Dalla Prima alla Terza repubblica filo arabi, ma senza il "fazzolettone"

FILIPPO CECCARELLI

Il rapporto di sintonia dell´Italia con i paesi islamici
parte da Mussolini e arriva fino a D´Alema

L´Eni di Mattei e la "caccia al petrolio",
Craxi che paragona Abu Abbas a Mazzini
La Fiat e l´amicizia con Gheddafi, i rapporti tra Mediaset e il principe al
Walid

L’amicizia coi paesi arabi, spinta dagli interessi
petroliferi e dalle necessità di buon vicinato,  è sempre stata una caratteristica italiana.

Non hanno mai avuto bisogno
di indossare la kefiah, i campioni filo-palestinesi della Prima, della Seconda
e della Terza Repubblica
. Non ne
hanno mai avuto bisogno, alcuni, perché allora non usava; altri perché
detestavano le mascherate; e altri ancora, la maggior parte, perché ostentare
quel fazzolettone non gli conveniva. Né tuttora gli conviene, e infatti se hanno
la kefiah, se la tengono nel cassetto. Ma allungando il tavolo della storia, l´amicizia
italiana per il mondo arabo comincia con la spada dell´Islam brandita da
Mussolini e arriva alle convenienti partnership del produttore Tarek Ben Ammar,
amico e socio di Berlusconi, amico e socio di Ettore Bernabei nella fiction
sacra. In mezzo, nell´arco di mezzo secolo, c´è di tutto e ce n´è per tutti
.
Le «squillo da un milione» (1961) noleggiate dall´Eni per sollazzare a
Roma gli sceicchi del petrolio e le preghiere che Giorgio La Pira innalzava
con i fratelli magrebini
al Dio del monoteismo. C´erano gli interessi
strategici che l´Urss proiettava sul Pci,
ma anche i quattrini del conto
All Iberian che dalle cassaforti berlusconiane, via Craxi, arrivarono all´Olp

quando l´Urss non esisteva più. E se la Fiat, nel decennio precedente, arrivò
a vendere un pezzetto di se stessa alla Libia
, ciò che conta è che poi se
lo ricomprò restando in buoni rapporti con un tipetto come Gheddafi. Ancora.
C´è Gronchi che riceve al Quirinale il Fronte di liberazione algerino. E
Leone che fa salamelecchi ai monarchi sauditi
C´è Andreotti che alla
metà degli anni Settanta tratta pure con il «fronte del rifiuto», Siria e Iraq
,
vola da Assad, da Saddam Hussein, e in un colloquio con gli israeliani si
concede la teologica malizia di citargli l´Antico Testamento in senso
pacifista. E poi Craxi: strano destino. Perché in realtà Bettino
nasce fiero amico di Israele
, purtroppo accusato dai dietrologi comunisti
di commerciare in pompelmi Jaffa. Ma poi si rivela il più filo-arabo di
tutti: l´Achille Lauro, Abu Abbas paragonato a Mazzini, l´esilio sotto la
protezione di Ben Alì, Arafat che gli offre il passaporto
. E dalla leggenda
dei pompelmi si passa a quella di due dromedari regalati all´ospedale San
Raffaele. Quante storie, quanti misteri. Nei primi anni Ottanta i
bersaglieri sbarcarono in Libano. Missione perfetta, nemmeno un´autobomba:
erano tutte per gli inglesi e i francesi
. Italiani così brava gente da
trasformare un simpatico scugnizzo palestinese, Mustafà, nella mascotte delle
truppe del generale Angioni. Invitato in Italia, Mustafà fu ricevuto
addirittura da Pertini e da Craxi (indimenticabile il poetico comunicato stampa
forgiato da Antonio Ghirelli). Solo in seguito si comprese che dietro al
successo di quella missione c´era il mitico capocentro del Sismi a Beirut,
Giovannone
. Questi era, secondo Andreotti, «un pacioccone molto esperto e
capace». In nome dell´interesse nazionale il colonnello avrebbe fatto
accordi anche con il diavolo, e c´è qualche ragione di pensare che ne fece
.
D´altra parte fra estremisti Olp, Settembre Nero, Al Fatah, Brigate Arabe
Rivoluzionarie, Fratelli Musulmani, Hezbollah, Sciti, Sunniti, Falangisti, non
aveva che l´imbarazzo della scelta. Conosceva i rischi. Sempre Andreotti ha
raccontato di quando, tirando fuori di tasca un fazzoletto per soffiarsi il
naso, a Giovannone cadde in terra un revolver. E mai Cossiga riuscì a
strappargli nulla sui patti che Moro aveva chiuso con l´infuocata galassia
islamica
. Giusto a Moro i brigatisti chiesero conto delle specialissime
relazioni esistenti fra i governi dc e la guerriglia palestinese: «Data la
complessità e minuziosità degli avvenimenti – rispose il povero Moro dalla
"prigione del popolo" – non ne è possibile, e tanto meno a memoria,
una ricostruzione compiuta». Ma in fondo basta dare un´occhiata alla cartina
geografica: «Siamo un paese mediterraneo – ha scritto Andreotti – e dobbiamo
cercare di avere comprensione per i nostri vicini». Questa vicinanza, secondo
l´ex direttore del Sismi ammiraglio Martini, ha inesorabilmente portato
l´Italia ad avere a lungo sul Medio Oriente «un comportamento, diciamo così,
ecumenico»
. Laddove la chiave semantica ed esplicativa sta tutta in quel
«diciamo così». E dunque in una sostanziale ambiguità. Un menage, si disse
anche, che prevedeva «la moglie americana e l´amica araba». Una vera e
propria politica estera parallela, gestita per lo più da aziende e servizi
segreti
, che Rino Formica, di cui è noto il gusto delle sintesi, si
è provato a contabilizzare: «Un terzo Helsinki, ossia neutralità; un terzo
Vaticano; e un terzo Tangeri». Perché poi questa politica, questa amicizia,
questo acrobatico e insieme strisciante filo-arabismo trova il limite
nell´eterna sua tentazione: i casi e le necessità della geopolitica, i divieti
e gli incoraggiamenti d´oltre Atlantico, il business petrolifero e il ricatto
terroristico
. Sia come sia, a tutto questo l´anti-colonialista Mattei diede
ali e turbine, La Pira afflato mistico, Fanfani impulso diplomatico, Moro
visione strategica, Andreotti ancoraggio astuto e dinamico, i comunisti motore
internazionalista, Craxi il cuore, la disperazione, forse la vita stessa. E se
pure molto è cambiato dopo l´11 settembre, la storia non sembra ancora finita.
Così prima della guerra Formigoni offre i carciofi a Tarek Aziz
(e rischia
di sporcarsi nella storia "oil for food"); Prodi s´imbarca nella
più ardita mediazione; D´Alema adotta a distanza bimbi palestinesi; e
Berlusconi, addirittura, fa ricevere a Palazzo Chigi il principe saudita Al
Walid dai lancieri di Montebello
. I veri potenti, in Italia, lasciano
volentieri sfoggiare la kefiah ai giovani del fu movimento no global. Ma la
tengono nel cassetto, nascosta o magari confusa tra i panni buoni e le
tovaglie, fin da quando Zapatero non era nemmeno nato.

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