DANA PRIEST
Copyrigth
Washington Post – La Repubblica, traduz. Fabio Galimberti
Congresso, tribunali e alleati contestano le misure
adottate dagli Usa nella guerra ad Al Qaeda. Il governo è costretto a dare
risposte
L´amministrazione deve rivedere gli elementi chiave della
sua strategia
La Casa Bianca, pressata dalle critiche del Congresso,
delle associazioni per i diritti civili e degli alleati europei, inizia a
rivedere la propria strategia di repressione del terrorismo.
Cinque anni dopo gli attacchi dell´11 settembre,
l´amministrazione Bush si trova davanti alla prospettiva di dover riesaminare
alcuni elementi chiave dei suoi sforzi per combattere il terrorismo alla luce
delle contestazioni che arrivano dai tribunali, dal Congresso e da importanti
alleati europei.
Il presidente della Commissione servizi segreti della Camera dei deputati,
repubblicano, e altri parlamentari si sono lamentati di non essere stati
informati sui programmi segreti di sorveglianza e sulle gigantesche banche dati
usate per monitorare – un fatto senza precedenti – sia all´interno degli Stati
Uniti che all´estero, telefoni cellulari, fax, messaggi e-mail e bonifici
bancari. I governi europei e tre organismi internazionali stanno indagando
sulle prigioni segrete gestite dalla Cia, e alcuni Paesi si sono impegnati a
non consentire il trasporto di individui sospettati di terrorismo attraverso i
loro aeroporti. Sei alleati europei hanno chiesto al presidente Bush di
chiudere la prigione per sospetti terroristi di Guantanamo, a Cuba, adducendo
come motivazione violazioni del diritto internazionale e maltrattamenti ai
danni dei detenuti.
E recentemente la Corte Suprema ha puntato il dito contro le commissioni
militari create dal governo per processare i detenuti, dichiarando che violano
le convenzioni di Ginevra e che non hanno mai ricevuto la necessaria
autorizzazione da parte del Congresso.
Abituato ad averla vinta sulle questioni legate alla sicurezza nazionale, il
governo ora è costretto a dare risposte a critiche che un tempo ignorava. La
sentenza dell´alta corte ha rigettato la tesi della Casa Bianca sui poteri
esecutivi quasi illimitati del presidente in tempo di guerra, e ora gli
avvocati del governo americano stanno riesaminando le carte per capire se sarà
necessario rimettere mano a qualcun´altra delle norme adottate dopo gli
attacchi al World Trade Center e al Pentagono dell´11 settembre 2001, in
particolare quelle riguardanti le convenzioni di Ginevra.
«Stiamo cercando di capire, tra le altre cose, come procedere e se questa
sentenza può avere un´applicazione più ampia», dice la portavoce della Casa
Bianca Dana Perino. «Stiamo soppesando tutte le questioni e analizzando con
molta attenzione». La Perino ha contestato le voci di un braccio di ferro
all´interno dell´amministrazione su un eventuale cambiamento delle regole, e ha
descritto invece l´atmosfera come una «mobilitazione generale» per cercare «di
trovare una via per andare avanti».
Il Congresso, nel frattempo, ha segnalato che intende avere voce in capitolo
sulla risposta che darà il governo alla sentenza della Corte Suprema. La
commissione Giustizia del Senato ha iniziato ieri a discutere la nuova legge
per i processi ai detenuti di Guantanamo.
«La dottrina di Bush del "fidatevi di me" è messa in discussione
dai tribunali, dal Congresso e dal Paese, che stanno insistendo per cambiare le
cose e avere più voce in capitolo», dice l´ex parlamentare Timothy J. Roemer
(democratico, dell´Indiana), che fa parte della commissione indipendente
che ha indagato sugli attacchi dell´11 settembre.
In campo internazionale, il governo americano e la Cia stanno riesaminando
le procedure per la cattura, il trasporto e la detenzione di individui
sospettati di terrorismo. Peter Hoekstra (repubblicano, del Michigan),
presidente della commissione Servizi segreti della Camera, ha confermato
domenica di aver criticato Bush, in una lettera del 18 maggio, per non aver
informato il Congresso di quello che lui ha definito un importante programma di
intelligence, e ha detto che questa omissione è stata una violazione della
legge e un´offesa nei suoi confronti. «Non è a discrezione di questo o di
qualsiasi altro presidente o membro dell´esecutivo decidere se tenere le
commissioni Servizi segreti al corrente di quello che loro stanno facendo»,
ha detto a Fox News Sunday.
Oltre al Congresso, l´amministrazione deve fronteggiare una serie di cause
intentate da gruppi per la tutela della privacy e dei diritti civili, come
quella che ha portato alla sentenza della Corte suprema. L´American Civil
Liberties Union (Aclu) ha sfidato in tribunale, a Detroit, dove risiede una
delle comunità arabe più numerose al di fuori del Medio Oriente, a nome di
accademici, avvocati, giornalisti e associazioni no profit, il programma di
intercettazioni interne dell´Agenzia per la sicurezza nazionale. La Aclu
sostiene che il programma intralcia le comunicazioni telefoniche e telematiche
tra i querelanti e persone risiedenti in Paesi mediorientali. Il Center for
Constitutional Rights ha in corso una causa parallela a questa di fronte a un
giudice federale, a New York.
Il dipartimento di Giustizia finora è riuscito a convincere molti giudici a
respingere queste cause, così come quelle che contestano il programma di
«consegne speciali» della Cia, invocando lo state secret privilege, norma
secondo cui dare seguito a una determinata causa potrebbe nuocere alla
sicurezza nazionale. Domenica il dipartimento di Giustizia ha di nuovo
invocato questa clausola di fronte al giudice distrettuale Anna Diggs Taylor, a
Detroit. L´Aclu, a nome dei querelanti, ha nuovamente chiesto che il
tribunale si pronunci, per costringere il governo a sospendere il suo programma
di intercettazioni senza ordine della magistratura sulle telefonate
internazionali e le e-mail dirette all´estero di cittadini statunitensi.