Beirut paralizzata dalla guerra sfollati, terrore, scorte ai minimi

DANIELE MASTROGIACOMO
Al ventunesimo giorno di conflitto la capitale è nell´emergenza, economica e
psicologica

Manca la benzina, industrie
chiuse, comunicazioni bloccate

BEIRUT – La «guerra calda» di luglio, come la chiamano qui,
non si combatte solo con le bombe. Ci sono armi sottili, psicologiche,
economiche, che incidono sulla vita di tutti i giorni
.
Il barman che incontriamo ormai da 21 giorni ci mostra il suo cellulare e ci
racconta che ogni notte, più volte, gli arrivano delle strane chiamate in cui
una voce registrata, a nome del governo israeliano, incita la popolazione a
combattere Hezbollah. Il giovane Ahmed non è il solo ad essere svegliato nel
pieno del sonno. Decine di altre persone ci hanno riferito la stessa cosa. I
servizi di telecomunicazione hanno fatto un´inchiesta e accertato che le
chiamate, con diversi messaggi a volte minatori, non provengono dai server
israeliani. Passano attraverso quelli italiani e canadesi
. Il governo
Siniora ha presentato una protesta ufficiale e i server sospettati hanno
promesso accertamenti.

Le televisioni restano lo strumento principe di questa campagna. Con le
stesse immagini che sono riproposte a getto continuo; oppure adulterate, a
volte perfino bloccate. Dipende da chi le propone e a quale scopo
. Qualche
giorno fa, una signora di Haifa si diceva sorpresa delle devastazioni provocate
dai bombardamenti in Libano. Non le aveva mai viste prima. La tv Al Manar, voce
ufficiale del partito di Nasrallah, seguitissima in Libano, al posto degli spot
pubblicitari manda in onda in modo incessante un video sui combattimenti dei miliziani.
Siamo in guerra. Ma è una guerra che coinvolge l´intero paese.
Il Libano che abbiamo conosciuto in tempi di pace era un Libano orgoglioso di
essere un po´ speciale. Custode dei costumi e della diversità araba, ma
proiettato verso l´Occidente. Una passerella che attirava le finanze di mezzo
mondo. Un paese che vanta una solida democrazia. Esempio unico, oltre a
Israele, in questa regione.
Adesso, dopo 21 giorni di conflitto, tutto è cambiato. Gli effetti della morsa
si cominciano a sentire. La gente fatica ad abituarsi.
Manca la benzina. Lunghe file di auto suonano nervosamente i clacson davanti
ai distributori
. Ci si incolonna asfissiati dal caldo e dall´insofferenza e
il traffico si trasforma in un ingorgo colossale. Qui non ci sono trasporti
pubblici. La macchina è un mezzo vitale per spostarsi. Ma le pompe non
forniscono più di 10 mila lire libanesi, circa 6 euro, ossia 5 litri, alla
volta. I prezzi sono triplicati. Ma anche avendo i soldi non resta che fare
due, tre, quattro volte la fila. Un pieno, sufficiente per andare verso il sud
e capire cosa è accaduto alla propria casa, albergo, industria, fabbrica. Non
per tornare al centro e al nord. Il governo fa sapere che ci sono scorte ancora
solo per due settimane. Una bombola di gas arriva a costare 100 dollari;
fino a due giorni fa la pagavi 7. Il ministro delle Attività produttive
denuncia che il 95 per cento dell´attività industriale è fermo. Il greggio
raffinato di solito arriva dalla Siria. Ma i 350 mila camion che giravano fino
a prima delle guerra in tutto il paese si sono ridotti a 25 mila
. L´aviazione
israeliana ha bombardato sistematicamente, secondo una precisa strategia, ogni
via di accesso e di uscita. Persino le frontiere. Ma chi viaggia con un mezzo
pesante ha soprattutto paura. La campagna contro i camion ha piegato
l´economia. Si calcola che almeno cento mezzi sono stati centrati dai razzi e
distrutti in 15 giorni
. La trivella scambiata per una rampa di lancio di
Hezbollah e colpita nel centro di Beirut non è mai più stata spostata. La
perdita d´acqua continua a sgorgare e un fiume da settimane inonda strade e
piazze. La Borsa ha riaperto dopo due settimane. Non c´è penuria di valuta. Ma
la Banca centrale ha coniato dei nuovi biglietti. La grande catena di
distribuzione, non solo del carburante, ma delle merci, del cibo, dei pezzi di
ricambio, della tecnologia, si è inceppata.
L´aeroporto è chiuso, i porti accolgono solo le navi con gli aiuti
internazionali. Chi sperava in un rapido ma breve scontro, oggi scopre una
realtà diversa sulla sua pelle. I negozi restano aperti a fatica, vendono
pochissimo; gli sconti, i saldi forzati, non riescono a smaltire i magazzini
riempiti in vista di una stagione turistica eccezionale. Il quartiere della
city, con i suoi grattacieli tutto vetro e acciaio, è deserto. I negozi con le
firme più prestigiose della moda sono sbarrati
. Lavorano solo le guardie
della sicurezza. C´è stato un incremento del 70 per cento.
I razziatori potrebbero essere tentati. Ci sono 898.760 sfollati; 220 mila
sono riparati all´estero. Oltre un milione di persone che ha svuotato,
riempito, occupato, stravolto l´equilibrio sociale e multi confessionale
libanese. L´energia elettrica salta in continuazione; anche le cellule dei
telefoni mobili funzionano a singhiozzo
. A Tiro, per bloccare il ponte che
Israele sospettava fosse usato dai miliziani di Hezbollah, sono stati tranciati
di netto gli ultimi due piani di una palazzina che ne contava undici. Una
famiglia è stata sterminata, come altre decine. Il governo Olmert ha decretato
la ripresa dei bombardamenti all´1 di stanotte.

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