Una delle menzogne che hanno accompagnato la propaganda a favore della Riforma del Lavoro e di quella Previdenziale è che avrebbero creato lavoro e l’economia si sarebbe da subito risollevata.
Una ricerca IBGE del mese scorso smonta del tutto questa argomentazione, rivelando che nel 2017 in Brasile si registra un aumento della disoccupazione e del lavoro informale. Il tasso di disoccupazione risulta essere del 12,7%, record della serie storica risalente al 2012, che corrisponde a 13,23 milioni di disoccupati.
Ma il peso reale della disoccupazione, non riportato dai media ma illustrato da IBGE, comprende anche chi lavora meno di 40 ore la settimana e la ‘forza-lavoro potenziale’, e risulta di 26,5 milioni di persone. Quest’ultimo dato fornisce la percentuale di sottoutilizzo della forza-lavoro, che risulta essere del 23,8%. Nel 2016 era del 22,2%.
Tasso di sottoutilizzo della forza-lavoro, dai 14 anni di età (2012-2017)
-tasso di disoccupazione
-tasso integrato di sottoccupazione per insufficienza di ore lavorate
-tasso integrato di disoccupazione e forza lavoro potenziale
-tasso composto da sottoutilizzo della forza-lavoro
Anche questo dato trascura però la quota degli scoraggiati, di chi non cerca più lavoro, gli ‘inattivi’. Nel 2017 gli inattivi hanno raggiunto il record dal 2012 di 4,3 milioni di persone.
Rispetto al 2016 i disoccupati sono cresciuti di 1,47 milioni, soprattutto nell’industria e nell’edilizia.
Tra il 2014 e il 2017 circa 3 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro.
Ma c’è un altro dato allarmante: considerando i lavoratori con e senza contratto di lavoro, il 2017 si chiude con un saldo positivo di posti di lavoro (1,8 milioni). Ma mentre i posti di lavoro con contratto sono scesi di 685.000; quelli senza contratto aumentano di 598.000 e i lavoratori autonomi di 1,07 milioni.
La somma dei lavoratori autonomi e di quelli in nero supera di quasi un milione il numero di quelli con contratto (rispettivamente: 23,1 milioni, 11,1 milioni, 33,3 milioni).
Ma è cambiato anche il profilo della disoccupazione: aumenta sempre più la disoccupazione di lunga durata.
Più di 5 milioni di persone alla fine del 2017 risultano disoccupati da più di un anno (+130% dagli ultimi tre anni); più della metà sono giovani.
La disoccupazione colpisce quasi il 10% di persone con diploma superiore e più del 40% con licenza media.
Una conseguenza di questa situazione è l’impatto sulle pensioni: solo nel 2017, 1,09 milioni di persone hanno smesso di versare i contributi.
I giovani sono la vittima principale degli attacchi al mondo del lavoro e della recessione, assieme a donne e neri.
Nell’ultimo trimestre del 2017 il salario medio mensile più basso è stato quello delle collaboratrici domestiche, in gran parte donne e nere, pari a R$ 852 (210 euro), inferiore al salario minimo.
I lavoratori in nero guadagnano in media il 44% in meno di quelli contrattualizzati, per non parlare dell’assenza di ogni diritto.
Il presidente Temer ha chiuso il 2017 con un grande regalo al capitale imprenditoriale: il salario minimo avrà l’aumento più basso da 24 anni: sarà ritoccato dell’1,8 %, cifra che nemmeno si avvicina all’inflazione.
Quest’anno sarà di R$ 954 (236 euro). Secondo i dettami costituzionali, solo calcolando le necessità basilari di una famiglia come salute, trasporti, educazione, abitazione… il Dipartimento Intersindacale di Statistica e Studi Socioeconomici ha previsto a novembre 2017 che il salario minimo sarebbe dovuto essere di R$ 3731,39.
