Usa, Diritti Umani, Terrorismo
CORRIERE Dom. 5/3/2006 Guido
Olimpio
Resa pubblica dopo quattro anni
l’identità di oltre 300 detenuti Tra militanti e miliardari, anche estremisti
passati per l’Italia
WASHINGTON – Un piccolo varco nella cortina di ferro fatta
di reticolato e gabbie. La diffusione da parte del Pentagono di cinquemila
pagine contenenti le storie di oltre 300 detenuti di Guantanamo incoraggia
quanti si battono per la chiusura della prigione speciale riservata a qaedisti
veri o presunti. Ma è bene ricordare che il documento è stato reso pubblico non
per volontà dell’amministrazione Usa bensì per ordine di un giudice che ha
accolto la richiesta dell’Associated Press. In ogni caso il dossier è
consultabile da chiunque nel sito del Pentagono: www.defenselink.mil.
Le «pagine» raccontano non solo la storia dei detenuti, ma anche ciò che è
avvenuto alla vigilia e dopo l’11 settembre 2001. Forniscono elementi
importanti sulle evidenti pressioni fisiche e psicologiche subite dai
prigionieri, sulle confessioni estorte, sulla caccia a volte indiscriminata a
chiunque si trovasse in Afghanistan dopo la strage delle Torri Gemelle. Con
semplici militanti venduti per pugno di dollari agli americani e poi
trasformati, una volta finiti a Guantanamo, in principi del terrore. Un dato
conferma che la pericolosità dei catturati era tutta da verificare: 210 sono
stati rimessi in libertà.
Ma le carte dicono anche altro. Innanzitutto confermano come i reclutatori
di Al Qaeda sparsi per il mondo, quasi simultaneamente, inviano decine di
«volontari» in Afghanistan a partire dai primi mesi del 2001. E’ chiaro che
l’organizzazione stava chiamando a raccolta gli uomini in vista del grande
scontro con gli Usa. I prigionieri forniscono più o meno lo stesso racconto.
C’è chi ammette di essere andato a combattere con i talebani ma sono tanti
coloro che dicono di essere andati a Kabul: A) Per sposarsi. B) Per trovare un
lavoro. C) Per studiare il Corano. D) Per impegno umanitario.
Un buon numero dei mujaheddin è passato attraverso i campi di addestramento
di Al Farouq e Khalden, sempre in Afghanistan. Soggiorni di poche settimane
durante le quali hanno imparato ad usare armi leggere, in genere Kalashnikov.
Infine il capitolo Italia. A Guantanamo sono finiti almeno 8 estremisti
partiti dal nostro Paese e conosciuti ai servizi di sicurezza. A questi se
ne aggiungono altri che sono transitati dalla penisola o hanno avuto contatti
con realtà integraliste.
IL MILIARDARIO Osama mi disse: «Sono un profeta» Possiedo
sette imprese, tra cui un’ impresa di costruzioni in Pakistan e agenzie di
viaggio a New York e San Francisco. Sono laureato al New York Institute of
Technology, ho vissuto negli Usa dal ‘ 71 all’ 86. E’ vero, ho incontrato Osama
Bin Laden due volte. Nel 2000 l’ ho intervistato in Afghanistan per la mia
agenzia di informazioni. Recitò il Corano e disse di essere un profeta. Mi fece
un’ ottima impressione. Ma non è vero che ho riciclato denaro per Al Qaeda, non
è vero che ho cercato di far entrare esplosivi negli Usa. Il mio arresto, all’
aeroporto di Bangkok nel 2003, è immorale e illegale. Per giorni mi hanno
tenuto con mani e piedi legati, con orecchie e occhi chiusi. Eppure non mi ero
mai nascosto. Perché sono stato imprigionato? Sono considerato un essere umano
o un animale? Gli Stati Uniti sono il mio dio? Io non sono il vostro schiavo.
