Thomas Scheen, Johannesburg
● Sembra che le circa 800/900 imprese cinesi che operano in Africa si accaparrino circa il 50% delle commesse pubbliche del continente.
● Non vi sarebbe in Africa ancora un predominio cinese soprattutto nel campo materie prime, i cinesi gestirebbero oggi solo il 2% dei campi petroliferi africani; situazione analoga per i metalli: delle miniere di rame in Congo e Zambia è in mani cinesi solo una grande in Zambia, il resto è sfruttato da gruppi di Australia, Canada, America e Sudafrica.
● Il volume degli scambi commerciali Cina-Africa: da circa $10 MD nel 2002 a $56 MD nel 2007; previsioni di $100 MD per il 2010, la Cina supererebbe gli USA come maggior partner commerciale del continente.
● Il filo-cinese presidente del Senegal, su Financial Times: il finanziamento di progetti infrastrutturali richiede fino a 5 anni con la BM, contro i 3 mesi con i cinesi. Però preferisce finanziare il deficit statale dalle banche francesi e non da quelle cinesi.
– Il Sudafrica sta erigendo barriere protezionistiche contro i tessili cinesi; il presidente del Sudafrica, Mbeki, nel 2007, ha messo in guardia dal rischio di una neo-colonizzazione dell’Africa da parte della Cina.
– Sudan: il gruppo statale cinese China National Petroleum Corporazione (CNPC) è divenuto il maggior estrattore di petrolio, finisce in Cina il 70% della produzione petrolifera annuale sudanese, pari al 6% del fabbisogno cinese; la Cina fornisce armi a Khartoum.
– Angola: nel 2003 la Cina ha concesso crediti per oltre $2 MD, dopo che la BM li aveva negati per accuse corruzione del regime; ora il credito cinese è salito a $7MD.
– L’Angola ha sostituito l’Arabia Saudita come maggior fornitore petrolifero della Cina: 500 000/1,4 mn. dei suoi barili al giorno finiscono in Cina.
o In Angola i gruppi cinesi costruiscono strade, ferrovie, città satelliti e una estesa rete di tlc.
– Congo: tre gruppi cinesi hanno concluso accordi per cui il Congo fornirà loro per 30 anni matalli grezzi:
o 8 mn. di tonn. di rame; 200 000 di cobalto e 400 tonn. di oro,
o in cambio i cinesi costruiranno 12 strade, 3 autostrade, una linea ferroviaria, 32 ospedali, 145 centri sanitari, 2 università e 500 000 alloggi popolari.
o A inizio 2008, la Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) ha acquisito, per $5,5 MD, il 20% della sudafricana Standard Bank, impegnata nel finanziamento di attività minerarie soprattutto in Congo.
– Nigeria: progetti cinesi per un’area di libero scambio (da alimentari fino al cemento); i cinesi offrono un credito miliardario per le infrastrutture in cambio dell’ingresso nel settore petrolifero,
o senza condizioni privilegiate per le concessioni, anzi secondo gli analisti pagando probabilmente molto di più dei concorrenti di India, Sud Corea, Malesia e Brasile.
Documento – "L’Africa è alla bancarotta? La Cina prende tutto"
Estratti dal libro di Serge Michel e Michel Beuret: La Chinafrique, Pékin à la conquête du continent noir.
Tesi:
● La Cina in Africa rappresenta un rivolgimento degli equilibri internazionali, un terremoto geopolitico.
● Nel 1980-2005 il commercio bilaterale Cina-Africa X50; nel 2000-2006 x5, da $10MD a 55 MD, con previsione di $100MD nel 2010; per alimentare la sua crescita smisurata al Cina necessita di materie prime, da petrolio e minerali a legname, pesce e prodotti agricoli.
● Nel 2005 la Cina avrebbe sostituito la Francia come secondo maggior partner commerciale dell’Africa; e i paesi africani approfittano della concorrenza cinese che spezza i monopoli occidentali, libanesi e indiani.
