Col popolo palestinese contro l’oppressione coloniale e razziale di Israele, per l’unione di tutti i proletari del Medio Oriente!

L’attacco condotto da una coalizione di organizzazioni palestinesi da Gaza contro Israele, da terra, cielo e mare, per la prima volta ha visto sfondare i muri della prigione eretta dallo Stato razzista e colpire con successo una serie di obiettivi in territorio israeliano e nelle nuove colonie.

Il bilancio mentre scriviamo è inaudito dopo che da 70 anni i morti palestinesi erano decine di volte quelli israeliani: oltre 900 morti israeliani e palestinesi in territorio israeliano, di cui diverse centinaia militari, e 130 prigionieri israeliani, a fronte di 500 morti palestinesi, con oltre 2 mila feriti da ciascuna parte. Sappiamo che purtroppo, data la sproporzione nei rapporti di forza militari, questo bilancio è destinato a ribaltarsi nei prossimi giorni sotto i bombardamenti e la probabile occupazione militare con i rastrellamenti israeliani. Resta tuttavia un innegabile successo palestinese il fatto che il regime israeliano abbia per la prima volta pagato un duro prezzo per la sua politica di oppressione. Non ci uniamo al coro ipocrita di chi condanna l’incursione di Hamas e giustifica o appoggia incursioni e bombardamenti terroristici che da anni Israele conduce nella striscia, e denunciamo la messa in atto da parte israeliana dell’”assedio totale” di Gaza, con il taglio di acqua, cibo, elettricità, gas: affamare e assetare i 2 milioni di civili, uomini donne e bambini. Gaza come il ghetto di Varsavia…

E’ presto per dire se il regime sionista di Netanyahu, duramente contestato all’interno negli ultimi mesi per gli attacchi all’indipendenza della magistratura (mentre molto minoritarie sono le forze che contestano la repressione nei confronti dei palestinesi) sarà rafforzato dal ricompattamento patriottico del fronte interno di fronte all’attacco “esterno”, o si indebolirà a seguito delle evidenti falle nello strapotere militare israeliano e al duro colpo subito, conseguenza della politica del pugno di ferro, della continua colonizzazione di nuovi territori palestinesi. Occorre che di fronte alla ferocia della rappresaglia chi nutre un senso di umanità alzi la voce contro l’oppressione esercitata dal proprio governo.

Ci indigna ma non ci sorprende il coro di condanne dei governi e dei media europei e americani del “terrorismo” palestinese e l’appoggio incondizionato ad Israele, che significa appoggio incondizionato a tutte le azioni terroristiche quotidiane sistematicamente condotte da Israele contro ogni forma di resistenza palestinese, alla politica di colonizzazione della Cisgiordania in violazione anche degli accordi internazionali sottoscritti dallo stesso Israele. Ma chi oggi si straccia le vesti per i poveri civili israeliani, ha mai mosso un dito o anche solo la lingua in difesa dei civili palestinesi martoriati? E come ci si può schierare senza se e senza ma a fianco di Netanyau definendolo un campione di democrazia? Quando un commentatore ha detto: “gli israeliani combattono per noi e per la nostra civiltà” ha detto il vero dal punto di vista della sua classe, nel senso che Netanyau e la sua banda di sionisti reazionari combatte per difendere lo sfruttamento e l’oppressione dei molti a vantaggio di pochi. Quella per Netanyau è la solidarietà di classe verso uno stato imperiale che esercita la violenza anche contro buona parte dei suoi stessi connazionali.

Non è nostra abitudine parlare di “popoli”, termine che ormai ovunque nel mondo nasconde la contrapposizione tra le classi. È tuttavia vero che la striscia di Gaza è da anni un campo di concentramento in cui sono racchiuse tutte le classi palestinesi, e questa brutale oppressione, sistematicamente esercitata con i metodi del terrorismo, colpisce sia i borghesi che la massa dei proletari palestinesi, e mette oggettivamente in secondo piano la lotta dei proletari palestinesi (i due terzi della popolazione sotto il livello di povertà) contro lo sfruttamento da parte della borghesia locale, oggi rappresentata da Hamas. Diversa la situazione della Cisgiordania, dove una borghesia palestinese screditata tra le masse lavoratrici, asservita agli imperialismi e allo stesso Israele ha da anni abbandonato la lotta di liberazione nazionale e garantisce l’ordine per conto dello stato israeliano e lo sfruttamento congiunto sul proletariato palestinese.

