L’Unione Europea, nata da esigenze economiche e geopolitiche, ha avuto un percorso storico lento e punteggiato da insuccessi e battute d’arresto, di cui il Brexit è un episodio, certamente importante ma non inatteso, già prefigurabile dopo le elezioni politiche del maggio 2015. La Gran Bretagna è fin dalla sua entrata nella UE un paese a forte componente euroscettica, che entra in Europa più per condizionarla che per farla velocemente progredire, tanto da essere individuata dagli euroentusiasti come il cavallo di Troia degli Usa; un paese che conserva una accentuata autonomia in politica estera, si integra economicamente col continente, ma non nell’euro e non in Schengen.
Il referendum
Il referendum, espediente elettorale di Cameron per limitare l’impatto dell’UKIP di Farange alle elezioni politiche, è sponsorizzato da forze politiche ma soprattutto da gruppi economici. Trova terreno fertile nel disagio economico, cresciuto assieme alla crisi, disagio che coinvolge i lavoratori salariati ma anche fette di piccola borghesia urbana e rurale. E’ trasversale ai due principali partiti, sia pure per motivazioni diverse (la protesta contro la linea di austerity nei labouristi, il desiderio di una maggiore libertà di manovra nel campo di finanza e immigrazione nei conservatori).
I “leavers” contano su un appoggio consistente dei media, in particolare dei tabloid popolari, quelli che si rivolgono al loro specifico elettorato, mentre grandi gruppi come Murdoch adottano una “doppia morale”: il Times appoggia il remain, il Sun è nettamente per i leavers; il che è anche la spia che i favorevoli al Remain puntano all’elettore istruito, conservatore, attento ai fattori economici. I leavers puntano su due principali temi di propaganda: l’orgoglio nazionalista da un lato, dall’altro le paure legate all’ondata migratoria. I remains non possono che giocare anch’essi il tema della paura (il salto nel buio) che può trovare rassicurazione nella continuità (l’Europa).
L’assassinio della deputata Joan Cooks aggiunge un sinistro tocco alla campagna elettorale, reintroducendo l’assassinio politico come strumento elettorale, un elemento scomparso da tempo in Europa.
Il referendum si è trasformato in uno strumento di selezione politica per la borghesia, segna la fine della leadership Cameron senza che il Labour di Corbyn ne tragga vantaggio.
Le reazioni a caldo
A caldo a Bruxelles la reazione è stata di irritazione (andatevene al più presto e lasciateci lavorare – l’accordo firmato con la Gran Bretagna qualche settimana fa non è più valido).
Cameron potrebbe infatti limitarsi ad informare ufficialmente gli euroburocrati dei risultati del referendum, senza appellarsi all’art.50 del trattato di Lisbona che avvierebbe i negoziati con gli altri stati membri sui tempi e sui modi dell’uscita. In questo modo manterrebbe i diritti di stato membro in particolare il “passaporto”. Boris Johnson, il conservatore ex sindaco di Londra considerato uno degli artefici della Brexit e candidato alla successione di Cameron, sta già frenando rispetto all’uscita immediata.
Il referendum diventa uno strumento di pressione per chi vuol lasciare (Le Pen in Francia, Salvini in Italia) che però per ora non sono il cavallo prescelto dalle proprie borghesie. Ma è uno strumento anche nelle mani di chi sostiene una Europa più integrata nel fisco, nel bilancio. A costo di perdere qualche pezzo (ad es. l’Ungheria). Si tratta, per quanto risulta dalle prime dichiarazioni (la Brexit come opportunità per il resto d’Europa) di una voce di minoranza, che non esita però a definire la Gran Bretagna una vera zavorra per l’Europa.
I vertici di Bruxelles ufficialmente hanno già escluso Cameron e i 73 eurodeputati inglesi dalla seconda giornata di vertice europeo (il 29 giugno), hanno già annunciato la decadenza di Jonathan Hill da Commissario europeo; quindi sembrano voler accelerare i tempi. Principalmente per evitare le conseguenze del Brexit sull’euro (che subirà i contraccolpi dell’indebolimento della sterlina) e sulle Borse europee. Resta il fatto che il Regno Unito è uno dei più importanti stati membri.