● Ci sarebbero circa 750mila cinesi in Africa (500 000 secondo il giornale del commercio cinese nel 2007), contro 250 000 libanesi e meno di 110 000 francesi.
o La diaspora cinese sarebbe, con 100 milioni di persone, la più numerosa nel mondo, e la più ricca, ed è incoraggiata dal presidente Hu Jintao, chiamato a volte l’Africano, per abbassare la pressione demografica, il surriscaldamento economico, l’inquinamento; uno scienziato cinese a Le Figaro: «Abbiamo in Cina 600 fiumi, di cui 400 morti per inquinamento. Non ne usciremo senza mandare 300 milioni di cinesi in Africa».
– Negli ultimi 5 anni i cinesi sono comparsi nei resoconti giornalistici sull’Africa in Angola, Senegal, Costa d’Avorio, Sierra Leone. è di colpo cambiata la scala del loro intervento, moltiplicato x10.
– Congo : i cinesi stanno costruendo una nuova sede della TV nazionale, un nuovo ministero degli Esteri e della francofonia.
– Nigeria, periferia di Lagos: Newbisco (biscotti, fondata nel 1960 dai britannici; nel 2000 passata ad un indiano, e poi ad un cinese);
– Sudan: costruita dai cinesi un’autostrada, previsto il raddoppio di una ferrovia; I cinesi sono arrivati in massa negli anni 1990, vi hanno già investito $15 MD, soprattutto nei pozzi petroliferi, che forniscono oggi il 10% delle importazioni cinesi di petrolio.
– Costruisce dighe in Congo, Sudan, Etiopia.
– Equipaggia l’intera Africa di reti wireless e di fibre ottiche.
Dopo un periodo di politica africana di non ingerenza, ora il governo cinese cerca di frenare l’attacco militare sudanese in Darfur, non aiuta più il dittatore dello Zimbabwe, Mugabe.
Chinas Außenpolitik (7) – Die „Umarmung“ Afrikas
Von Thomas Scheen, Johannesburg
– Kaum ein chinesisches Auslandsengagement ist so umstritten wie das in Afrika. Zur Sicherung seiner Rohstoffversorgung investiert China enorme Summen auf dem schwarzen Kontinent und geht dabei nicht gerade zimperlich vor. Die Chinesen schauen weder auf die demokratische Gesinnung ihrer Geschäftspartner noch auf die Achtung von Menschenrechten und konterkarieren somit die Bemühungen des Westens, neue Kredite für afrikanische Regierungen an politische Bedingungen zu knüpfen.
– Das beste Beispiel dafür ist Sudan. Dort ist der staatliche chinesische Konzern „China National Petroleum Corporation“ (CNPC) zum größten Ölförderer aufgestiegen, während China das Regime in Khartum mit Waffen beliefert. Alle Bemühungen der Vereinten Nationen, den Krieg in Darfur zu beenden, sind nicht zuletzt aufgrund chinesischer Wirtschaftsinteressen bislang ins Leere gelaufen. Rund 70 Prozent der sudanesischen Jahresproduktion an Öl fließen mittlerweile nach China, was sechs Prozent des chinesischen Ölbedarfs entspricht.
– Ein anderes Beispiel ist Angola, das 2003 von China einen Kredit über zwei Milliarden Dollar erhielt, nachdem die Weltbank einen solchen mit Hinweis auf die grassierende Korruption in dem Ölland verweigert hatte. Mittlerweile ist der Kredit auf sieben Milliarden Dollar gewachsen.
– Chinesische Firmen bauen dafür in Angola Straßen, Eisenbahnlinien, Trabantenstädte und ein flächendeckendes Telekommunikationsnetz. Der Kredit wird mit Rohstoffen – sprich Öl – getilgt. Mittlerweile hat Angola Saudi-Arabien als Chinas größter Öllieferant abgelöst. 500.000 Fass der täglichen Fördermenge von 1,4 Millionen Fass gehen ins Reich der Mitte.
– In Kongo-Kinshasa wiederum schlossen drei chinesische Unternehmen unlängst einen Vertrag ab, der vorsieht, dass Kongo den Unternehmen über einen Zeitraum von 30 Jahren die Versorgung mit Rohmetallen garantiert. Dabei geht es um acht Millionen Tonnen Kupfer, 200.000 Tonnen Kobalt und knapp 400 Tonnen Gold. Im Gegenzug wollen die Chinesen zwölf Straßen, drei Autobahnen, eine Eisenbahnlinie, 32 Krankenhäuser, 145 Gesundheitszentren, zwei Universitäten und 5000 Sozialwohnungen in Kongo bauen.
