta preponderante della borghesia olandese (anche se alcuni dati strutturali lo rendono un’opzione possibile in futuro), ma molti partiti hanno accettato, come in Francia, la contesa sul terreno della xenofobia, considerandola pagante. Mentre consideriamo il si/no all’Europa un tema da studiare, ma interno allo scontro fra frazioni borghesi, sappiamo che le campagne anti-immigrati sono un classico e storico metodo per dividere i lavoratori, non solo sul piano elettorale, illudendoli di trovare così una difesa contro i guasti della crisi.
E’ questo il nostro terreno di campagna politica.
La lezione del voto olandese
Queste elezioni confermano i limiti del pregiudizio radical chic secondo cui il populismo è frutto di ignoranza: molti giornali hanno scritto che il PVV viene votato in prevalenza dai pensionati e dagli elettori meno istruiti, che non capiscono le alte ragioni strategiche del rimanere in Europa e che sono razzisti perché appunto sono ignoranti. In realtà lo votano e lo finanziano largamente strati borghesi per ora non maggioritari, i cui interessi sono danneggiati dall’appartenenza europea. Molti lavoratori e pensionati in precedenza delegavano la propria difesa ai laburisti del PvdA, che, da partner di minoranza del precedente governo, li hanno traditi condividendo le drastiche misure di austerity che hanno taglieggiato salari, pensioni e welfare. La situazione sociale di maggiore povertà e precarietà è stata determinante, lavoratori e pensionati volevano punire il governo per le dure misure che hanno colpito i loro redditi e i loro diritti. Non essendoci una organizzazione che desse sbocco concreto ai problemi attraverso lotte sindacali e politiche, la soluzione è stata cercata in parte anche nel voto al PVV che ha dirottato il malcontento contro gli immigrati. I laburisti ne sono usciti con le ossa rotte (-29 seggi). Usati per far passare i tagli utili al capitale, oggi non servono più neanche ai padroni del vapore per tenere sotto controllo la classe. L’ex premier Rutte, del VVP, coerentemente alla sua base elettorale, ha cavalcato anche lui la xenofobia, in particolare nel periodo pre-elettorale si è scontrato duramente con la Turchia (di cui Wilders chiedeva l’espulsione dalla Nato), e così ha ridotto le perdite (-8 seggi), conservando la prima posizione.
Anche sul piano dei valori il PvdA non ha saputo o voluto far argine al razzismo. Che si potesse, lo dimostra il successo di Jesse Klaver di Sinistra Verde (GL) che ha guadagnato 10 seggi. Figlio di un marocchino e di una indonesiana, ha convinto molti giovani, prima astensionisti, a votare, grazie al suo progetto di creazione di lavori sovvenzionati dallo stato, ma anche non facendo concessioni alla xenofobia, insistendo molto sui principi e sui valori. Il suo programma è del tutto interclassista (nota 2), del tutto compatibile a una futura collaborazione di governo borghese, ma il suo successo dimostra che anche in Olanda c’è uno spazio per una politica di classe, c’è un terreno fertile fra i giovani, se ci fosse una organizzazione che vuole porsi dal punto di vista degli interessi di classe dei lavoratori, interessi che proprio per i giovani sono pesantemente intaccati.
Le sirene xenofobe e lo sfruttamento dei lavoratori
I valori che un Wilders o un Rutte fanno passare sono invece quelli di identità nazionale e di patria, patria che deve recuperare la sua libertà di scelta, che deve difendere gli onesti cittadini di puro sangue olandese dalle orde di islamici e slavi che minacciano la loro cultura, i loro posti di lavoro e il loro welfare. Wilders ha usato in modo parossistico questi temi (nota 3).
Molti radical chic esprimono il loro sconvolgimento su come sia possibile la diffusione del populismo in un paese che ha una tradizione di tolleranza e libertarismo come l’Olanda, una paese dove i redditi sono alti, la performance economica buona, la disoccupazione bassa e il welfare estremamente generoso (nota 4).
Ma non è oro tutto quello che luccica. Fino al 2013 gli interessi per i mutui delle case erano fiscalmente detraibili per intero, c’è stato un boom immobiliare, quando una nuova legge ha tolto queste agevolazioni, i prezzi delle case sono crollati del 25%, caricando di crediti inesigibili le banche, bloccando l’edilizia e creando disoccupazione e perdite pesanti per le famiglie coinvolte.
