La marcia contraddittoria verso il bipolarismo, unita alle lungaggini intorno alla riforma della legge elettorale, sono alla base delle attuali fibrillazioni politico-elettorali.
Il rischio di un ripetersi continuo del governo delle larghe intese, o “di scopo”, su dettatura europea, dopo che lo stesso ha prodotto il terremoto elettorale, è piu’ che presente.
La paura trasversale a tutti i partiti scornati da una nuova avanzata dell’euroscettico Grillo detta la linea generale a tentare di evitare un nuovo voto nei prossimi mesi.
Questo istinto di sopravvivenza di P.D.-P.D.L., unito all’elezione del presidente della repubblica ed a quella del S.Padre, potrebbe determinare una strana (ma già vista!) alleanza tra i due litiganti Bersani-Berlusconi.
D’altra parte, al di la delle solite promesse condite con la spettacolarizzazione personalistico-mediatica ormai “patrimonio” del nuovo linguaggio politico, la linea dell’austerity e del rigore contro il debito pubblico non è eludibile all’interno delle compatibilità capitaliste, pena un possibile incrudimento del commissariamento diretto da parte europea della governance nazionale.
Un’ipotesi, quella del commissariamento diretto, piu’ che plausibile a giudicare i riflessi immediatamente negativi di investitori e mercati all’annuncio di una nuova stagione politicamente instabile in Italia.
E’ su questo possibile intervento diretto europeo in Italia, con annesse crudeltà diffuse contro il proletariato, che si gioca la possibilità di intervento rivoluzionario dentro questo nuovo frangente di crisi.
In sostanza, è possibile che, di fronte al “rifiuto” dei sacrifici variamente dimostrato dall’elettorato, il tentativo di imporre comunque l’amara medicina europea, produca qualcosa di piu’ di uno sfogo nell’urna o di un mugugno individuale.
E li, in quel “qualcosa in piu’”, dovrà esserci puntuale ed organizzata, la presenza dell’antagonismo politico e sociale ad indirizzare verso la fuoriuscita di sistema eventuali, probabili, mobilitazioni e moti di piazza.
Certo, questa non è l’unica ipotesi sul tappeto, né è di facile praticabilità, anche se dei segnali incoraggianti, dal punto di vista della nostra convenienza politica, ci sono.
Innanzitutto, e nonostante il deterrente antiastensionista dei recuperatori di sistema Grillo e Ingroia, il non voto è aumentato dappertutto, con punte significative nelle metropoli del nord ma anche del centro e del sud.
Si che ce l’avevano messa tutta, e tutti, nel tentativo di far diventare “interessanti”, “importanti”, “decisive” queste elezioni per “battere la destra”, o “recuperare l’i.m.u.”, o “mandarli tutti a casa”, o “imporre la legalità”, o “proseguire l’opera di Monti” etc etc.
Hanno cercato di sfruttare armi ed argomenti vecchi e nuovi, dal “pericolo fascista” alla strumentalizzazione dei movimenti local-ambientalisti, dalla “lotta alla casta” a quella “per il diritto”.
Hanno utilizzato di tutto, da comici veri a quelli improvvisati, cantanti, attori, guitti e profittatori.
Non è servito a fermare l’avanzata dell’astensionismo di massa, né tantomeno a produrre un nuovo governo stabile.
E’ chiaro che, non essendo l’astensionismo sommabile ad alcun “voto di protesta” cosi’ come viene erroneamente fatto, la critica e la sfiducia, pur essendo diffusa, non raggiunge ancora i livelli necessari alla disdetta di classe di qualsiasi appartenenza alla “società civile” storicamente determinata.
Insomma, astensione non vuol dir rivoluzione, e nemmeno automaticamente lotta o organizzazione, ma è un buon inizio.
Su cui lavorare, con un occhio vigile alle possibili, prossime precipitazioni politiche sociali.
P.A.
Lo “tsunami” della crisi politica italiana
I dati elettorali che ci giungono ci permettono delle prime riflessioni su quella che senza esitazione potremmo definire ormai una una “crisi di lungo corso” della politica italiana.
Al punto da non escludere che, ancor prima che “economicamente”, l’imperialismo italiano sprofondi “politicamente” in una situazione greca. In Grecia, infatti, l’anno scorso, in poco più di un mese, sotto la spada di Damocle della mancata concessione degli aiuti europei, si dovettero ripetere le elezioni, le quali fecero fare al centro-destra di Antonis Samaras un balzo dal 18,9% al 30% , sufficiente a formare un governo di coalizione con i socialisti del Pasok. Cosa tecnicamente impossibile il mese prima, quando alla percentuale sopra citata di “Nuova Democrazia”, si erano aggiunti il 13,2% del Pasok (rimasto lì anche il mese successivo), il “successo” della “sinistra” di Syriza (17%), e pure quello dei neonazisti di “Alba Dorata” (7%).