– Die „Industrial and Commercial Bank of China“ (ICBC) erwarb zu Beginn dieses Jahres für 5,5 Milliarden Dollar 20 Prozent der südafrikanischen Standard Bank, die stark in der Finanzierung von Bergwerken unter anderem in Kongo engagiert ist.
– In Nigeria wiederum wollen die Chinesen eine Freihandelszone schaffen, in der von Lebensmitteln bis zu Zement alles Mögliche preisgünstig produziert und anschließend exportiert werden kann.
China könnte Amerika bald abgehängt haben
– Betrug das Handelsvolumen zwischen China und dem afrikanischen Kontinent im Jahr 2002 noch rund 10 Milliarden Dollar, lag es im vergangenen Jahr schon bei 56 Milliarden. Bis 2010, so die Prognosen, soll das Handelsvolumen auf mehr als 100 Milliarden Dollar klettern, womit China Amerika als größten Handelspartner verdrängen würde.
– Schon jetzt arbeiten mehr als 800 chinesische Firmen in Afrika. Schätzungen zufolge gewinnen chinesische Unternehmen mittlerweile 50 Prozent aller öffentlichen Ausschreibungen auf dem Kontinent. Ist China dabei, Afrika zu übernehmen?
– Der senegalesische Präsident Abdoulaye Wade jedenfalls machte in einem Beitrag für die Londoner „Financial Times“ zu Beginn des Jahres eine einfache Rechnung auf: Mit der Weltbank muss er bis zu fünf Jahre über die Finanzierung von Infrastrukturprojekten verhandeln,
– mit den Chinesen hätten die gleichen Verhandlungen genau drei Monate gedauert. Und darauf komme es an: Afrika braucht Infrastruktur, nicht morgen, sondern heute. Und die Chinesen liefern sie.
– Insofern, so Wade, sei das Gejammer der westlichen Welt über die chinesische Welle, die gegenwärtig über Afrika rolle, wohl eher von der Sorge getragen, dass den etablierten Handelsmächten mit China eine Konkurrenz in Afrika erwachse, die nicht nur wettbewerbsfähig sei, sondern auch Angebote mache, die exakt auf die Bedürfnisse des Kontinents zugeschnitten sind.
– Gleichwohl regt sich in Afrika bereits Unwohlsein über diese Umarmung aus Fernost. Der südafrikanische Präsident Thabo Mbeki jedenfalls warnte im vergangenen Jahr vor einer „ungleichen Beziehung“ zu China, die sich zu einer Form von „Neokolonialismus“ entwickeln könne.
– Kurz darauf führte Südafrika Importquoten für chinesische Textilien ein, um die heimische Industrie vor der billigen Konkurrenz zu schützen. Und der erklärte China-Fan Wade lässt sich sein Staatsdefizit lieber von französischen Banken als von chinesischen finanzieren.
– In Nigeria lockten die Chinesen ebenfalls mit einem milliardenschweren Kredit für Infrastrukturmaßnahmen, um im Gegenzug einen Fuß in die Tür zum Ölgeschäft zu bekommen. Eine Sonderbehandlung aber erhielten sie nicht, und wenn sie nunmehr doch einen Anteil an einem ergiebigen Ölfeld in Nigeria halten, dann nur, weil sie die Konzession nach Ansicht von Analysten bar und vor allem viel zu teuer bezahlten. Die Nigerianer hatten den Chinesen vielmehr klargemacht, dass sie sich mit den Konkurrenten aus Indien, Südkorea, Malaysia und Brasilien messen müssten.
– Ohnehin kann von einer chinesischen Dominanz speziell bei der Rohstoffförderung in Afrika vorerst noch keine Rede sein. Bestenfalls zwei Prozent aller nennenswerten Ölfelder in Afrika werden gegenwärtig von chinesischen Unternehmen bewirtschaftet.