Questa sottrazione di salario ha ripercussioni importanti, perché la Riforma del lavoro usa come base di calcolo il salario minimo per determinare il valore minimo di pagamento del lavoro intermittente, modalità in grande espansione nel mercato del lavoro.
Il Ministero del Lavoro ha divulgato alla fine di gennaio il Registro Generale degli Occupati e dei Disoccupati che indica per il 2017 6.696 dimissioni sotto la forma di “dimissioni concordate”, attuate solo negli ultimi due mesi dell’anno, cioè dall’applicazione della Riforma del Lavoro. Chiamate anche “dimissioni consensuali”, presuppongono dimissioni di comune accordo tra padrone e salariato. In realtà il lavoratore subisce la perdita del lavoro e un grande danno economico, tra l’altro non avrà diritto nemmeno al sussidio di disoccupazione. Questo escamotage di licenziamento mascherato è invece per il padrone molto più vantaggioso delle vecchie dimissioni senza giusta causa, destinate ormai a scomparire.
Le dimissioni concordate sono una delle conseguenze più nefaste della Riforma: il datore di lavoro e il lavoratore non saranno mai in condizioni di parità per negoziare.
Oltre a corrodere i diritti dei lavoratori, il governo Temer non si è dimenticato del lavoro schiavistico che ancora affligge il paese. Lo scorso anno ha ridotto del 23,5% il numero di ispezioni contro il lavoro schiavistico: 88 interventi su 115 dell’anno precedente, il minor numero dal 2004. Il numero di lavoratori riscattati, cioè liberati dalla loro condizione di schiavitù in seguito ad interventi ispettivi, è stato il minore dal 1998.
Rimanendo sui record negativi, ma spostandoci nelle campagne brasiliane, si registra per il simulacro di Riforma Agraria esistente una battuta d’arresto, con l’azzeramento della distribuzione di terre improduttive ai contadini e alle loro famiglie. L’avanzata del capitale nelle terre ricche e fertili del paese ha provocato espulsioni e stermini di contadini e popolazioni intere. La lotta per la terra e le occupazioni che ne sono seguite hanno intimorito per la loro vastità ed organizzazione anche gli alti vertici del potere. Dapprima la dittatura con lo Statuto della Terra (1964) e l’istituzione dell’INCRA, poi il potere repubblicano con la Riforma Agraria, hanno stabilito linee-guida che pianificassero una graduale restituzione delle terre ai legittimi proprietari, con un meccanismo di riconoscimento della proprietà osteggiato a pallottole e sangue, e l’insediamento di famiglie contadine liberate dal potere latifondista ma rimaste senza terra da coltivare. Nel 2017 nessuna famiglia è stata ricollocata (dati INCRA, Istituto per la Riforma Agraria), fatto mai accaduto prima. Il numero diminuisce progressivamente dai governi appena precedenti. Sotto il governo di Dilma Rousseff solo 1686 famiglie sono state ricollocate, un calo drastico solo paragonato al 2015, in cui le famiglie sono state 26.335.
Di contro, tra il 2010 e i 2014, sempre sotto il governo Dilma, in Brasile la concentrazione delle terre è aumentata del 2,5% (6 milioni di ha).
La riforma agraria ha cessato ufficialmente di esistere dall’aprile 2016, quando il Tribunale della Corte dei Conti dell’Unione ha imposto all’INCRA la sua sospensione immediata, con lo scopo ufficiale di impedire le continue irregolarità ed arbitri nelle assegnazioni delle terre e porre un freno al buco di 2,5 miliardi di reais delle casse della riforma. Quel modello di Riforma Agraria e lo Statuto della Terra, nati per essere disattesi, sono falliti: hanno conservato la struttura fondiaria del paese, favorito la penetrazione del capitale nazionale e straniero e la speculazione immobiliare agraria.
Fonti: CSPConlutas 01, 02/02/2018; 08/03/2018
Esquerda Diário 18/01/2018; 27/02/2018
Esquerda Online 29/12/2017
PSTU 26/02/2018