Ora in Italia, a detta di tutti, si é giunti ad un punto di “ingovernabilità”. Con una coalizione di C-S che “strappa”, grazie al vituperato “Porcellum”, un risicatissimo primato alla Camera, a fronte di un C-D dato troppo frettolosamente per spacciato che ottiene la maggioranza dei seggi al Senato, e non solo “ri-conquista” Regioni chiave come la Lombardia, il Veneto e la Sicilia, ma pure il Piemonte, la Campania, le Puglie (smacco clamoroso di Vendola). La Lega “tiene” in Lombardia, crolla in Veneto e in Piemonte, sparisce dal Centro-Italia…Fallito l’esperimento “centrista” di Monti, nonostante (e qualcuno dice “grazie a”) l’appoggio esplicito di tutti i “Guru” della finanza e della governance europea. Dunque questo filo-diretto “poteri forti”/ politica italiana non é poi così diretto ed automatico. Sbancata infatti l’ipotesi di un “ragguppamento al Centro” Bersani-Monti, usando Vendola come chewing gum. Berlusconi non tornerà mai più agli “splendori” di un tempo, ma si dimostra duro, molto duro a morire, al punto che, dato per spacciato, ora é in grado di sedersi al tavolo che dovrà decidere sia il nuovo governo, sia il prossimo presidente della repubblica (a meno che la “criticità” del momento non spinga il nuovo parlamento, con una azione bipartisan escludente il M5S, a “prorogare” il termine all’attuale presidente). Ma, ovviamente, il tema del giorno é il nuovo “astro nascente” Beppe Grillo. Le avvisaglie per un suo exploit c’erano tutte, ma nessuno si aspettava che il suo “partito non-partito” arrivasse a quelle percentuali, diventando in pratica, come numero di votanti, la prima formazione politica italiana. Cosa assolutamente inedita, considerando che il M5S ha solo tre anni di vita e che ha surclassato i già notevoli “scossoni” determinati a suo tempo e dalla Lega Nord e da “Forza Italia”.La cosiddetta “sinistra alternativa dei magistrati” sparisce giustamente e forse definitivamente dalla scena.
Due note importanti per il nostro ragionamento politico: 1) l’ulteriore crescita dell’astensionismo ( un + 5% sulle politiche del 2008), insensibile ai “richiami” di qualsiasi affabulatore, e concentrato con percentuali quasi doppie alla media nazionale nei grossi centri urbani); 2) collegato a questo, anche se non solo, la perdita in cifra assoluta di voti di tutti i partiti e coalizioni rispetto al 2008., eccetto ovviamente il M5S. Esso ha “raccolto” una certa quota di potenziali astenuti (soprattutto nell’area di C-S e, secondo alcune fonti, in particolare nel settore del lavoro dipendente del pubblico impiego), ma non tale da impedire un nuovo smottamento astensionista (siamo al 25% come media nazionale). Al quale vanno sommate le schede bianche e nulle…
Alcuni brevi dati di riferimento. In Lombardia per il Senato abbiamo un PdL che passa da 1.959.786 voti delle politiche del 2008, a 1.002.027 di oggi. La Lega Nord da 1.180.000 voti del 2008 a 667.612 di oggi. La Destra-Fiamma Tricolore nel 2008 contava 92.688 voti. Oggi La Destra porta a casa 13.319 voti. Il PD passa da 1.608.000 voti a 1,318.619; la SEL da 183.000 voti a 104.374. Il M5S arriva a 832.720 voti. Se passiamo alla Camera, sempre in Lombardia, dove “pesa” di più il voto giovanile, abbiamo questo quadro (Lombardia 1-2-3): PdL=2.059.333 nel 2008 contro 1,089.871 di oggi; Lega Nord= 1.327.892 contro 689.861. PD= 1.727.545 contro 1.341.287 ecc. ecc. Il M5S prende 1.020,680 voti. Monti supera di un punto in % la quota nazionale del 10% (460.000 voti). Se andassimo a vedere gli altri dati regionali potremmo rilevare il trend già in parte descritto all’inizio, con significative perdite del PD anche nelle zone “rosse” e la man bassa dei voti utili del M5S un po’ dappertutto (meno in Lombardia).
Sul M5S avremo modo di ritornare. Quello che emerge di diverso dagli altri “eventi” di rottura elettorale, oltre al discorso quantitativo del voto (inquadrato in un’ottica percentuale e non in cifra assoluta), é la diversità economico-sociale del paese. E’ la crisi capitalistica in cui questa “scossa” deve essere inserita.