– Bei den metallenen Rohstoffen sieht es ähnlich aus. Von dem begehrten Kupferminen in Kongo und Sambia ist lediglich eine größere (in Sambia) in chinesischer Hand. Der Rest wird von Bergbaukonzernen aus Australien, Kanada, Amerika und Südafrika ausgebeutet.
LE MONDE | 19.05.08 | 16h00 • Mis à jour le 19.05.08 | 20h21
Le dernier acte de la mondialisation se joue loin des yeux occidentaux. Ses acteurs ? Des milliers de migrants chinois qui s’installent partout en Afrique pour construire, produire et commercer. Serge Michel et Michel Beuret, avec le photographe Paolo Woods, sont allés à leur rencontre. Nous publions des extraits du prologue de leur livre, qui paraît mardi 20 mai. La Chinafrique, Pékin à la conquête du continent noir, photographies de Paolo Woods. © Editions Grasset & Fasquelle, 2008.
"Ni hao, ni hao." Nous marchions depuis dix minutes dans cette rue de Brazzaville quand une joyeuse pelote de petits Congolais s’est arrêtée de courir après un ballon pour nous saluer. Les Blancs, en Afrique, ont l’habitude des "hello mista !", des "salut toubab !" ou des "Monsieur Monsieur !". Mais ces enfants, alignés et souriants au bord de la rue, ont enrichi le répertoire. Ils ont crié "ni hao, ni hao", bonjour en chinois, avant de reprendre leur jeu. Pour eux, tous les étrangers sont chinois.
– Quelques centaines de mètres plus loin, une société chinoise était en train de construire le nouveau siège de la télévision nationale congolaise, un bâtiment de verre et de métal comme tombé du ciel dans ce quartier populaire. Et à l’entrée de la rue, cette même société érigeait une villa somptueuse pour un membre du gouvernement, sans doute en remerciement de l’attribution du chantier de la télévision. En ville, d’autres compagnies chinoises mettaient la dernière main au nouveau ministère des affaires étrangères et de la francophonie et bouchaient les trous d’obus dans les bâtiments touchés par la guerre civile.
– A 2 250 km au nord-ouest de là, dans la banlieue de Lagos, au Nigeria, l’usine Newbisco passait pour une malédiction. Fondée par un Britannique avant l’indépendance de 1960, cette unité de production de biscuits secs a changé souvent de mains, aucun propriétaire n’étant capable de la tenir à flot dans un pays où les exportations pétrolières et la corruption étouffent toute autre activité économique. En 2000, son avant-dernier patron, un Indien, a revendu Newbisco en état de ruine à l’homme d’affaires chinois Y. T. Chu. Lorsque nous sommes entrés dans l’usine, un matin d’avril 2007, une odeur de farine et de sucre flottait dans l’air. Les tapis roulants charriaient chaque heure plus de trois tonnes de petits biscuits aussitôt emballés par des dizaines d’ouvrières. "Nous couvrons à peine 1 % des besoins du marché nigérian", a dit Y. T. Chu en souriant. Les reporters rentrent souvent d’Afrique avec des histoires dramatiques d’enfants affamés, de conflits ethniques et de violences incompréhensibles. Nous avons bien sûr été témoins de tout cela lors de nos reportages en Afrique ces dernières années, mais, cette fois, au moment de commencer la rédaction de ce livre, ce sont les images d’une Afrique nouvelle qui nous passent devant les yeux : les enfants de Brazzaville qui saluent en chinois, l’usine de biscuits de Lagos ou encore l’autoroute construite au Soudan, que nous avons empruntée à l’été 2007.
Nous roulions depuis deux heures entre Khartoum et Port-Soudan lorsqu’un passage du livre de Robert Fisk nous est revenu en mémoire. En 1993, c’est dans un village à gauche de cette route que le reporter britannique avait rendez-vous avec Oussama Ben Laden, réfugié au Soudan après avoir appelé à la guerre sainte contre les Américains en Arabie saoudite. Pour remercier ses hôtes soudanais, il a expliqué à Fisk qu’il allait construire une nouvelle route de 800 km entre la capitale et le grand port. En 1996, le terroriste est obligé de fuir à nouveau, cette fois en Afghanistan, où il a développé d’autres projets que le génie civil.