Certo avremmo voluto che si consolidasse l’affratellamento su base umana e di classe tra lavoratori israeliani e palestinesi, avviata negli anni ’80 con Matzpen, e la comune lotta contro l’oppressione razzista del governo israeliano e la divisione su base confessionale. Quel movimento è stato sconfitto dalla repressione israeliana che vi vedeva la minaccia di un “nemico interno”, e dalla pressione degli Stati arabi, che hanno finanziato movimenti borghesi interclassisti, integralisti etnico-religiosi tra i palestinesi, mentre è mancato un movimento internazionalista negli altri paesi. Hamas, un movimento borghese e interclassista dall’ideologia integralista e teocratica, ha prevalso in Gaza grazie ai finanziamenti delle petromonarchie e dell’Iran, che hanno favorito la crescita dell’attività assistenziale di Hamas, fonte di sopravvivenza per centinaia di migliaia di poveri, e di influenza politica per il movimento. La forma ideologica e politica in cui si esprime oggi la ribellione all’oppressione israeliana è quindi quella di un movimento borghese e interclassista, religioso integralista, ferocemente anticomunista, che nega qualsiasi affratellamento che non sia su base confessionale. Per questo sosteniamo il diritto del popolo palestinese a difendersi e a contrattaccare contro l’oppressore con tutti i mezzi a sua disposizione, ma non appoggiamo le leadership borghesi, reazionarie e i governi che le sostengono (e le manovrano).

Da questi movimenti non potrà venire la soluzione della questione palestinese, ma è questa la forma che ha assunto finora il più forte tentativo di attacco contro l’oppressore del popolo palestinese in terra di Palestina, che ha reclutato tra gli oppressi insieme ad altri movimenti.

Non è in grado di rovesciare lo Stato sionista perché dipendente dalle borghesie arabe, che in passato hanno accolto la diaspora palestinese solo per sfruttarla quando non per massacrarla (dal Settembre Nero a Sabra e Chatila ) e che oggi stanno una dopo l’altra venendo a patti con lo Stato israeliano. Ultima in ordine di tempo l’Arabia Saudita, e forse la tempistica dell’offensiva palestinese, materialmente sostenuta dall’Iran ma non solo, non è estranea a questo rapprochement, che minaccerebbe di ripiombare l’Iran in una condizione di isolamento, dopo lo scongelamento delle sue relazioni con la stessa Arabia sotto gli auspici della Cina e i primi segnali di allentamento della morsa stretta dagli Stati Uniti attorno al regime islamico.

Un regime come quello iraniano, reazionario e anti operaio come non diversamente da quello saudita, che opprime con ferocia ogni protesta interna, soprattutto dei lavoratori e delle donne, non può essere il paladino di una causa di liberazione nazionale, se non in modo strumentale, quale pedina da giocare nella scacchiera mediorientale, e da abbandonare quando non servirà più, come hanno fatto le borghesie arabe. Come nel 2011 quando durante le cosiddette primavere arabe il proletariato scese in piazza per scrollarsi di dosso i regimi corrotti con cui flirtavano gli imperialismi di tutto il mondo compreso il nostro, rendiamo omaggio al coraggio di chi oggi in terra d’Israele combatte per i suoi diritti. La rivolta sarà una scuola di guerra per le nuove generazioni palestinesi che non sono disposte a subire oltre le vessazioni israeliane. Certo a prezzo di lacrime e sangue. Certo a prezzo di colpire civili individualmente magari innocenti. La soluzione della questione palestinese resta ancora molto lontana, e sarà solo l’unione dei proletari della regione contro i propri oppressori e sfruttatori capitalisti e i loro padrini imperialisti che potrà abolire ogni oppressione rovesciando i regimi reazionari, israeliano e arabi e porre le basi per una unione dei popoli dei popoli della regione.

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