IN e OUT per la borghesia
Le organizzazioni padronali britanniche dell’industria e del commercio erano per il Remain e dopo il voto premono sul governo per evitare decisioni affrettate, perché si rimanga nel mercato unico, e chiedono misure di sostegno economico per affrontare la contingenza. Il 50% degli investimenti diretti in Gran Bretagna (500 MD di £) provengono dai 27 stati membri dell’Unione.
Il 50% dell’export inglese si rivolge all’Europa (e produce il 12,6% del PIL), mentre l’export in Gran Bretagna per i 27 pesa l’11% sul totale (e produce il 3,1% del PIL). Le industrie esportatrici erano quindi per il remain, ma molte trarrebbero vantaggio da misure protezioniste. Comunque secondo i sondaggi della CB, la Confindustria inglese, sono per il remain circa l’80% delle imprese, preoccupate per le conseguenze non solo sull’export ma delle conseguenze sulla produzione, fortemente internazionalizzata.
Alcune confindustrie europee hanno già fatto sapere che la Gran Bretagna deve da subito essere considerato un paese terzo.
Fra i 27 potrebbe essere danneggiata l’Italia perché nel 2015 su un interscambio di 33,1 miliardi di €, con un saldo positivo per l’Italia di 11,9 miliardi; la previsione ora è di una diminuzione progressiva dell’export italiano, in particolare nei settori meccanica strumentale e mezzi di trasporto. Lo stesso danno potrebbe pesare sull’Olanda, anch’essa forte esportatrice in attivo in Gran Bretagna. L’Italia ha anche il problema della Borsa di Milano che dal 2007 si è fusa con quella di Londra.
La finanza è divisa, favorevoli al Brexit gli Hedge Fund, che ritengono di poter trarre dei vantaggi dal disordine monetario indotto dalla Brexit e comunque trovare giovamento dal liberarsi della legislazione comunitaria. Contraria al Brexit invece in generale la City perché essa oggi funziona per investitori asiatici e medioorientali come base logistica per la penetrazione in Europa, banche e imprese sono presenti con le loro filiali, uffici legali e di rappresentanza ecc.; il rischio per la City è di perdere questa funzione a vantaggio di altre città come Parigi o Francoforte o comunque di vederla ridimensionata nel tempo. Il nuovo sindaco milanese Giuseppe Sala ha già parlato di un possibile ruolo persino per Milano. L’industria automobilistica giapponese e americana sta già valutando un parziale ritiro di investimenti diretti.
Le banche inglesi, a loro volta, perdono i “diritti di passaporto”, che permettono ad una banca o società di investimento britannica di commerciare liberamente in Europa.
La ricerca teme per un eventuale venir meno dei fondi del Consiglio europeo che coprono al netto un quinto dei finanziamenti.
Totalmente a favore del Brexit invece gli agricoltori, la filiera agro-alimentare, i commercianti e quelli che operano nei servizi alla persona (per i quali la concorrenza dell’“idraulico polacco” è tangibile).
Il referendum come sondaggio sociale
Il referendum è anche un sondaggio sociale di grande interesse.
E’ The Guardian che tradizionalmente si incarica di fornircene i dati.
La partecipazione al voto è alta rispetto agli standard inglesi: il 72,2% degli elettori (in tutto 46,5 milioni) contro il 69,1 delle ultime elezioni politiche. L’OUT vince con il 51,9% e un vantaggio di 1,269,501 voti.
Il paese è spaccato geograficamente, ma soprattutto, come sempre, per età, livello di istruzione e di reddito.
Sinteticamente l’OUT vince in Galles e in Inghilterra (salvo Londra) con punte del 59% nelle Midlands, l’IN vince in Irlanda del Nord (56%) Scozia e Londra (60%) – dati Le Figaro (nota 1). Gli elettori giovani hanno votato in maggioranza per restare in Europa, il contrario gli anziani (nota 2). I giovani temono che la loro libertà di movimento sia limitata e la loro propensione a rimanere aumenta in relazione al grado di istruzione più elevato. Tuttavia solo la metà degli under 34 ha votato, mentre hanno votato in massa gli anziani, mobilitati più efficacemente dal fronte Brexit. In generale sono i meno istruiti a premiare l’OUT. The Guardian sostiene che altri sondaggi dimostrano che non hanno votato soprattutto i giovani delle minoranze etniche, intimiditi dai fautori del Brexit (tutti bianchi) o assolutamente sfiduciati nei confronti delle istituzioni, spesso esclusi dalla istruzione universitaria e discriminati nella ricerca del lavoro.