– Qui allait terminer son chantier ? Les Chinois. Ils prévoient même de le doubler d’une voie de chemin de fer. Arrivées massivement dans le pays dès le milieu des années 1990, les entreprises chinoises y ont déjà investi 15 milliards de dollars, en particulier dans les puits de pétrole qui fournissent aujourd’hui à la Chine jusqu’à 10 % de ses importations.
Pendant plus d’un an, nous avons parcouru des milliers de kilomètres et visité quinze pays pour raconter ce que la Chine fait en Afrique. L’idée nous trottait dans la tête depuis un certain temps, mais elle s’est imposée lors d’une rencontre impromptue avec Lansana Conté, le président de Guinée, à la fin octobre 2006. Cela faisait une dizaine d’années qu’il n’avait pas parlé à la presse étrangère. Pourquoi accepter de nous voir, ce jour-là, dans son village natal, à trois heures de la capitale, Conakry ? Peut-être le besoin de prouver qu’il était encore vif, alors qu’on le disait à l’agonie et que le pays se laissait gagner par le chaos. De fait, la discussion fut assez sombre, malgré le décor ravissant de sa grosse villa donnant sur son lac privé. Le président a traité la plupart de ses ministres de "voleurs" et fustigé les Blancs "qui n’ont jamais cessé de se comporter en colons". Il a fait l’éloge d’une Guinée agricole et a paru accablé par la découverte off-shore de gisements pétroliers qui, à son avis, feront de la Guinée un pays plus corrompu encore.
– Une seule fois, le visage présidentiel s’est éclairé : lorsque la discussion a glissé sur les Chinois. "Les Chinois sont incomparables ! s’est exclamé le vieux général. Au moins, ils travaillent ! Ils vivent avec nous dans la boue. Il y en a qui cultivent, comme moi. Je leur ai confié une terre fatiguée, vous devriez voir ce qu’ils en ont fait !"
– La présence de Chinois en Afrique n’est plus une surprise. Ces quatre ou cinq dernières années, nous les avions vus progresser un peu partout lors de nos reportages en Angola, au Sénégal, en Côte d’Ivoire ou au Sierra Leone.
– Mais le phénomène a changé d’échelle. Tout se passe comme s’ils avaient d’un coup décuplé leurs efforts au point de pénétrer l’imaginaire de tout un continent, du vieux président guinéen, qui ne voyage plus que pour se faire soigner en Suisse, aux petits Congolais trop jeunes pour distinguer un Européen d’un Asiatique.
– En quelques années, la Chine en Afrique est passée de sujet pointu pour spécialistes en géopolitique à un thème central dans les relations internationales et la vie quotidienne du continent. Et pourtant, chercheurs et journalistes continuent de brasser les mêmes chiffres macro-économiques :
– le commerce bilatéral entre les deux régions a été multiplié par cinquante entre 1980 et 2005. Il a quintuplé entre 2000 et 2006, passant de 10 à 55 milliards, et devrait atteindre 100 milliards en 2010.
– Il y aurait déjà 900 entreprises chinoises sur le sol africain.
– En 2007, la Chine aurait pris la place de la France comme second plus gros partenaire commercial de l’Afrique.
Ce sont là des chiffres officiels, qui ne prennent pas en compte les investissements de tous les migrants. D’ailleurs, combien sont-ils ? Un séminaire universitaire organisé à la fin 2006 en Afrique du Sud, où la communauté chinoise est la plus nombreuse, avance le chiffre de 750 000 pour tout le continent. Les journaux africains, eux, se laissent parfois aller à évoquer "des millions" de Chinois. Du côté chinois, l’estimation la plus haute vient du vice-président de l’Association de l’amitié des peuples chinois et africains, Huang Zequan, qui a parcouru 33 des 53 pays africains. Dans une interview au Journal du commerce chinois en 2007, il estime que 500 000 de ses compatriotes vivent en Afrique (contre 250 000 Libanais et moins de 110 000 Français).
Tout ces migrants-là, comme s’ils n’étaient qu’une armée de fourmis, n’ont pas de nom, pas de visage et restent muets. Le plus souvent, les journalistes se plaignent qu’ils refusent de parler. Et le ton des articles pour les décrire est inquiet, voire alarmiste, comme si l’arrivée d’une nouvelle puissance n’était qu’une calamité de plus pour le continent noir, aux souffrances déjà infinies.