Un segnale delle difficoltà economiche delle famiglie viene dal calo dei versamenti ai fondi pensione (anzi molte famiglie di lavoratori stanno consumando i risparmi accantonati per la vecchiaia). Un altro segnale è il diffondersi delle “Voedselbanken”, le banche del cibo, centri di redistribuzione gratuita di alimenti per le persone meno abbienti, gestiti da associazioni di volontariato. Sono 435 in tutta l’Olanda, più numerose dei McDonalds. Nel 2014 è stata varata la legge che rende più facili i licenziamenti; se l’effetto non è stato dirompente è solo perché i contratti a tempo indeterminato riguardano solo il 34% del totale dei lavoratori dipendenti (dati Eurostat). Il 15% dei dipendenti risulta come ZZP (nota 5), una variante olandese delle nostre finte partite IVA, molto utili a mascherare il reale tasso di disoccupazione. Il 20% hanno contratti a termine, che hanno protezioni sociali molto ridotte rispetto al tempo indeterminato. Il resto sono part-time (12%) o lavori a chiamata.
Sono stati ridotti sia i benefici nel periodo di disoccupazione, col pretesto che “disincentivavano lo spirito imprenditoriale”, cioè la trasformazione del lavoratore in ZZP, ma anche molte cure mediche e sussidi scolastici sono stati ridimensionati, Non c’è da stupirsi che i lavoratori si sentano insicuri e minacciati.
Ma perché è stato così facile trasformare gli immigrati nei capri espiatori?
La risposta può in parte venire dalla storia dell’immigrazione in Olanda. Nel secondo dopoguerra molti immigrati arrivarono, incoraggiati da un paese affamato di manodopera a basso costo (italiani, spagnoli, turchi, marocchini, antillani), che furono incoraggiati a mantenere la propria cultura, a crearsi comunità autonome, di fatto ad auto-ghettizzarsi. La cittadinanza venne concessa con facilità. Negli anni ’90 arrivarono gli immigrati est europei. Si riteneva che scuola e lavoro, nel tempo fossero sufficienti all’integrazione. Solo dal ’97 l’apprendimento dell’olandese è diventato obbligatorio. Nel 2000 è iniziata la stretta restrittiva per concedere la cittadinanza, i ricongiungimenti e l’asilo. E’ in quel periodo che nascono le prime forme di intolleranza all’immigrato (nota 6), ma anche che si diventa consapevoli della non integrazione dei numerosi immigrati di seconda e terza generazione, che spesso vivono nel mito del ritorno, si vedono discriminati nel lavoro e restano comunque degli “alloctoni”. Le comunità islamiche in qualche caso si radicalizzano. La crisi del 2009 fa esplodere le contraddizioni: tra gli immigrati la disoccupazione è tre volte maggiore rispetto ai nativi. Il loro peso fra i fruitori del welfare si è accresciuto. Nel 2017 il 21,9% della popolazione olandese (1 su 5) ha uno o due genitori o nonni nati all’estero (nota 7). Ad Amsterdam, Rotterdam, o The Hague la percentuale è del fra il 33 e il 50% . Gli olandesi si sentono “stranieri” e minacciati in casa propria.
Gli stranieri che da più lungo tempo risiedono nel paese, si sentono comunque discriminati.
Le ultime elezioni hanno visto una risposta al “nativismo” del PVV che esce dagli stessi cittadini di origine immigrata: il partito DENK fondato nel 2014 da due membri del Labor di origine turca, che osservando il ruolo “decorativo” che gli immigrati ricoprono anche nei partiti pro-integrazione, hanno deciso di “uscire dalla minorità politica in cui sono tenuti”. DENK ha messo al posto della parola “integrazione” “il termine accettazione” e mira a rappresentare il milione di cittadini di origine immigrata, fra cui le comunità maggiori sono marocchini e turchi. Il rischio è che questo faccia ancora una volta il gioco di chi vuole esaltare la contrapposizione fra lavoratori olandesi e lavoratori immigrati (nota 8).
Le elezioni olandesi sono per noi particolarmente istruttive perché dimostrano quanto sia urgente ricomporre le file dei lavoratori, autoctoni e alloctoni, nell’obiettivo di difendere i loro diritti, non può essere la società capitalistica a superare il razzismo perché i percettori di profitto esaltano le differenze, discriminano perché questo è il modo migliore per conservare il controllo. Battere questa deriva non è compito facile, ma è dovuto.