Già un tribunale di New York ha condannato mio figlio per legami con i
terroristi. Rischia 75 anni di carcere. Per questo ho scritto una lettera al
presidente Bush. Sono qui da 17 mesi. Ora mi dite che forse il mio caso potrà
essere giudicato da una corte americana. Quando? Aspettate forse che muoia?
L’ «ITALIANO» «Confessa, ti hanno reclutato a Milano» Sotto
interrogatorio un tunisino che ha usato più di 50 alias e si presenta come
Mohammed Abdel Rahman. Ammette di essere Bin Alì Lufti e di avere avuto dei
precedenti in Italia. Gli ufficiali lo incalzano: «E’ arrivato dall’ Italia nel
‘ 98 e ha fatto la spola tra Pakistan e Afghanistan, prima della cattura a
Quetta». Lufti sostiene di non aver mai sentito parlare del Gruppo tunisino
combattente (Gct), fazione estremista attiva anche in Italia. Un ufficiale: «L’
ha reclutato un pakistano mentre frequentava l’ Istituto islamico di Milano (in
Viale Jenner, ndr). La moschea è stata chiusa (errore, ndr) perché ospitava il
network di Essid Ben Khemais, cuore del Gct». Lufti avrebbe frequentato «la
casa dei tunisini» a Jalalabad come consigliere del Gtc. Lufti assicura: «Sono
una persona normale e voglio una vita normale».
IL CRONOGRAFO «Questo orologio è marca Al Qaeda?» Come
molti sauditi ho dato aiuto ai talebani, a un governo legittimo. Sono andato in
Afghanistan prima che si presentassero i problemi con l’ America. E non per
combattere. Ho detto che ci sono andato per la Jihad, ma Jihad vuol dire molte
cose. Una è combattere. Un’ altra è aiutare le persone. Questa è la mia Jihad:
il lavoro umanitario. Mi chiamo Mazin Salih Musaid, non Salah Al Awfi come
voleva far credere chi mi ha interrogato. Dite che quando sono stato arrestato
avevo al polso un orologio Casio, modello F-91W, come quelli usati in diversi
attentati legati ad Al Qaeda. E questa sarebbe una prova della mia appartenenza
ad Al Qaeda? Milioni e milioni di persone possiedono un orologio così. Se è un
crimine, perché gli Stati Uniti non arrestano tutti i proprietari e i negozi
che li vendono?
L’ OFFESA «Le guardie hanno fatto sesso davanti a me» «Le
guardie hanno cercato di farmi mangiare carne di maiale» (proibita per i
musulmani, ndr). Feroz Ali Abbasi (poi rilasciato come tutti i detenuti
britannici di Guantanamo) si lamenta con i giudici militari. Accusa gli agenti
carcerari di aver fatto sesso davanti a lui, mentre stava pregando. Sostiene
che l’ hanno preso in giro facendolo pregare in direzione degli Stati Uniti
(anziché verso la Mecca). Come altri prigionieri si lamenta per non aver
accesso alle «prove segrete« che lo accusano. Ripetutamente ricorda il suo
diritto a essere considerato «prigioniero di guerra» in base al diritto
internazionale. A questo punto un colonnello americano lo zittisce: «Non me ne
frega niente del diritto internazionale. Non voglio più sentire queste parole.
Signor Abbasi, il diritto internazionale non ci preoccupa». Dopo di ché il
detenuto viene allontanato dall’ aula. La base Un prigioniero di Guantanamo
Bay, la base navale Usa dove sono detenute 490 persone di oltre 30 Paesi, in
gran parte catturate in Afghanistan. La prigione speciale è stata aperta nel
2002. La divisa arancione è per quelli che non collaborano, quella bianca per
gli altri
IL VIAGGIO A TORA BORA «Non
conosco Al Quaida». La
testimonianza scritta in un inglese sgrammaticato da Abu Grafar, accusato di
aver combattuto per Bin Laden a Tora Bora a fine 2001. Difesa: «Ci sono passato
per andare in Pakistan. Ho incontrato degli arabi, ma non sapevo chi fossero.
Al Qaeda non ha uniformi»