Da Copenaghen in missione al Cairo così è stata creata la rivolta islamica

Dietro
alla crisi c´è il viaggio di due predicatori per diffondere il dossier
"Difendere Maometto"
COPENAGHEN
– La benzina era lì, pronta a bruciare. Gli uomini che hanno appiccato
l´incendio sono partiti da Copenaghen un pomeriggio di dicembre, direzione Il
Cairo. Con loro avevano un dossier dal titolo: «Difendere Maometto».
Per capire come la spaventosa escalation di questi giorni sia potuta scatenarsi
dalla Danimarca, una pacifica e tranquilla monarchia costituzionale di cinque
milioni di abitanti, bisogna seguire il viaggio che ha compiuto la delegazione
di musulmani guidata da Ahmed Abdel Rahman Abu Laban l´11 dicembre scorso.
L´imam della moschea Waqfs è una vecchia conoscenza dei servizi segreti
occidentali, militante dei Fratelli Musulmani e collaboratore di quel Talaat Fouad
Kassim che ha orchestrato attentati contro i turisti in Egitto.
Con lui, quel giorno, parte anche Ahmed Akkari, un giovane predicatore di
origine libanese, rappresentante della Islamisk Tromsafund, l´organizzazione
dei musulmani danesi. Per anni, Abu Laban e Akkari sono stati interlocutori
privilegiati del governo per l´integrazione della comunità. Poi qualcosa si è
rotto
. «Quelle vignette sono state un passo falso imperdonabile», racconta
adesso Akkari, che si ostina ad incolpare il governo danese per quella
pubblicazione, come se l´indipendenza del Jillands-Posten, storico giornale
della destra conservatrice, non esistesse. In realtà, la rabbia dei
musulmani covava da tempo, dall´elezione nel 2001 di una maggioranza liberale
che si è alleata con un gruppo di estrema destra, il Partito popolare danese
.Pochi giorni dopo la pubblicazione delle caricature, l´Islamisk Trosamfund
presenta una denuncia contro il quotidiano per blasfemia. La denuncia viene
respinta dal tribunale. Si muovono i canali diplomatici. Gli ambasciatori di
undici paesi musulmani, tra cui Egitto, Turchia, Pakistan, Iran, Indonesia,
mandano una lettera a Rasmussen chiedendo «sanzioni» contro il Jillands-Posten.
Il premier risponde a sua volta. In Danimarca non funziona così: un giornale è
libero di pubblicare ciò che vuole, dice in sostanza il capo del governo.
Ricorda Akkari: «Ci siamo trovati a un punto morto. Come potevano accettare di
essere umiliati e calpestati nei nostri valori?». Secondo il
Jillands-Posten, i capi religiosi danesi aspettavano da tempo un´occasione per
prendere la ribalta. In un contesto internazionale favorevole allo
"scontro di civiltà", ecco dunque che la delegazione partita da
Copenaghen ha fornito la "pezza d´appoggio" che molti cercavano
.
Il dossier è stato ben studiato. Trenta pagine, tutte in arabo, in cui
vengono riportate le vignette del Jillands-Posten, le proteste dei capi
musulmani e infine una lunga sequenza di insulti e contumelie contro Maometto.
Ci sono immagini che non sono mai state pubblicate dai giornali danesi, volgari
e davvero offensive nei confronti del Profeta. Da dove vengono? La maggior
parte sono anonime, tratte da Internet
. Akkari sfoglia le pagine. «Sono
tutti documenti veri». Quando gli si fa notare che la presentazione è alquanto
menzognera, sobbalza. «Nego. Abbiamo soltanto cercato di rendere il clima
ostile che subisce la nostra comunità».
Con in mano il loro dossier, Akkari, Abu Laban e altri tre capi della
comunità islamica danese partono per il Medio Oriente. Obiettivo dichiarato:
«Aprire una crisi internazionale sulla vicenda delle caricature»
. Al Cairo
incontrano il Grande Imam di al Azhar, lo sceicco Mohammed Said Tantawi, e il
capo della Lega Araba, Amr Moussa. Poi vanno a Beirut. La tournée mediorientale
è tenuta segreta. Non è chiaro se in Libano il dossier venga consegnato al capo
degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, e allo sceicco Yussef al Qaradawi, il famoso
predicatore del Qatar.
A gennaio – quattro mesi dopo la pubblicazione – le vignette di un remoto
giornale scandinavo diventano così improvvisamente famose in tutto il mondo
arabo. Tantawi è molto netto, chiede al governo danese di ripensare la sua
posizione «se non vuole che vengano colpiti gli interessi e i cittadini della
Danimarca e compromessa la collaborazione con il mondo arabo». A Capodanno
Rasmussen lancia un appello al dialogo e alla tolleranza, il suo discorso viene
tradotto in arabo e mandato a tutte le ambasciate musulmane. Ma è già troppo
tardi. Parallelamente alla diplomazia ufficiale, «Difendere Maometto» è
stampato in centinaia di copie, fa il giro dei gruppi musulmani, arriva ai
militanti, nelle piazze. Il governo danese viene ritenuto complice della scelta
del giornale.
Su un quotidiano egiziano esce addirittura la notizia che la Danimarca sta
preparando un film contro l´Islam e che Rasmussen vuole riscrivere il Corano.
Le caricature blasfeme da 12 diventano 120. Falsità, menzogne. Dall´altro
canto, si muove anche l´estrema destra. Il Partito popolare di Pia Kjaersgaard
presenta una denuncia per «alto tradimento», accusando Akkari e Abu Laban di
aver organizzato un complotto ai danni degli interessi nazionali.
La propaganda dell´odio ormai si è messa in moto. «La disinformazione è stata
organizzata a tavolino», ha detto ieri Rasmussen. Il premier non ha fatto nomi,
ma è chiaro a chi si riferiva. «Se il governo si fosse scusato subito non
avremmo avuto bisogno di andare all´estero per fare sentire le nostre ragioni»,
continua Akkari
. «Il boicottaggio? Gli assalti? Le vittime? Avevamo
avvertito che sarebbe potuto succedere». Akkari ha proposto a Rasmussen un
confronto televisivo per «chiarire la vicenda e sanare l´offesa». Rasmussen ha
opposto un secco rifiuto. «Troppo tardi». L´incendio si sta propagando sempre
più veloce.

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