Voyons les choses d’une autre façon. L’entrée de la Chine sur la scène africaine pourrait bien représenter, pour Pékin, son couronnement de superpuissance mondiale, capable de miracles aussi bien chez elle que sur les terres les plus ingrates de la planète. Et, pour l’Afrique, cette rencontre marque peut-être le rebondissement tant attendu depuis la décolonisation des années 1960, de son heure qui sonne enfin, du dernier espoir du président guinéen mais aussi des 900 millions d’Africains, le signal que plus rien ne sera comme avant. Passons les acteurs en revue.
– Les Chinois d’abord. L’histoire, telle qu’on la raconte en Occident, veut qu’ils vivent depuis des millénaires une aventure tragique, essentiellement collective et confinée à l’intérieur de leurs immenses frontières. Un jour de décembre 1978, alors que l’empire du Milieu se remettait à peine des affres de la révolution culturelle, Deng Xiaoping leur a lancé un slogan révolutionnaire : "Enrichissez-vous". Vingt ans plus tard, c’est devenu le credo d’un milliard 300 millions de Chinois et, pour une partie d’entre eux, c’est chose faite. Pour les autres, les ruraux surtout, la vie est devenue impossible. Depuis la nuit des temps en Chine, cette catégorie-là cherche à quitter sa terre pour un monde meilleur. La diaspora chinoise, dit-on, est la plus nombreuse au monde, avec 100 millions de personnes, et la plus riche. (…)
– Jusqu’en 2000, Pékin tentait encore de freiner le mouvement, afin de ne pas entacher l’image du régime. Aujourd’hui, il l’encourage, en particulier pour les braves qui veulent tenter leur chance en Afrique. Dans l’esprit des dirigeants chinois, et singulièrement dans celui du président, surnommé parfois Hu Jintao l’Africain, l’immigration est même devenue une partie de la solution pour faire baisser la pression démographique, la surchauffe économique, la pollution. "Nous avons 600 rivières en Chine, 400 sont mortes de pollution, affirmait un scientifique dans Le Figaro, sous couvert de l’anonymat. On ne s’en tirera pas sans envoyer 300 millions de personnes en Afrique !"
Ils sont pour l’instant des centaines de milliers à avoir fait le grand saut.
– Et c’est ainsi que s’achève, dans le plus grand silence, l’une des dernières étapes de la mondialisation et la rencontre des deux cultures les plus éloignées que la terre puisse porter. En Afrique, leur nouveau Far West, les Chinois découvrent à tâtons les grands espaces, l’exotisme, le rejet, le racisme, l’aventure individuelle – voire intérieure. Ils comprennent que le monde est plus complexe que ne le décrit le Quotidien du peuple. Ces migrants-là se retrouvent tantôt prédateurs, tantôt héros de leur propre histoire, conquistadors ou samaritains. Ils ont, bien sûr, tendance à rester entre eux, à manger comme chez eux, ils ne font pas l’effort d’apprendre les langues autochtones ni même le français ou l’anglais et affichent souvent une moue de dégoût à l’idée d’épouser les coutumes locales, sans parler d’une femme africaine !
A force de s’être enfermés derrière leurs grandes murailles durant des millénaires, les Chinois auraient perdu l’envie de s’adapter aux autres civilisations ou de cohabiter avec elles. Mais aucun ne reviendra indemne d’Afrique. Leurs voyages, leurs découvertes ébranlent désormais l’inertie de la Chine autant qu’a pu le faire, dans les années 1980, sa conversion au capitalisme. Ces Chinois-là feront naître de nouvelles idées, de nouvelles ambitions.
– D’ailleurs, leur gouvernement, lui aussi, change depuis qu’il a intensifié sa présence en Afrique. Très attaché à sa devise de "non-ingérence" dans les affaires intérieures, il se rend compte progressivement qu’un soutien trop affiché à certains dictateurs peut lui causer un tort considérable. C’est ainsi que Pékin, après avoir été le plus sûr allié de Khartoum ou de Harare, tente aujourd’hui de freiner l’élan guerrier du Soudan au Darfour et n’aide plus Robert Mugabe, le dictateur zimbabwéen, qu’au compte-gouttes.
