Come da copione, il Senato approva con il voto di fiducia la “riforma del mercato del lavoro” del governo Renzi, comunemente detta “Jobs Act”. Dopo tante sceneggiate sulla “pericolosità” di far passare in parlamento un testo siffatto, anche la “minoranza” del PD si china alla logica di classe, di Stato e di partito dalla quale proviene, ed alla quale risponde. Non ne abbiamo mai dubitato; ed abbiamo sempre ritenuto – e perseguito coi fatti – che solo nella lotta nelle piazze e davanti ai luoghi di lavoro risiedesse (e tutt’ora risieda) L’UNICA RISPOSTA VALIDA all’attacco concentrico della borghesia contro il proletariato.
Matteo Renzi può continuare a festeggiare a suon di”spot” pubblicitari la sua marcia rottamatrice di diritti e salario, di servizi pubblici e ambiente, di prospettive per i giovani e per i meno giovani. Ma non è con gli “spot” che si cambia la realtà. Ed essa ci parla di una disoccupazione in crescita, di una caduta inarrestabile dei salari e dei redditi operai, di una devastazione sociale mai vista in ordine all’abitare, al consumare, al respirare, all’istruirsi, al curarsi per milioni di proletari di ogni condizione…
Il Jobs Act, approvato nel momento in cui il governo mette un’altra “toppa” momentanea alla dismissione annunciata dell’AST di Terni, dà il via libera ad una vera e propria “rappresaglia di massa” verso milioni di nuovi assunti, ed in prospettiva verso tutti i lavoratori.
Sia sull’Articolo 18, e pure in tutta l’articolazione della Legge, si dà mano libera alla rappresaglia padronale anche verso il singolo lavoratore: escludendo esplicitamente il reintegro per i cosiddetti “licenziamenti economici”, ed estendendo la cosa praticamente anche a quelli “disciplinari” (i decreti attuativi specificheranno meglio i casi).
Dopo aver dato la possibilità di assumere a tempo determinato (quindi sotto il ricatto costante del non-rinnovo) fino a 3 anni con 5 rinnovi senza “causale”, quindi anche per lavori che sono stabili, con le “tutele crescenti” (il nome vero sarebbe: tutele mancanti) si dà la possibilità di licenziare senza motivo per i primi 3 anni anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato, in cambio di spiccioli. Il senso del Jobs Act è il ricatto sul lavoro.
Viene reintrodotto il controllo spionistico sull’attività lavorativa (foriero a sua volta di “causali” per l’uso indiscriminato del licenziamento vuoi “economico”, vuoi “disciplinare”). Le tipologie “atipiche” (che Renzi si vantava di voler eliminare) rimangono tutte, ad eccezione del co. co. co. La Nuova Aspi (Naspi), nel mentre estende ad altre forme di “disoccupazione involontaria” la sua copertura, nei fatti riduce all’osso la durata e la consistenza economica della stessa, abolendo tra l’altro (oltre alla CIG delle aziende in chiusura) la stessa Cassa Integrazione in Deroga, che in questi anni è stata “pasturata” a migliaia di PMI per far sì che non esplodesse la “questione sociale”.
Tranquilli: ciò che ora è riservato “solo” agli assunti dopo l’approvazione definitiva del “Jobs Act”, ben presto sarà esteso a TUTTI i lavoratori di questo paese. Non lo dice la Fata Morgana, ma la dura esperienza che ha visto DEMOLIRE in tre decenni scala mobile, contrattazione, salari, pensioni, diritti…e chi più ne ha ne metta! E la solita tattica del carciofo che ha sempre pagato fino ad oggi, e che ci ha portati in questa situazione. Vale per le singole aziende (la suddetta AST di Terni), vale per le singole questioni inerenti la condizione operaia.
Certo, è semplicemente vomitevole che mercoledì in Senato il ministro Poletti abbia sostenuto il “Jobs Act” come una riforma “molto di sinistra”. Quello stesso ministro ripreso a cena con alcuni protagonisti (“molto di sinistra”) di “Mafia Capitale”, nelle persone di Gianni Alemanno e Salvatore Buzzi. Ma questo è il segno dei tempi: in cui nella corruttela più infame ai danni di chi è sfruttato o perde il minimo vitale, questi funzionari altamente prezzolati del Capitale possono impunemente perpetrare i loro sporchi affari, in nome del “bene comune”!
Ed esattamente dentro questo canovaccio che si inserisce la Legge sul mercato del Lavoro appena passata in parlamento: una Legge fatta per affondare i colpi sulla carne viva di milioni di sfruttati. Per alimentare il sistema di sfruttamento e di corruttela. Per esaltare la “via italiana” alla competizione internazionale. Per ottenere i “pieni voti” delle autorità finanziarie del capitale europeo e non.
A tutto ciò si può opporre una sola via: quella della mobilitazione di chi subisce tutto questo, e della lotta conseguente. Non mancano segnali di risveglio in questa direzione dentro la nostra classe.
Le stesse recenti “mobilitazioni d’autunno” contro il “Jobs Act” e contro il governo Renzi dimostrano che ci sono energie sufficienti per continuare la lotta OLTRE le vicende parlamentari.
Dovendo ancora far passare i Decreti Attuativi della riforma, lo sciopero del 12 dicembre PUO’ NON ESSERE UNO SCIOPERO SOLO SIMBOLICO, come vogliono gli stessi vertici della CGIL che pur l’hanno indetto. Potrebbe essere non la “conclusione pilotata” di una mobilitazione che ben si vorrebbe confinare nelle aule giudiziarie e nelle commissioni parlamentari, ma la spinta ad una continuazione di ciò che si è intrapreso in autunno.
Lotta dunque, e non “ricorsi giudiziari”: che sono il rifugio di chi ha già abdicato; e quindi ancora una volta ha preso in giro quei lavoratori, precari, disoccupati che diceva di rappresentare.