ITALIA, BANKITALIA, ECONOMIA
CORRIERE Ven. 17/3/2006
Federico Fubini
La Banca d’Italia stima che
nel 2005 la spesa dello Stato per interessi sul debito è stata di 64,5 miliardi
di euro. Ma a differenza dei decenni scorsi, quando i rendimenti sui titoli
pubblici in gran parte integravano i redditi degli italiani, Via Nazionale
questa volta sottolinea una novità: l’anno scorso gli investitori «non
residenti», spesso grandi fondi esteri, hanno sottoscritto in Italia «titoli
non azionari» per 126,4 miliardi. Se si calcola che il Tesoro ha messo sul mercato nel 2005 circa 200
miliardi in obbligazioni, è molto probabile che più della metà del debito
emesso l’anno scorso sia in mano a compratori di altri Paesi. La tendenza è in
corso da anni. Anna Maria Grimaldi di Banca Intesa stima che circa il 45%
del debito pubblico italiano è detenuto da investitori fuori dal Paese. Se
si stima che sia così in media per tutte le cedole, nel 2005 il Tesoro ha
dovuto dunque spedire fuori dall’Italia interessi per 29 miliardi (una volta e
mezzo la Finanziaria 2006). In altri termini, entrate fiscali prodotte in
gran parte dal lavoro dipendente sono state usate per garantire rendimenti a
risparmiatori esteri: un trasferimento netto di risorse fuori da un’economia. Anche
in passato gli interessi sul debito erano stati elevati, ma creavano ricchezza
in Italia tramite le famiglie che in prevalenza li incassavano. «Oggi
quella quota di interessi sono una tassa occulta con un forte effetto
depressivo sulla domanda», sospetta l’economista Fabio Scacciavillani. Forse
non è così per chi oggi in Italia investe in altro modo per garantirsi
rendimenti anche migliori, ma chi paga tasse per finanziare gli interessi
passivi dello Stato all’estero non vede la stessa convenienza. Per questi
ultimi, ridurre il debito è davvero «patriottismo economico».