Contro l’imperialismo italiano nell’interpretazione di Berlusconi come in quella di Prodi

In Irak continuano i massacri, da una parte e dall’altra. Il grosso dei
morti sono civili, operai, donne, bambini, sia da parte sciita che
sunnita, ma si contano solo i soldati americani (oltre 2 000
“volontari”, in gran parte proletari costretti a fare da carne da
cannone per avere la cittadinanza, per avere pagati gli studi).Sotto le lenti deformanti della campagna elettorale tutti gli attori cercano di confondere le carte.
Berlusconi ha cercato di smarcarsi dall’amico Bush: gliel’aveva detto
che era meglio non fare la guerra… ma poi l’ha seguito. E ora Bush
non intende concedergli sconti.
Non è la prima volta che l’imperialismo italiano scende in guerra
quando ritiene che questa sia già vinta… Nella prima guerra mondiale
saltò sul carro vincente, nella seconda su quello perdente. E non
sarebbe la prima volta che salta dal carro quando le cose si mettono
male…
Ma guardiamo ai fatti:

il governo italiano ha mandato le truppe in Irak per mettere le mani
sul petrolio di Nassiriya e per essere tra i “vincitori che contano”.

A invasione completata dirigenti ENI andarono a Baghdad su un aereo
militare a parlare con i nuovi padroni americani, chiedendo la stessa
cosa prima contrattata col vecchio padrone Saddam: il petrolio di
Nassiriya. Una settimana dopo l’Italia mandava le truppe… a Nassiriya.
Questo va denunciato: decine di migliaia di morti, enormi distruzioni,
per gli interessi imperialistici americani, britannici, italiani… sì,
anche italiani.
Questo non viene denunciato dai partiti dell’Unione che sperano di
capitalizzare elettoralmente il disagio tra la popolazione per la
guerra. Come già con Prodi e d’Alema essi si candidano a governare per
conto dei gruppi dell’imperialismo italiano, non contro di esso.
L’eventuale governo dell’Unione non ritirerebbe le truppe
incondizionatamente, fanno sapere. Divisi tra filo-americani e
filo-franco-tedeschi, non vogliono alienarsi quel peso massimo
dell’imperialismo italiano che è l’ENI, ottava compagnia energetica
mondiale. Ora hanno la scusa che anche l’ONU, quel covo dei briganti
imperialisti cui tutti hanno dato credito, ha dato la sua benedizione
all’occupazione col consenso di Francia Russia e Cina – perché tutti
vogliono essere della partita.
Se siamo veramente contro le guerre dell’imperialismo, dobbiamo
schierarci innanzitutto contro l’imperialismo di casa nostra, quello
italiano, prima ancora che contro gli altri, quello americano e quelli
europei.
L’Irak è una società capitalistica divisa in classi. Una borghesia
avida di rendita petrolifera, divisa nelle frazioni sciita, sunnita e
curda, sfrutta un numeroso proletariato che è stato massacrato per le
avventure della frazione dominante, e le cui condizioni di vita sono
sprofondate, prima con la guerra contro l’Iran (un milione di morti),
poi con la guerra per il Kuwait (Desert Storm), quindi a causa
dell’embargo ONU, e infine per la guerra e l’occupazione a guida
americana, con partecipazione italiana.
La Costituzione approvata col referendum sancisce di fatto la fine del
controllo sunnita sullo Stato e sulla rendita petrolifera. La borghesia
sunnita, dominante da oltre un secolo con l’appoggio ottomano e
britannico prima, poi francese, russo e anche italiano ed americano,
ora spodestata ma ancora ricca di mezzi finanziari, sta cercando di
rientrare nel gioco con una campagna militare chiamata “resistenza”, ma
che più che lotta contro l’occupazione è lotta contro i rivali sciiti e
curdi per spartirsi il potere. La ferocia dell’occupazione straniera
(Falluja, Tal Afar, ecc.) aggiunge solo reclute e motivazioni a quella
campagna.
In Irak milioni di proletari lavorano nell’industria, nell’edilizia,
nei servizi, nell’agricoltura. Molti sono entrati in lotta per il
salario e le condizioni di vita, contro il padronato sunnita, sciita,
curdo, contro lo Stato padrone e le forze di occupazione che lo
sostengono. La loro lotta è la nostra lotta. Solo nella misura in cui
portiamo avanti la battaglia contro il nostro imperialismo possiamo dar
forza ai comunisti che anche in Irak vogliono unire le forze del
proletariato dell’area, di qualsiasi etnia e tradizione, per una lotta
che non si limiti a cacciare lo straniero, ma che ha per fine la
società senza classi.

Ritiro immediato e incondizionato delle truppe italiane in Irak e altrove!

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