AMERICA LATINA, ENERGIA
REPUBBLICA Mer. 3/5/2006 MAURIZIO
RICCI
Ordine del presidente, l´esercito prende possesso dei
pozzi
Annunciata anche la requisizione delle miniere di zinco e delle foreste
Ma sul prezzo del greggio influiscono le tensioni con l´Iran e la paura di
attentati
Il presidente boliviano MORALES vara la nazionalizzazione dei giacimenti di
gas, alzando le royalties statali dal 50% all’82% dei profitti.
Colpite le compagnie di SPAGNA e BRASILE.
I soldati che circondano gli impianti, la bandiera nazionale
alzata in cima alle trivelle: dalla Bolivia l´ombra delle nazionalizzazioni
torna sull´industria petrolifera, la più grassa e ricca dell´economia mondiale.
In realtà, in un mercato isterico come quello del petrolio, non c´era bisogno
di una svolta drammatica come l´annuncio di lunedì, da parte del neopresidente
Evo Morales, della requisizione allo Stato del settore energia boliviano per
far salire la temperatura. E, in effetti, dietro la nuova scalata dell´oro nero
oltre quota 74 dollari al barile, registrata ieri a New York, ci sono sviluppi
più corposi e inquietanti: dalle tensioni sull´Iran alla preoccupazioni
esplicite del governo saudita per possibili attentati di Al Qaeda ai pozzi di
quella penisola arabica che resta la vera, grande cisterna petrolifera
mondiale. Nella geopolitica dell´energia mondiale, la Bolivia ha, invece, un
posto piccolo e marginale. Produce poco petrolio, soprattutto gas. Ma, anche se
è il secondo produttore latinoamericano di metano, le sue riserve non rientrano
neanche nella classifica delle prime 20 al mondo, ben lontane dai giganti
Russia, Iran, Qatar.
L´impatto psicologico può essere, però, profondo, anche al di là dei mercati
dell´energia. Nella decisione annunciata da Morales, il leader indio che
ha vinto le elezioni boliviane sull´onda di un nazionalismo populista, si
incrociano due tendenze di fondo. La prima è il tentativo dei paesi produttori
(almeno di quelli che, come tutto il Medio Oriente, non lo hanno già fatto
negli anni ‘60 e ‘70) di rimettere le mani sulle risorse naturali nazionali,
o, comunque, sugli extraprofitti che queste generano, in un momento di boom dei
prezzi delle materie prime, anche al di là del petrolio: Morales ha, infatti,
già annunciato la nazionalizzazione delle miniere di zinco e delle foreste.
La seconda è l´esaurimento della lunga ondata neoliberista, a colpi di privatizzazioni
e liberalizzazioni, che ha attraversato, dagli anni ‘90, l´America latina ma
che, in 15 anni, non è riuscita a diffondere il benessere promesso. La Bolivia
è stato il primo paese, nel 1937, a nazionalizzare il petrolio e il primo, nel
1993 a liberalizzarlo. Adesso è tornata alla casella uno.
Ma Morales non è solo. In Perù, Ollanta Humala ha già detto di volersi
muovere nella stessa direzione, se vincerà le elezioni. In Venezuela,
Hugo Chavez lo ha già fatto. L´Ecuador ha recentemente varato una legge
per recuperare parte degli extraprofitti dell´industria petrolifera.
Giuridicamente, però, il leader boliviano è andato più in là: il decreto
varato lunedì, in pratica, requisisce allo Stato il 51 per cento della
proprietà dei giacimenti e, soprattutto, l´82 per cento della loro produzione,
che dovrà essere comunque incanalata ed esportata (proprio per gestirne gli
extraprofitti) attraverso la compagnia statale. La reazione delle compagnie
straniere è stata, peraltro, flemmatica, come spesso in questi casi. Le
multinazionali effettivamente colpite sono due: la brasiliana Petrobras e la
spagnola Repsol che, al contrario degli altri due giganti presenti in Bolivia
(la francese Total e l´inglese Bp) hanno giacimenti già in produzione. Sia
a Madrid che a Brasilia vogliono leggere bene le clausole "scritte in
piccolo" nel decreto: «Una cosa sono i soldati che controllano gli accessi
ai campi, un´altra i soldati che premono i bottoni degli impianti» ha subito
commentato un dirigente spagnolo.
Di fatto, si apre adesso un braccio di ferro nella riscrittura dei
contratti. Le compagnie sanno che la Bolivia non ha né i soldi né il personale
per gestire gli impianti. Morales è convinto che, nel mercato attuale, le
imprese sono pronte a grandi sacrifici, pur di mantenere la disponibilità di
riserve sempre più scarse. Il risultato potrebbe non essere univoco:
Repsol, come Total e Bp, può forse rinunciare ai limitati giacimenti boliviani.
Non così Petrobras, che già assorbe oltre metà del metano di La Paz e che non
ha alternative immediate.
CORRIERE Mer. 3/5/2006
Il
decreto
ARTICOLO 1 Il Consiglio dei ministri dispone che «si
nazionalizzano le risorse naturali di idrocarburi del Paese. Lo Stato recupera
il possesso e il controllo totale e assoluto di tali risorse».
ARTICOLO 2 «A partire dal 1° maggio del 2006 le imprese petrolifere che
attualmente svolgono attività nel territorio nazionale sono obbligate a
consegnare alla Yacimientos petroliferos fiscales bolivianos YPFB l’intera
produzione».
ARTICOLO 3 «Nel Paese potranno continuare a operare soltanto le
compagnie che rispettino le norme contenute in questo decreto»
IL
«CONSIGLIERE»
La nuova intesa latinoamericana ha la benedizione
del «vecchio saggio» Fidel Castro. Ma sono Evo e Hugo ad avere i pozzi e a
mettere in pratica la strategia energetica che agita i mercati. Dietro c’è
anche l’obiettivo di Caracas di diventare primo Paese per riserve di petrolio