La consistenza dell’opzione euroscettica
Alla fine fra i partiti risultati più votati solo 2 erano apertamente euroscettici, cioè il PVV e lo SP, ma con tematiche completamente diverse: lo SP perché attribuisce all’Europa la responsabilità delle misure di austerity tenuta dal governo Rutte, l’altro perché ritiene l’Europa un laccio rispetto all’indipendenza nazionale.
Lo SP ha perso un seggio, mentre il PVV ne ha conquistato 5, diventando il secondo partito, ma comunque solo col 13% dei voti. Un risultato non clamoroso (nota 9) ma nemmeno la debacle di cui ciancia la stampa filoeuropeista. Di fatto il “pericolo Wilders” è stato aumentato da exit pol e stampa, per condizionare l’elettorato che è andato a votare di più (l’80,2%, +5% sulle elezioni del 2012 ) per scongiurare la sua vittoria. Si è rivelato come Wilders sia largamente finanziato dalla destra americana e israeliana. Ma è ovvio che la Germania avrà dato una mano agli europeisti, come è avvenuto in Austria.
A livello interno il PVV è appoggiato da quegli esportatori che sono penalizzati dalle sanzioni alla Russia e a nome dei quali Wilders come Salvini chiede di riprendere i buoni rapporti con Putin (l’Olanda soffre di un grave deficit commerciale con la Russia e le sanzioni aggravano lo squilibrio nella bilancia commerciale). Ma anche dagli imprenditori contrari alle misure ecologiche (Wilder ha copiato Trump chiedendo di abrogare la tassa sulle emissioni di diossido di carbonio). Ma il grosso del fronte antieuropeo viene da chi, nell’industria nel commercio e nella finanza, considera l’uscita dall’Europa una opportunità perché sono proiettati verso i mercati delle grandi economie emergenti, soprattutto in Asia (dove l’Olanda è presente dall’epoca coloniale). Molti settori industriali e finanziari sono perfettamente in grado di affrontare la competizione globale, senza i lacci imposti da Bruxelles. Il paese ha un PIL che cresce sempre di più della media europea, ha uno dei tassi di produttività del lavoro più alti; è la 5a economia più competitiva del mondo (World Economic Fornmj um’s Global Competitiveness Report). Se poi si guarda ai flussi di capitali, l’economia olandese è fra le più globalizzate, non solo per le sue numerose multinazionali (Royal Dutch Shell, Unilever ma anche Heineken, Ahold, Philips, TomTom, Unilever, Randstad and ING). L’Olanda, secondo il CIA World Fact Book è il paese del mondo che opera il più alto numero di investimenti diretti all’estero (un quinto dei quali da capitali olandesi, il resto da società di altri paesi che utilizzano l’Olanda come loro hub per gli investimenti e vi hanno posto una loro sede legale, grazie agli sgravi fiscali). Gli interessi di questi settori si scontrano spesso con le norme europee. E con la Brexit l’Olanda perde un alleato prezioso, con cui sono condivise multinazionali come Royal Dutch Shell e Unilever, con cui si è strettamente collaborato per penetrare nei mercati extreaeuropei e con cui si faceva asse contro Bruxelles.
A fronte di questo però c’è il fatto che il 70% dell’interscambio olandese è con l’Europa e che il primo importatore/esportatore è la Germania. Inoltre una Nexit sarebbe anche più complessa della Brexit, perché si uscirebbe dal mercato europeo, ma anche dall’Euro. Quindi per ora la maggior parte dei voti e dei sostegni economici vanno ai partiti euoropeisti.
Nota 1: Alle elezioni si sono presentati 30 partiti, solo 14 hanno conquistato almeno un seggio. La Camera olandese ha 150 seggi, perciò ne occorrono 76 per governare. Negli ultimi 20 anni la formazione dei governi è sempre passata per trattative complesse che hanno riguardato 4 o più partiti.