La cesura di Tangentopoli, datata vent’anni orsono, era pur sempre in un quadro di crisi politica di un imperialismo che, approcciandosi all’Europa ed alla moneta unica, non poteva più permettersi svalutazioni competitive e modelli limacciosi e “datati” di decisionismo politico. In più c’era l’effetto dirompente del crollo del Muro e della globalizzazione operante. Ma non c’era assolutamente questa “sofferenza” sociale, avvitata su sé stessa, senza “spiraglio” alcuno, sorda, piena di sacrosanto odio e rancore; che portano a collegare direttamente la “bella vita” dei soliti noti con la caduta a picco di milioni di proletari, ma non solo.
Dunque, oltre all’astensionismo ed al rifiuto del voto (A+B+N), anche il “grillismo” contiene dentro di sé una “rivolta anti-sistema”, seppur schedaiola ed interclassista. E’ una componente, attenzione, che non dobbiamo però “isolare” da tutto ciò che M5S esprime; e, direi, non dobbiamo neppure prendere l’abbaglio di ritenere che questa componente sia l’elemento prevalente del movimento.
Secondo una fresca indagine del Censis (vedi “Il Manifesto” del 26 febbraio), il livello sociale della platea che affollava Pza S. Giovanni a Roma in occasione del comizio di chiusura di Beppe Grillo, era così composto: alto livello di istruzione (29,1% di laureati e il 56% di diplomati), occupati per il 59%; disoccupati ed in cerca di prima occupazione o in cassa integrazione per il 13,6%, studenti in gran parte universitari per l’11,6%, pensionati per il 10,4%, casalinghe per il 5,3%. Fra gli occupati la maggior parte ha un impiego a tempo indeterminato nella P.A. (26,6%) o presso imprese private (30,6%). La presenza di lavoratori autonomi nelle professioni, artigianato, commercio e imprenditori raggiunge in complesso il 27,6%. Mentre l’area del lavoro precario assomma l’11,2%. Il voto per il M5S é motivato, soprattutto tra i più giovani, dalla speranza che possa offrire una soluzione alla crisi che attraversa il paese (61,6%), mentre per il restante 38,4% é un’espressione di protesta. Una base sociale “attiva”, se si fa fede a questi rilievi del Censis, che esprime certamente il disagio e la rabbia sociale di cui si parlava. Ma un partito, un movimento, non é puramente e semplicemente espressione di essa (già di per sé assai composita). E’ nel programma (oltre che nei mezzi d’azione), anzi negli assi portanti di esso, che si può meglio capire la direzione in cui il soggetto politico si muove. E questo programma si caratterizza su: ambientalismo, “recupero” del territorio e dell’acqua, nonché della scuola, della sanità e dei trasporti pubblici (attenzione= più efficienza, meno costi, meno sprechi), tagli dei costi della politica, tagli e sgravi fiscali, credito ed incentivi alle piccole imprese, “onestà” e “trasparenza” nella gestione della “cosa pubblica”. Il tutto dentro una linea di “sviluppo sostenibile” che respinga il nucleare, che riveda lo spending review ed il patto di stabilità e sottoponga a referendum il permanere nell’euro dell’Italia. Dentro questo canovaccio, e solo dentro di esso, ci stanno l’abolizione della Legge Biagi (ma anche la “semplificazione” della legislazione del lavoro), la riduzione dell’orario di lavoro, il “salario di cittadinanza” (=”nessuno deve essere escluso”). Se tanto ci dà tanto, questi ultimi punti programmatici, fermo restando il problema della forma e del contenuto che essi potrebbero assumere, sarebbero facilmente “affogati” nel baillame piccolo-borghese dei “nuovi investimenti” per lo “sviluppo sostenibile” e per tutti i patteggiamenti interborghesi inerenti a come stare nell’UE, oppure a come uscirne (che non lascerebbero margini, come mai del resto é successo, a “trattative” minimamente classiste). Anche in relazione al fatto che i nuovi deputati “grillini” sono espressione di una “rivolta meritocratica” (=un capitalismo “pulito” basato sulle competenze piuttosto che sulle rendite) e non di una “rivolta classista”. Li ho ascoltati in tivù uno ad uno, sul palco di pza S. Giovanni prima del comizio di Grillo: giovani, tecnicamente pronti e istruiti, “informatizzati”, tematici, concreti, costituzionalisti, legalitari, pacifisti. Loro “spazzeranno via il marciume, e ridaranno il futuro all’Italia”. Non fanno punta “ideologia”, cioé richiami “ideali” a qualcuno. Si presentano candidamente, con poche ed a volte impacciate parole. La loro lotta é il voto, l’ingresso in parlamento e la denuncia dei disonesti, senza guardare in faccia nessuno. Di 20-25 candidati per il Lazio, solo due hanno timidamente accennato al “reddito di cittadinanza”. Alla disoccupazione un pò di più… ma chi non lo fa?