– L’Afrique, ensuite. Les puissances coloniales l’ont pillée jusqu’en 1960, avant de pérenniser leurs intérêts en y soutenant ses régimes les plus brutaux. L’aide, que l’on estime à 400 milliards de dollars pour toute la période 1960-2000 (400 milliards, c’est l’équivalent du PNB de la Turquie en 2007, mais aussi des fonds que l’élite africaine aurait cachés dans les banques occidentales), n’a pas produit l’effet escompté et aurait même, selon une théorie en vogue, empiré les choses. Il n’empêche, l’Afrique n’a survécu que grâce au sentiment de culpabilité des Occidentaux, qu’elle a fini par décourager. En faisant échouer tous les programmes de développement, en restant la victime éternelle des ténèbres, des dictatures, des génocides, des guerres, des épidémies et de l’avancée des déserts, elle se montre incapable de participer un jour au festin de la mondialisation. "Depuis l’indépendance, l’Afrique travaille à sa recolonisation. Du moins, si c’était le but, elle ne s’y prendrait pas autrement", écrit Stephen Smith dans Négrologie. Avant de poursuivre avec ces mots terribles : "Seulement, même en cela, le continent échoue. Plus personne n’est preneur."
– Erreur, la Chine est preneuse. Pour alimenter sa croissance démesurée, la République populaire a un besoin vital en matières premières dont le continent regorge : le pétrole, les minerais, mais aussi le bois, le poisson et les produits agricoles. Elle n’est pas rebutée par l’absence de démocratie ni par la corruption. Ses fantassins ont l’habitude de dormir sur une natte, de ne pas manger de la viande tous les jours. Ils trouvent des opportunités là où d’autres ne voient que de l’inconfort ou du gaspillage. Ils persévèrent là où les Occidentaux ont baissé les bras pour un profit plus sûr. La Chine voit plus loin. Ses objectifs dépassent les anciens prés carrés coloniaux et déploient une vision continentale à long terme. Certains n’y voient qu’une stratégie, apprise de Sun Tsu : "Pour battre ton ennemi, il faut d’abord le soutenir pour qu’il relâche sa vigilance ; pour prendre, il faut d’abord donner." D’autres croient sincèrement aux partenariats "gagnant-gagnant", ce leitmotiv de la propagande de Pékin.
– De fait, la Chine ne fait pas que s’emparer des matières premières africaines. Elle écoule aussi ses produits simples et bon marché, retape les routes, les voies ferrées, les bâtiments officiels. Manque d’énergie ? Elle construit des barrages au Congo, au Soudan, en Ethiopie, et s’apprête à aider l’Egypte à relancer son programme nucléaire civil.
– Besoin de téléphone ? Elle équipe toute l’Afrique de réseaux sans fil et de fibres optiques. Les populations locales sont réticentes ? Elle ouvre un hôpital, un dispensaire ou un orphelinat. Le Blanc était condescendant et m’as-tu-vu ? Le Chinois reste humble et discret. Les Africains sont impressionnés. Plusieurs milliers parlent ou apprennent aujourd’hui le chinois. Beaucoup d’autres admirent leur persévérance, leur courage et leur efficacité. Et toute l’Afrique se réjouit de cette concurrence qui casse les monopoles des commerçants occidentaux, libanais et indiens. (…)
– La Chine en Afrique est donc plus qu’une parabole de la mondialisation, c’est son parachèvement, un basculement des équilibres internationaux, un tremblement de terre géopolitique. S’y installe-t-elle au détriment définitif de l’Occident ? Sera-t-elle pour le continent des ténèbres la lumière providentielle ? L’aidera-t-elle à prendre enfin sa destinée en main ? Pour répondre à ces questions, nous le savions, quelques articles ne suffiraient pas. Il fallait aller sur place, sillonner l’Afrique de part en part, aller à la rencontre des Chinois et des Africains, se mettre dans la peau des uns et des autres ; il fallait écrire ce livre…
Article paru dans l’édition du 20.05.08