ITALIA, POLITICA, USA
REPUBBLICA Mar. 11/4/2006 ARTURO ZAMPAGLIONE
Da giorni il Dipartimento di Stato ha invitato i suoi
funzionari alla massima cautela
L´amministrazione Usa non si sbilancia: bene anche con
Prodi
Bush ha seguito fino a sera l´altalena dei risultati
evitando ovviamente ogni commento ufficiale
Jeremy Rifkin: "Prodi è molto conosciuto e rispettato a Washington"
NEW YORK – George W. Bush è stato tenuto al corrente
dell´altalena dei risultati elettorali da funzionari e portaborse che lo hanno
accompagnato alla John Hopkins University per un discorso sulla guerra al
terrorismo, poi alla Casa Bianca per seguire le massicce manifestazioni di
protesta per le leggi sull´immigrazione. Il presidente americano non poteva non
essere nervoso, ma non lo ha mai dato a vedere.
Silvio Berlusconi è stato in questi anni non solo un suo fedelissimo alleato,
ma spesso la quinta colonna di Washington nell´Unione europea. E quando ieri
mattina il sito «MsNbc» ha pubblicato la foto del premier italiano sopra ai
primi exit polls e alla scritta «In pericolo!», Bush sarà rimasto deluso,
sconfortato, irritato. Ma si è ben guardato da fare commenti ufficiali. E anche
da parte dei suoi collaboratori la reazione è stata prudente e diplomatica.
«Lavoreremo bene con qualsiasi governo esca del voto», ha assicurato Kurt D.
Volker, l´assistente del segretario di Stato per gli affari europei, che ieri
mattina era ospite dell´ambasciatore d´Italia a Washington, Giovanni Castellaneta,
per un «cappuccino elettorale» assieme a politologi, diplomatici e giornalisti.
Volker si è rallegrato per «la vigorosa affluenza alle urne» (ben più alta di
tutte le elezioni negli States) e ha negato che ci fossero preoccupazioni per
una alternanza a Palazzo Chigi: «Le nostre relazioni con l´Italia sono così
solide e stabili che non c´è motivo di pensare che cambino».
Anche Sean McCormack, portavoce del dipartimento di Stato, si è espresso in
modo molto simile a Volker: segno di un probabile coordinamento della risposta
americana. «Non farò commenti sugli exit polls, né sarò io a proclamare il
vincitore delle elezioni italiane», ha premesso il collaboratore di Condoleezza
Rice a chi gli chiedeva se, dopo aver perso José Maria Aznar in Spagna, Washington
avrebbe rimpianto Berlusconi. «Ma sia chiaro», ha osservato McCormack:
«Lavoreremo bene con chiunque sarà il prossimo premier. L´Italia è un paese
amico e alleato».
L´atteggiamento flemmatico di Washington è stato in parte causato dalle
incertezze sull´esito del voto e dal dietrofront dei media americani: che prima
hanno annunciato il tramonto di Berlusconi, per poi spiegare che i risultati
erano «too close to call», troppo provvisori per poter proclamare un vincitore.
«Comunque non bisogna sopravvalutare i timori americani per l´arrivo di Romano
Prodi», spiega a Repubblica Jeremy Rifkin, studioso di trend economici e autore
di vari bestseller. «Prodi è molto conosciuto e rispettato a Washington, dove è
già venuto sia come presidente del consiglio che come presidente dell´Unione
europea. Dubito che da parte degli Stati Uniti ci possano essere reazioni
indispettite».
Come molti americani progressisti, anche Rifkin si è entusiasmato per le
prospettive di una affermazione del centro-sinistra. Negli ultimi giorni le
televisioni e i quotidiani americani, di solito molto distratti, quasi
indifferenti, rispetto alla politica interna italiana, hanno mostrato molto
interesse per il duello Prodi-Berlusconi. E di solito sono sembrati più critici
del cavaliere e più incoraggianti nei confronti del professore.
Tutti i media hanno sottolineato il clima «volgare» della campagna elettorale,
i «peccati» anti-democratici commessi dal premier e la situazione drammatica
dell´economia italiana. «Il vincitore delle elezioni erediterà una economia
soft», ha titolato ieri il Wall Street Journal.
Il quotidiano finanziario di solito appoggia i partiti di centro-destra, più
vicini alla sua ideologia liberista, ma questa volta si è mostrato più
neutrale, limitandosi a elencare le sfide del nuovo governo. Ovviamente, dal
punto di vista dei guru di Wall Street, il testa-a-testa tra i due schieramenti
appare lo scenario più pericoloso, perché lascia prevedere tensioni,
distrazioni, compromessi pasticciati. E rende anche più difficile – anche se
non impossibile – la proposta avanzata da Rifkin, secondo cui, per uscire
dall´impasse, l´Italia dovrebbe puntare a una ampia convergenza politica
sull´obiettivo di una «terza rivoluzione industriale», fondata sull´idrogeno e
le energie rinnovabili e in collegamento con le linee del nuovo governo tedesco
di Angela Merkel.