Sembrano più giovanotti, e non “politici di carriera”, che cercano un riconoscimento alle loro “competenze” che la “casta del malaffare” nega loro, piuttosto che i rappresentanti dei milioni di proletari praticamente rovinati dal capitalismo e da tutti i suoi governi (anche da quelli fuori d’Italia che i grillini “stimano”).
Gli scenari che si aprono sono secondo me: 1) nuove elezioni tra pochissimo, dopo un governo “di emergenza” che verrebbe messo su solo per andare al voto con una nuova legge elettorale. E su questo il M5S potrebbe puntare per “cavalcare l’onda”, ma non é ciò che vogliono i due poli, che temono di uscirne stritolati; 2) un governo di “larga coalizione” di più lunga durata, mettendo in primo piano gli “imperativi dell’ora” che l’UE ci imporrebbe, magari adeguatamente accompagnato dallo spauracchio dei cali di Borsa e dell’aumento dello spread. Potrebbe essere anche occasione per “cucinare a fuoco lento “ la parte “più responsabile” del M5S, spaccandola e facendone emergere le contraddizioni ed il neofitismo; 3) se la situazione dovesse proprio “sfuggire di mano”, non é peregrina neppure l’ipotesi di un “commissariamento” dell’UE, aprendo scenari di conflittualità politica dagli esiti imprevedibili: con lo scatenamento di forze autarchiche, nazionaliste, localiste di ogni tipo ( è bene ricordare che il movimento di Grillo in più occasioni si è presentato come ultimo baluardo di difesa della “nostra” piccol-media impresa in chiave protezionista e appunto nazionalista). Una balcanizzazione politica che avrebbe ripercussioni a catena non solo in Italia, ma in tutta l’UE.
Comunque sia, la Seconda Repubblica é finita e si apre lo scenario fortemente instabile e ad alta fibrillazione della Terza. Non basterà una nuova legge elettorale a sistemare le cose. Non sono le leggi elettorali che sistemano le contraddizioni sociali; é il contrario. In Italia c’é una forte, agguerrita, numerosa, diffusa piccola borghesia -improduttiva e non- che non ci sta a pagare i prezzi dell’euro e dell’unità europea. Ora che dopo vent’anni gli si chiede pegno, essa si rivolta (la questione non è solo e tanto il proletariato, quindi). E gran parte di essa é ancora raggruppata sotto le ali protettrici del Cavaliere. Una quota di quella “produttiva” invece si é staccata, ed é andata con Grillo. Qui a Bergamo ad esempio Confimi Impresa, di Paolo Agnelli (20.000 imprese per 330.000 dipendenti, con un fatturato aggregato di 70 miliardi di euro), fa il tifo per Grillo. Odiano i “salotti buoni” dei finanzieri di alto bordo e degli intellettuali “liberal”, e pure gli industriali che preferiscono la Borsa alla produzione manifatturiera. Ambienti che invece tanto piacciono a Monti e Bersani. E questa massa sociale, che condiziona fortemente la politica italiana (Grillo ha rispolverato “l’Italia dei distretti” !!!), che non ci sta più a pagare gli alti costi inutili del suo ceto politico ed i diktat tedeschi, metterà facilmente in riga qualsiasi “velleità” dei neofiti del M5S che uscisse dal coro del “contenimento del costo del lavoro” (altro punto del programma di Grillo), e cioé che osasse trasbordare, bene che vada, da un “onesto” reddito di cittadinanza tal quale esiste in quasi tutti i paesi d’Europa (eccetto appunto l’Italia e la Grecia). Siamo spesso nell’ordine di poche centinaia di euro, a volte a termine, vincolati ad una serie di condizioni che comunque sono ben altra cosa dal salario garantito che noi rivendichiamo.
Certo, come detto prima, elettoralmente il M5S raccoglie anche da strati salariati “incazzati” per come vanno le cose, o da precari e disoccupati. Ma: 1) non ne é diretta espressione; 2) non li organizza per la lotta ma li svilisce col voto; 3) é pronto a “svenderli” al primo offerente in nome della “democrazia”, più o meno “partecipata”.
Dunque nessuna attesa e nessuna illusione che il M5S ci faccia cadere sul piatto cose che tocca a noi andarci a prendere. Casomai questo fenomeno nuovo, che attira ed attirerà molte giovani energie, deve essere incalzato, smascherato, messo alle strette ed in contraddizione dai rivoluzionari solo con la pratica della lotta coerentemente classista e dell’autorganizzazione.
E neppure eccessive attese che il dato elettorale di “protesta”, o “populista” che dir si voglia, possa di per sé rappresentare una rabbia che abbia già rotto le catene della passività sociale proletaria e che non attenda altro che noi per potersi esprimere appieno. No compagni, la strada é come quella di ieri. E’ ancora tutta in salita. E richiede che noi dobbiamo contare per ora, purtroppo, quasi esclusivamente sulle nostre forze e sulle nostre volontà.
G.G.