LE STRAGI DELLA GUERRA NEI CANTIERI DI CASA NOSTRA
La gravissima strage di Brandizzo, poco prima della mezzanotte del 30 agosto 2023 quando cinque operai della manutenzione ferroviaria, dipendenti della Si.Gi.Fer. di Borgo Vercelli, sono stati travolti e uccisi da un treno in transito, ha visto il solito copione di sempre: raffica di banalità e scemenze amplificate dai media (su tutte quella un treno lanciato a 160 km/h sul cantiere), comunicati-fotocopia, sciopero poco più che simbolico dei sindacati concertativi (4 ore per la sola RFI, neanche un’ora per morto), lacrime di coccodrillo, diffusione di notizie senza alcun fondamento razionale e normativo su cause e concause.
Nel caso di Brandizzo è evidente che sia avvenuto un grave cortocircuito nelle procedure che regolano la comunicazione tra il Gestore Infrastruttura (Rete Ferroviaria Italiana RFI) e il Cantiere; le indagini si concentrano sulla congruenza dell’orario di inizio lavori, ovvero se siano iniziati prima del nulla osta necessario che deve essere dato dal regolatore della circolazione; sul perché gli operai si trovassero su un binario ancora in esercizio; sulla sorveglianza da parte del preposto di RFI sul posto; sull’osservanza delle procedure.
Noi che scriviamo queste note abbiamo condotto molti treni di notte affiancando i cantieri che operavano sul binario attiguo. Sulle linee con Blocco Automatico a Correnti Codificate in prossimità dei cantieri viene captato un codice restrittivo a bordo che impedisce di superare i 110 km/h, cui in molti casi si aggiungono rallentamenti segnalati sul posto e gestiti dal Sistema Controllo Marcia Treno, che impedisce ogni sfondamento di velocità. Si tratta di situazioni assai delicate in quanto si transita a pochissima distanza dai lavori, a volte in galleria e con forti rumori. I tratti di linea vengono chiusi parzialmente (si circola su unico binario) o totalmente con deviazioni di percorso. Le squadre che operano sui binari appartengono quasi sempre a ditte esterne, RFI sorveglia lo svolgimento regolare dei lavori.
E qui c’è un punto.
La denuncia dei sindacati di base (i concertativi hanno condiviso tutti i passaggi della ristrutturazione ferroviaria) parte da lontano, dalla fine degli anni Novanta quando venne separata la gestione Infrastruttura-Trasporto. È chiaro che col passaggio da un’impresa centralizzata a più gestori il flusso delle comunicazioni si complichi; la liberalizzazione senza regole ed il progressivo ricorso a ditte in appalto e subappalto hanno moltiplicato negli anni le problematiche, la progressiva precarizzazione del mondo del lavoro ha fatto il resto.
Probabilmente non è un caso isolato delle ditte in appalto e subappalto quello denunciato da un ex dipendente della Si. Gi. Fer: lavoratori spesso con contratti a tempo determinato, sottopagati o pagati in nero, con alle spalle ore di straordinario e che affrontano il lavoro notturno senza l’adeguato riposo, che effettuano i corsi di legge per la sicurezza solo sulla carta (vedi «Il Fatto Quotidiano» del 1° settembre, pag. 2). Una giungla dove l’esasperata ricerca del profitto sta alla base di tutto, dove appaltare all’esterno il controllo sulla sicurezza significa innescare un meccanismo infernale fatto di precarizzazione e morte.
In questi anni gli incidenti nella manutenzione ferroviaria sono stati costanti, caratterizzati da picchi di casi concentrati in poche settimane seguiti da mesi di relativa “calma”.
Nel 2022 sui binari italiani sono morti due operai (Ponticelli e San Remo) e sette sono rimasti feriti: tutti, tranne un ferito, erano dipendenti di ditte in appalto e subappalto. Il 2023 non ha registrato eventi fino all’inizio di maggio, per poi registrare tre episodi con cinque feriti fino alla terribile serata di Brandizzo. Tutti dipendenti di ditte in appalto e subappalto. Oggi il sangue di cinque operai coperto da una colata di calce si aggiunge a quello dei tre morti quotidiani sul lavoro in una vera e propria guerra sotterranea che semina morte e disperazione tra i lavoratori.
A fine luglio 2023 le vittime di questa guerra del capitale contro i lavoratori erano 559 (di queste 129 mentre si recavano a lavorare). Un incremento del 4,4% in un anno. Il record di questa strage è nel settore trasporti e immagazzinaggio, seguito dall’edilizia, manifatturiero e commercio. I lavoratori immigrati che hanno pagato con la loro vita l’incremento dello sfruttamento sono stati 79.
L’aspetto legale non lascia molti margini. Se i controlli sull’applicazione delle norme di sicurezza sono al minimo a causa di una cronica carenza di personale negli organi ispettivi delle ASL, se le battaglie di singoli Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza slegati dalle logiche sindacali concertative finiscono contro un muro di gomma, sul fronte legale e giudiziario il rischio è quello di vedere ancora una volta condannati gli ultimi anelli della catena lasciando incolumi o prescritti i vertici delle aziende coinvolte. Di far passare anche tra i lavoratori concetti come “fatalità” ed “errore umano”, che portano a frustrazione, passività e rassegnazione. Il punto è proprio questo: solo una forte mobilitazione dei lavoratori che abbia al centro delle rivendicazioni i temi legati alla sicurezza può dare una spallata ad un sistema che produce precarietà e morte.
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