L’immigrazione
Il terrore di una immigrazione fuori controllo è stato uno dei cavalli di battaglia della propaganda elettorale pro-Brexit. Da poco la Gran Bretagna ha approvato una legislazione punitiva rivolta a colpire soprattutto gli immigrati comunitari che “sono venuti a sfruttare il generoso welfare inglese”. D’ora in poi per sette anni essi si troveranno a versare i contributi senza poter accedere in cambio all’assistenza medica e alla scuola. Ma c’è un risvolto della medaglia.
Gli immigrati comunitari oggi in Gran Bretagna sono 2,1 milioni; l’85% lavora. Rappresentano ora il 6,8% della forza lavoro di 31,5 milioni di persone. Dieci anni fa la percentuale era del 2,6%, tre anni fa del 4,8%. Il gruppo più numeroso sono i polacchi (883 mila) 411 mila sono irlandesi, 297 mila tedeschi, 229 mila rumeni, 204 mila italiani). Non portano via il lavoro a nessuno dal momento che il tasso di occupazione degli inglesi è ai massimi storici (74,2%). Se mai accettano salari più bassi e sono sindacalmente meno protetti e quindi “fanno concorrenza sleale” ai lavoratori inglesi. Se scattassero gli effetti della Brexit, tre quarti degli immigrati comunitari non avrebbero i requisiti per il visto. Gli effetti sull’economia inglese di un loro ritiro non è ancora stato valutato. Ma è comunque interessante che il leave ha prevalso nelle aree inglesi dove gli immigrati sono pochi (dati del National Office of Statistics), mentre dove la presenza immigrata è tangibile prevale il remain.
In particolare una decina di centrali sindacali che rappresentano 6 milioni di lavoratori, hanno fatto pubblica dichiarazione per il remain.
Un dato che è stato certamente sottovalutato è che attualmente ci sono anche molti più inglesi che vivono nello spazio UE di quanti europei si rechino nel Regno Unito. Gli espatriati stabili inglesi nei paesi comunitari sono 5 milioni, molti sono pensionati, anch’essi alla ricerca di un welfare più generoso, ma anche per sfruttare i vantaggi di una moneta più forte (381 mila in Spagna, 353 mila in Irlanda, 172 mila in Francia, 97 mila in Germania, 72 mila in Italia ecc).
Resta il fatto che l’immigrazione è stata la bandiera ideologica su cui si è giocata la partita del referendum ed evidentemente i sostenitori del Brexit sono stati più incisivi nell’incitare al voto.
Gli esiti
Gli esiti pratici non sono scontati né nei tempi né nei contenuti.
Dipenderanno da quanto il risultato del referendum corrisponda ai reali rapporti di forza dei due campi, ma anche dagli interessi dei partners europei e dai rapporti di forza interni ai “restanti” 27 paesi dell’Unione, dalle pressioni esercitate dall’esterno dagli Usa (il Wall Street Journal esprime grosse preoccupazioni che la crisi della sterlina significhi un apprezzamento del $) e dai partners economici asiatici della Gran Bretagna.
Le dimissioni di Cameron di fatto si tradurranno in stallo politico almeno fino ad ottobre quando sarà scelto un altro premier. La Scozia sta già minacciando un nuovo referendum per separarsi dal Regno Unito e restare in Europa.
In ogni caso i grossi interessi che stavano dietro il remain peseranno sulla gestione del dopo, in particolare cercheranno di procrastinarne nel tempo gli effetti.
Il referendum di giovedì scorso ha stabilito SE la Gran Bretagna doveva uscire dall’Unione Europea, ora si apre la battaglia su COME uscirne.
La Brexit è un voto operaio? È un voto di sinistra?
Alcune forze politiche italiane, ma anche europee sostengono che nel Brexit sono confluiti molti voti dei lavoratori, oppure hanno sostenuto il Brexit come parte di una campagna no austerity. E’ ovvio ad es. che le draconiane misure antisociali imposte alla Grecia hanno influito su un atteggiamento anti-Eu. E anche il timore che la forte presenza di immigrati produca un abbassamento dei salari. Fra i salariati meno istruiti poi c’è il timore che lo straniero sia un concorrente anche nel trovare lavoro. The Guardian conferma evidenziando come il voto dei sobborghi a maggioranza operaia di Havering, Barking e Dagenham a Londra ha premiato il leave. Lostesso è avvenuto per i quartieri “poveri” di Liverpool e Newcastle e accusa il Labour di aver trascurato nella sua propaganda giovani lavoratori e le minoranze etniche. Il sito WSWS osserva che l’OUT è particolarmente alto fra chi guadagna meno di 15 mila £ l’anno, uno strato sociale che sempre più sta lasciando il Labour per rivolgersi all’UKIP di Farange.
