La forza internazionale costretta al
ritiro. I talebani: 100 chili d’oro a chi uccide i vignettisti
HEBRON (Cisgiordania) – Alle
11 e 45 di mattina una trentina di rivoltosi riesce a penetrare nelle due
palazzine. Tra gli osservatori internazionali cresce la paura. «Gli aggressori
erano armati di pietre e bastoni. Sembravano ben organizzati, chiaramente
qualcuno li stava dirigendo. Volevano la provocazione», raccontano i
carabinieri italiani. Sono loro, tutti e diciassette, che imbracciano gli
estintori, scendono dai piani alti e li scaricano contro i manifestanti, che
hanno già iniziato a scassare e vandalizzare gli uffici.
Così ieri l’incubo via via cresciuto negli ultimi giorni è infine diventato
realtà per i 73 membri rimasti della Tiph, che sta per «Temporary International
Presence in Hebron». Una folla compresa tra le 500 e 1.000 persone, per lo più
(ma non solo) studenti quindicenni della vicina scuola superiore «Al Rashidin»,
hanno attaccato le palazzine dove si trova il quartier generale della Tiph al
grido di «Allah è il più grande» e «vendichiamo Maometto per le offese dei
danesi». L’intervento della polizia palestinese evita il peggio. E prima delle
cinque del pomeriggio tutto il personale internazionale era stato evacuato a
Tel Aviv con la scorta di 5 jeep militari israeliane. Un nuovo capitolo
della follia integralista, che sta infuriando nell’universo musulmano. Non il
più sanguinoso. Dopo gli attacchi alle ambasciate in Siria e Libano, tocca
adesso all’Afghanistan di brandire il triste primato del tasso di violenza più
alto. Ieri altri quattro manifestanti sono stati uccisi mentre cercavano di
attaccare i soldati del con-tingente internazionale (portando così a nove i
morti in pochi giorni). Ancora più grave è la di-chiarazione di un
comandante talebano, il mullah Dabullah, che ha offerto «cento chili d’oro» in
ricompensa per chi ucciderà uno degli autori delle vignette su Maometto. E
altri 5 chili d’oro per la testa di ogni soldato danese, norvegese o tedesco
dispiegato nel Paese con la missione Nato. E’ tornata la calma ieri a
Herat, nell’Ovest del Paese dove è stanziato un contingente italiano. Il
colonnello Dario Ranieri ricorda che «le manifestazioni di questi giorni sono
organizzate da piccoli gruppi», mentre «la gran parte della popolazione è
favorevole a noi».
L’ennesimo segnale di quanto stia diventando carica di rischi l’esistenza per
gli europei nei Paesi musulmani è fornito dal caso Hebron, dove il contingente
internazionale è passato in pochi giorni da una forza considerata garante dei
palestinesi a gruppo inseguito da quella stessa gente che voleva proteggere. «Siamo
ancora ben voluti dai palestinesi. Solo pochi fanatici ci hanno aggredito»,
minimizzano i portavoce della Tiph. Sarà. Ma la gente di Hebron incontrata ieri
continuava a ribadire la legittimità degli attacchi contro gli olandesi «e
tutti coloro che li sostengono».
Il contingente internazionale era stato inviato l’8 maggio 1994, poco più
di quattro mesi dopo che un colono estremista ebreo, Baruch Goldestein, aveva
massacrato a colpi di mitra una trentina di musulmani nella «Tomba dei
Patriarchi», l’antica moschea-sinagoga nel cuore di Hebron. Inizialmente era
composto da 160 uomini guidati dal contingente norvegese, assieme a quelli
italiano, danese, svedese, svizzero e turco. Tre mesi dopo se ne erano andati.
Per tornare però il 12 maggio 1996: con due mandati prioritari: monitorare la
difficile coesistenza tra arabi ed ebrei, oltre a visionare il mantenimento
degli accordi del processo di pace. Da allora sono sempre stati visti come il fumo
negli occhi dai cinquecento coloni ebrei che vivono nel centro della città, in
costante frizione con i circa 130.000 abitanti arabi. Ora la loro partenza è
considerata come un colpo duro per la missione. I 12 osservatori olandesi se
ne erano andati già il primo di febbraio. «La nostra è una ritirata temporanea.
Ma non sappiamo se e quando torneremo», dice il vicecomandante italiano della
missione, colonnello dei carabinieri Luciano Zubani. Non è escluso che la Tiph
possa venire cancellata per sempre.