Nota 2: Groen Links (GL), nato 23 anni fa dalla fusione di quattro partiti politici: i comunisti, i socialisti pacifisti, i radicali e gli evangelici, ha nel suo programma i classici obiettivi liberal come legalizzazione delle droghe leggere, della prostituzione, dell’eutanasia e del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il suo leader Jesse Feras Klaver, esempio di un immigrato di seconda generazione di successo, è ovviamente favorevole al multiculturalismo. Euroentusiasta, favorevole a una Europa a due velocità, è attento ai problemi di competitività dell’economia, ma declinata con una certa sensibilità ai problemi sociali.
Il successo dei Verdi è dovuto anche a circostanze recenti. L’Olanda è uno dei paesi europei con minor presenza di produzione di energia rinnovabile, anche perché ha significative riserve di gas naturale. Ma nel 2014-15 il governo ha dovuto far fronte ai problemi che l’estrazione del gas sta provocando alla stabilità del terreno, con scosse e abbassamento del livello del terreno, che hanno causato grossi danni agli edifici.
Nota 3: Wilders chiedeva di chiudere i centri di accoglienza per i richiedenti asilo e di de-islamizzare la società olandese chiudendo le moschee, vietando il possesso del Corano – che è paragonato al Mein Kampf di Hitler – ed impedendo alle donne musulmane di indossare il velo. Il PVV chiede che ci vogliano dieci anni di residenza e contributi per accedere al welfare state, di non finanziare i programmi di integrazione. Nel mirino le comunità più numerose come marocchini e turchi, ma anche gli immigrati dell’Est Europa come polacchi rumeni e moldavi e infine i cittadini olandesi originari delle Antille.
Nota 4: Il pil pro capite a parità di potere d’acquisto nel 2015 era di 49.166 $ (in Italia di 35.708). Il PIL è cresciuto del 2,1% nel 2016, la previsione è di un +2,3 per il 2017, il terzo PIL pro capite più alto dell’Eurozona. Il sussidio di disoccupazione fino al 2014 corrispondeva al 70% dell’ultima retribuzione per 3 anni, con contributi versati per 26 mesi.
La disoccupazione nel 2012, prima della bolla immobiliare era del 5,4% è salita al 6,8% nel 2015, adesso è in lieve decrescita.
Nota 5: ZZP è l’acronimo di “Zelfstandigen zonder personeel” (“Lavoratore autonomo senza dipendenti”).
Nota 6: ricordiamo le posizioni del liberale Bolkestein, che nel 1991 sostenne l’incompatibilità tra islam e valori occidentali. O Pim Fortuyn, che nel 2001 sostenne che i mussulmani devono essere trattati come i Comunisti nel corso della Guerra Fredda. Pim fu ucciso l’anno successivo da un fanatico ambientalista. Il suo partito prese un terzo dei voti a Rotterdam.
Nota 7: Nell’ultimo censimento i nativi olandesi sono risultati essere il 79,1% (13,2 milioni). Cittadini di origine europea o nordamericana sono il 9,3%, circa 1,6 milioni (polacchi, bulgari e rumeni sono in tutto lo 0,8% della popolazione, non proprio una invasione). Gli altri sono l’11,6 (circa 2 milioni) e fra di essi le comunità maggiori sono indonesiani (2,5%) turchi (2,3%) marocchini 2,2% surinamesi (2,1%). Queste 4 comunità contano 1,5 milioni di persone e la dinamica demografica tende a aumentare percentualmente il loro peso. A Rotterdam nelle scuole elementari e medie circa due bambini su tre sono immigrati o figli di immigrati..
Nota 8: DENK, fra le altre cose, ha chiesto ufficialmente di creare un museo della schiavitù e di eliminare dalle feste natalizie Zwarte Piet (Piero il nero). Zwarte Piet è l’aiutante di Babbo Natale, ha la carnagione scura e i capelli crespi ed è vestito da paggetto. Le persone di colore lo vivono come uno stereotipo razzista, mentre per gli olandesi è una tradizione innocua.
Nota 9: La serie storica dei risultati del PVV danno 9 seggi nel 2006 (con il 5,9% dei voti ), 24 seggi nel 2010 col 15,5% dei voti (il PVV aveva accolto una minoranza di transfughi dal partito CDA, entrò nel governo di coalizione con Rutte, ma poi fece cadere il governo stesso), 15 seggi nel 2012 con il 10,1% dei voti. Nel 2012 votarono per il PVV 1 milione e 435mila elettori. Nel 2017 avrebbero votato 1 milione e 350 mila circa.