In ogni caso se l’operaio vota seguendo la sirena xenofoba non è una buona notizia per la sinistra. Anzi un voto di questo tipo dimostra solo che la classe, se affida il suo destino ai politici borghesi, in particolare quelli xenofobi e nazionalisti, diventa strumento e non attore anche del voto. Naturalmente non va per nulla escluso che molti lavoratori abbiano votato Brexit in odio a Cameron o alla linea di austerità imposta dalla UE. Ma la liberazione dallo sfruttamento affidata al voto di uno l’altro schieramento borghese è una ulteriore truffa, se sostituisce la lotta e l’autoorganizzazione. E va comunque ribadito che dovendo pronunciarsi sui temi oggetto del referendum, la libertà di movimento delle persone, dei lavoratori in particolare è uno dei diritti fondamentali da difendere. Se il padronato usa gli immigrati per introdurre divisioni fra i lavoratori l’unica risposta adeguata è la solidarietà e l’inclusione degli immigrati nelle lotte.
La Brexit potrebbe innescare la disgregazione di un’Unione Europea già minata da spinte centrifughe. Un effetto immediato potrebbe essere una maggiore instabilità politica e una maggiore difficoltà da parte dei governi imperialisti nel gestire la crisi economica e nel mantenere il controllo sulle masse. Come comunisti dobbiamo fare leva sulla loro debolezza per impedire che i lavoratori vengano utilizzati dalle frazioni borghesi e spinti a scontrarsi fra loro nel nome dell’europeismo o dell’autonomia nazionale o per sostenere la borghesia di casa propria contro le altre, e fare sì che si uniscano per rovesciare le istituzioni che tutelano lo sfruttamento, nazionali o continentali o mondiali che siano.
A proposto di Brexit, armiamoci di ragione.
Pubblichiamo qui una presa di posizione della Casa Rossa Spoleto
Senza frontiere. Nostra Patria è il Mondo intero, nostra legge è la libertà ! Proletari di tutto il mondo unitevi!
Non ci piacciono i confini dell’Europa né degli Stati nazionali. Non ci piacciono i confini e basta ! Non ci piace l’Europa della BCE, della Merkel, non ci piacciono Holland, Renzi. Non ci piace, anzi ci fanno proprio schifo, Farage, Le Pen, Salvini.
Allora non si capisce tutto questo esultare a “sinistra”, per un gioco in cui non siamo entrati neanche in campo e non siamo neanche in panchina, dove la partita se la sono giocata i Globalist del mercato capitalista e i reazionari delle Piccole Patrie. Cosa cambierà politicamente per il proletariato ? Nulla ! Economicamente qualche frazione del capitale ci potrà guadagnare, qualche altra perdere, ma per i proletari non cambierà niente ! Fosse stata la Grecia che si sottraeva ai diktat delle banche, già sarebbe stato un discorso diverso, ma qui siamo nella city finanziaria ( e non venite voi che vi schierate con uno dei due competitori, a raccontare che agli speculatori dispiace, non è così, stanno solo cambiando il loro posizionamento in campo). Guardate voi che esultate, che coloro che hanno sostenuto ( non parliamo del voto, ma di chi indirizza il voto, poteri economici, politici, mediatici ) i nazionalisti dell’ultra destra britannica, sono gli stessi, che 40, o poco più, anni fa, hanno spinto per entrare in Europa; gli piaceva allora una circolazione di capitali e di merci più favorevoli ai loro interessi! Ora che a circolare sono invece gli esseri umani, i conti non gli tornano più, il conto costi benefici, non è più lo stesso.
I comunisti stanno con i proletari, non stanno né con i mercati globali, né con i mercati nazionali. Generalizzare in ogni paese, in ogni città, le lotta di classe, fare come la Francia. Proletari di tutto il mondo unitevi, nostra Patria è il Mondo intero!